Era il 2010 quando, con la Comunicazione 546, “Iniziativa faro Europa 2020: l’Unione dell’innovazione”, la Commissione Europea pose le basi per una strategia comune di stimolo dell’economia dell’innovazione. Conseguenza di quella decisione fu, tra l’altro, l’impegno degli Stati membri e delle Regioni a finanziare gli appalti pre-commerciali (PCP) e, più in generale, gli appalti pubblici di servizi e prodotti innovativi. L’Italia ha, in questi anni, reagito positivamente allo stimolo della Commissione: nel 2012 il governo individua lo sviluppo dell’appalto pre-commerciale tra gli obiettivi primari dell’Agenda Digitale Italiana, successivamente il legislatore (Crescita 2.0 – D.L. 179/2012) indirizza ancor più chiaramente il procurement di innovazione quale leva strategica di promozione, sul territorio nazionale, delle capacità di ricerca e innovazione industriale, e conferma la posizione nel 2015 approvando il documento “Strategia per la crescita digitale 2014-2020”.
L’Italia è anche il Paese europeo che sta investendo di più nella promozione degli appalti pre-commerciali: il Ministero della ricerca, con il suo programma nazionale di appalti pre-commerciali da 100 milioni di euro e le Regioni, molte delle quali hanno previsto il finanziamento, e quindi l’esecuzione di appalti pre-commerciali nei propri programmi operativi regionali (POR) 2014-2020. Il legislatore europeo e quello nazionale, ANAC inclusa, hanno definito i contorni giuridici della legittima applicazione del PCP inteso come procedura d’appalto: che l’oggetto prevalente dell’appalto sia l’esecuzione di attività di ricerca e sviluppo e l’esclusione, sotto specifiche condizioni, del PCP dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici. Ciò che invece è stato probabilmente sottovalutato è l’impatto che la filosofia stessa del PCP ha sulle strategie di procurement di innovazione.
La prima riflessione riguarda le condizioni che possono portare l’amministrazione verso la scelta di utilizzare lo strumento del PCP: innanzitutto la presa di consapevolezza dell’esistenza di un problema o di un bisogno concreto, tipicamente di medio-lungo periodo, cui l’offerta di mercato non riesce a dare una risposta adeguata. Ciò induce in modo naturale uno slittamento da un più tradizionale approccio “market push” ad un approccio “demand driven” all’innovazione: non è solo il mercato, l’offerta, a proporsi all’amministrazione con i propri servizi e prodotti innovativi. E’ invece l’amministrazione che assume una capacità di concreta visione (il “sarebbe bello se…”) che sappia traguardare il risultato di breve periodo e pone l’attenzione sulle ricadute e sull’impatto che, in un tempo anche più lungo, gli interventi di innovazione devono essere in grado di produrre.
Sorge quindi il secondo punto di riflessione, che riguarda la capacità di una opportuna definizione dell’oggetto di un PCP: l’amministrazione deve assumere la non ovvia capacità di focalizzare il “problema” da risolvere, la “domanda” da soddisfare, scrollandosi di dosso la naturale propensione a indirizzare verso soluzioni che si rifanno, quasi inevitabilmente, alle offerte di mercato disponibili e allo stato dell’arte già noto. L’oggetto della gara si tramuta allora nella individuazione di una “sfida” al mercato, da formulare in modo che lasci agli offerenti sfidati la libertà di approcci divergenti e multidisciplinari, valorizzando competenza, innovazione e, auspicabilmente, genialità. L’esperienza che Agid sta conducendo, insieme ai partner del nostro sistema istituzionale, ci sta portando a produrre capitolati semplici, quasi essenziali, ove i requisiti tecnici, che inevitabilmente pongono vincoli alla soluzione, sono limitati in numero e sono presenti solo se effettivamente indispensabili. In contrapposizione alla definizione dei requisiti, si preferisce utilizzare la descrizione di “scenari d’uso” concreti: essi descriveranno una situazione concreta, le modalità con cui la situazione viene affrontata allo stato dell’arte e i limiti della stessa, infine la situazione che si vuole sperabilmente realizzare grazie ai risultati del PCP.
Ne deriva una terza conseguenza: la difficoltà di individuare un “mercato di riferimento” dell’offerta. E’ anzi quasi insito nel paradigma del PCP l’utilità di ampliare il mercato che possa cimentarsi nell’elaborazione di risposte alle sfide proposte, eventualmente combinando competenze e soluzioni non convenzionalmente adottate nel settore di riferimento della sfida (sia esso la protezione del territorio, la salute o la riduzione dell’inquinamento). E’ un mercato dell’offerta che, in particolare nel nostro Paese, comprende tipicamente i centri e gli enti di ricerca, pubblici o privati e le Università.
L’esercizio degli appalti pre-commerciali, per questi motivi, tende a indurre nelle amministrazioni pubbliche un generale ripensamento del modo di appaltare innovazione e del rapporto che può instaurarsi tra committente e fornitori. Naturalmente, auspichiamo che una domanda delle nostre amministrazioni più qualificata e sfidante possa anche funzionare come potente stimolo alla capacità di produrre innovazione nell’industria nel Paese, contribuendo così alla competitività del nostro sistema sulla scena Europea e globale.