Modifiche al Codice Appalti per semplificare le gare: potrebbe sembrare un paradosso, quanto apportare cambiamenti a un treno in corsa. È possibile, ma difficilissimo: gli inconvenienti che si possono provocare potrebbero essere peggiori di quelli che si volevano risolvere. Per “sbloccare i cantieri” intervenendo sul Codice Appalti, l’uomo saggio compie tre passi: non farlo, evitare di farlo, farlo con molta prudenza e competenza, perché sa che altrimenti rischia di peggiorare le cose. Questo non è pessimismo, ma è la consapevolezza che ci sono altre aree di intervento più semplici e con minori costi e rischi. Vediamo quali sono.
Il problema della mancanza di competenze
Quando un contratto pubblico porta risultati deludenti, la motivazione è quasi sempre la presenza di errori nel bando o nel contratto. Se la città di Roma sembra sporca, bisogna leggere il contratto di servizio tra Roma Capitale e AMA su cui pendono esposti alla Corte dei Conti e ANAC e si noterà perché le condizioni della città non avrebbero potuto essere diverse. A differenza di quanto spesso si sente dire, la causa principale di sprechi nella Pubblica Amministrazione è la mancanza di competenza e non il dolo. Lo afferma un autorevole studio internazionale (Valletti, Bandiera, Prat 2008) che mostra come in Italia l’83% degli sprechi pubblici è provocato da mancanza di competenze e solo il 17% da dolo. E questa è una gran bella notizia, sia perché ripudiamo il dolo, sia perché i rimedi alle carenze di competenze sono più semplici ed economici:
- promuovere la formazione, anziché sottoporla a tagli di spesa
- intensificare le attività di monitoraggio contrattuale e di analisi delle prestazioni
- attuare le azioni migliorative per il prossimo contratto.
Per chi ha buona memoria, si tratta di fare quello che AgID insegna a fare negli appalti da venticinque anni (fin da quando si chiamava AIPA, poi CNIPA e DigitPA). Una volta che abbiamo agito sul miglioramento delle competenze, ben vengano le modifiche al Codice per migliorare i processi di procurement, alcune delle quali sono veramente importanti.
Modifiche al Codice Appalti e più libertà per gli enti
Una modifica che si auspicava da lungo tempo ricercando l’efficienza negli appalti telematici prevede che in un mercato elettronico l’ente che aggiudica le gare verifichi esclusivamente il possesso da parte dell’aggiudicatario dei requisiti economici e finanziari e tecnico professionali, sfruttando i controlli a campione svolti dal soggetto responsabile dell’abilitazione dei fornitori nel mercato elettronico che fino ad ora erano effettuati ma senza tale scopo. La nuova scelta tuttavia ignora che Consip in sede di abilitazione al mercato elettronico chiede anche le dichiarazioni dei requisiti economici e finanziari su cui già effettua i controlli a campione, lasciando purtroppo detti requisiti tra quelli che gli enti devono comunque verificare in autonomia. È colpa di Consip che in sede di abilitazione dei fornitori ha fatto più del minimo che le competeva o di chi non se ne è accorto? Comunque è un ottimo inizio.
Finalmente si ritorna alla possibilità per le stazioni appaltanti di aggiudicare le gare di valore inferiore a 220.000 euro anche al minor prezzo. La scelta ha l’innegabile pregio di lasciare liberi gli enti di decidere se aggiudicare al prezzo più basso o a prezzo e qualità con qualsiasi ponderazione, superando il pregiudizio secondo cui la gara al prezzo più basso comporti un degrado della qualità. Il degrado della qualità nelle gare al prezzo più basso si verifica infatti quando il contratto è scritto male e non prescrive adeguatamente i requisiti minimi di qualità. Volendo escludere per ottimismo l’azione del caso, si tratta di una modifica coraggiosa e competente, infatti quando i requisiti son ben scritti dal bando di gara la qualità è imposta e dunque ha senso valutare solo il prezzo offerto, mentre quando si valuta prezzo e qualità si rischia di contro di aggiudicare a una offerta di qualità eccessiva aumentando la spesa o a una di qualità scadente a fronte di un ribasso estremo. Ben venga la libertà di scelta per gli enti.
Altra modifica, questa volta rivoluzionaria, è la possibilità che nelle gare di valore inferiore a 220.000 euro si possano valutare le offerte prima che siano verificate le buste amministrative contenenti la documentazione relativa al possesso dei requisiti di partecipazione. Tale inversione può consentire tanto una riduzione quanto un aumento dei tempi o addirittura facilitare situazioni anticompetitive, ma il pregio della nuova norma è far scegliere all’ente. E la modifica è scritta bene e senza ambiguità. Quando invece in passato sono stati abrogati articoli con l’intenzione di consentire sia quanto da questi disposto sia l’opposto, la giurisprudenza si è successivamente orientata a considerare vietata la possibilità abrogata anziché consentite entrambe. Quindi apprezziamo sia l’innovazione sia la chiarezza.
Conclusioni
Si torna infine al regolamento di attuazione del Codice eliminato nel 2016 in favore della disciplina scritta dall’Autorità Anticorruzione – ANAC dalla quale la giurisprudenza ha iniziato a discostarsi affermando che essa non sia vincolante. Un passo indietro, ma forse necessario, visto che il mondo sembra non aver apprezzato la precedente semplificazione che aveva eliminato il Regolamento.
Del resto, in presenza di un Codice che nel 2016 ha eliminato la metà degli articoli che precedentemente disciplinavano le gare, l’ottimista affermava che questa abrogazione di norme consentiva maggiore libertà agli enti, mentre il saggio (che sa come ragionano i Magistrati) sapeva che l’abrogazione avrebbe creato complicazioni perché può essere intesa come un divieto esplicito delle norme abrogate anziché una maggiore libertà. Quando una modifica così pesante non è accompagnata da sufficiente chiarezza e non è accolta dai tribunali che comandano più di ANAC, è stato meglio tornare indietro finché si era in tempo.