Il Paese va verso un rafforzamento dello status e dei poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato: una condizione che avrà impatti rilevanti sulle aziende. Attesa a breve la disciplina attuativa della direttiva (UE) 2019/1 che il Governo emanerà in adempimento dell’art. 6 della legge 22 aprile 2021, n. 53, il primo atto normativo dell’Unione Europea che disciplina direttamente l’organizzazione e le funzioni delle Autorità nazionali competenti ad applicare le regole di concorrenza, sino ad oggi disciplinate esclusivamente da fonti interne.
La Direttiva stabilisce una considerevole espansione dei poteri delle autorità nazionali di concorrenza che sono modellati sui poteri istruttori di cui si avvale la stessa Commissione europea. Ne deriverà nel complesso un importante inasprimento del contenuto afflittivo delle sanzioni e degli stessi poteri di indagine dell’AGCM, sempre più simili per incisività a quelli dell’indagine penale.
Lo scenario per le imprese
È perciò facile prevedere che il completamento e il consolidamento dello strumentario investigativo e repressivo di cui dispone l’Autorità garante della concorrenza accrescerà certamente l’efficacia dell’attività di enforcement, agevolando l’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito concorrenziale; per altro verso, la tendenziale convergenza tra i poteri istruttori risulta funzionale ad assicurare una più efficace cooperazione investigativa nell’ambito della rete europea della concorrenza Autorità nazionali di concorrenza.
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Innanzi a questo rafforzato quadro repressivo, si accentuano dunque le esigenza delle imprese, non solo grandi, ma anche piccole e medie, di effettuare serie attività preventive di compliance antitrust onde evitare di subire inquisizioni e pene che possono avere un effetto particolarmente lesivo oggi, molto più di quanto non sia stato sino a ieri.
Più poteri all’AGCM: cosa cambia
In sintesi queste le novità. L’Autorità potrà eseguire accertamenti ispettivi a sorpresa, anche nei locali che costituiscono domicilio privato di dirigenti e, in genere, di dipendenti dell’azienda, se l’Autorità nutrirà il fondato motivo di ritenere che in quei luoghi si possa reperire la documentazione che dimostra comportamenti illeciti. L’Autorità potrà poi direttamente esaminare ogni documento, apporre i sigilli agli edifici, ove sia necessario prolungare le operazioni di ispezione, e interrogare sul posto il personale, che ha l’obbligo di collaborare.
L’Autorità, tramite i suoi funzionari, potrà richiedere alle imprese di fornire tutte le informazioni necessarie e convocare in audizione obbligatoria i rappresentanti delle imprese stesse, entro termini ragionevoli e determinati, in mancanza del rispetto dei quali potranno essere irrogate penalità di mora in proporzione al fatturato totale giornaliero medio a livello mondiale, realizzato da tali imprese. Ancora, l’Autorità potrà ordinare che venga interrotta qualsiasi pratica ritenuta illecita e adottare le misure appropriate con il contenuto più vario, tra cui l’imposizione di rimedi strutturali o comportamentali, misure cautelari o potrà accettare gli impegni offerti dalle imprese sottoposte a indagine che in tal modo divengono per esse vincolanti.
L’Autorità potrà imporre ammende particolarmente efficaci e dissuasive nell’ambito di un proprio procedimento, non solo per le violazioni degli articoli 101 e 102 del TFUE, degli articoli 2 e 3 della legge n.287 del 1990, ma anche quando le imprese oggetto del procedimento omettono intenzionalmente o negligentemente di cooperare con la stessa Autorità. Potrà poi disporre programmi di trattamento favorevole che incoraggino le imprese a segnalare cartelli in tutta l’UE, potendo attribuire alle imprese che collaborano, a date condizioni, anche l’immunità penale, ove i comportamenti confessati integrino reati.
Il rapporto col diritto italiano
Per quanto riguarda il diritto italiano, che pure già conosceva un’istituzione forte e consolidata, le principali novità riguardano in modo particolare le verifiche ispettive rese più incisive e i poteri decisori, ampliati e i poteri sanzionatori, resi particolarmente afflittivi.
L’articolo 10 della Direttiva 2019/1 dispone, infatti, che alle autorità nazionali di concorrenza sia conferito il potere di imporre rimedi strutturali o comportamentali con la decisione che accerta l’infrazione, quando ciò sia ritenuto necessario per assicurare l’effettiva cessazione della violazione. Oggetto dell’imposizione quindi potrà essere l’ordine di dismettere asset materiali e immateriali, di modificare contratti in essere, di stipulare nuove tipologie contrattuali e di adottare determinate prassi commerciali, se tali misure si rivelino idonee a rimediare ai problemi di concorrenza causati dai comportamenti dell’impresa ritenuti illeciti.
Violazioni alle norme sulla concorrenza: cosa si rischia
Una delle disposizione di maggior rilievo della Direttiva riguarda certamente il trattamento sanzionatorio delle imprese e delle associazioni di imprese che violino la normativa a tutela della concorrenza. Viene infatti stabilito che il limite edittale massimo si attesta sul 10% del fatturato mondiale delle imprese interessate, a prescindere quindi dalla dimensione dei mercati nei quali l’illecito sia accertato. Con riguardo alle associazioni di imprese – nella cui qualificazione giova ricordare rientrano pacificamente tutte le realtà associative imprenditoriali – ma anche ad esempio, gli ordini professionali e i consorzi fra imprenditori a qualunque titolo costituiti, l’articolo 23, comma 2, del Regolamento 1/2003, direttamente riferito alla Commissione europea, prevede che in queste ipotesi il massimo edittale doveva essere calcolato in relazione al fatturato totale di ciascuna delle imprese associate attive sul mercato interessato dall’infrazione commessa dall’associazione.
Nel diritto italiano, per contro, il parametro di riferimento che l’Autorità doveva tenere in considerazione era stato sino ad ora costantemente individuato nel valore (in genere di gran lunga inferiore) dato dalla somma delle quote associative versate. La Direttiva in esame, all’articolo 14, dispone adesso che qualora l’infrazione commessa da un’associazione di imprese riguardi le attività dei suoi membri, l’importo massimo dell’ammenda sarà pari al 10% della somma dei fatturati totali a livello mondiale di ciascun membro della stessa associazione operante sul mercato interessato dall’infrazione commessa dall’associazione.
Le sanzioni
Ne deriva la evidente maggiore afflittività delle sanzioni che l’Autorità potrà irrogare. Inoltre, è anche puntualmente disciplinata la situazione di insolvenza dell’associazione stessa. In questa evenienza, l’associazione sarà tenuta a richiedere ai propri membri contributi in misura tale da poter pagare l’intero importo dell’ammenda. Se tali contributi non sono versati all’associazione entro un termine stabilito dall’autorità procedente, la Direttiva prevede che quest’ultima possa esigere il pagamento dell’ammenda direttamente da ciascuna delle imprese i cui rappresentanti siano membri degli organi decisionali interessati dell’associazione o – in subordine – da ciascuna delle imprese associate che opera sul mercato interessato dall’infrazione.
Infine, la Direttiva attribuisce alle autorità nazionali di concorrenza il potere di applicare penalità di mora alle imprese che si sottraggano all’ottemperanza delle decisioni di accertamento di infrazione, di adozione di misure cautelari o di impegni proposti dalle parti, che si rifiutino di sottoporsi all’accertamento ispettivo o non adempiano in modo corretto, completo e tempestivo a una richiesta di informazioni. Si segnala, da ultimo, che le sanzioni previste per violazioni procedurali, quali l’infrazione dei sigilli apposti nei locali in cui si svolge un accertamento ispettivo, il rifiuto di soggiacere all’ispezione e l’inottemperanza a richieste di informazioni formulate in ispezione o nel corso del procedimento, dovranno – contrariamente a quanto ora avviene nel diritto italiano – essere determinate in proporzione al fatturato globale delle imprese interessate.