le soluzioni

Procurement del digitale nei piccoli Comuni, come uscire dallo stallo

Il procurement dell’innovazione digitale va a rallentatore: le piccole PA mancano di competenze e lo vivono come un mero adempimento cui sottostare, non come un’opportunità. Per far fronte al problema, soluzioni utili possono essere quelle di informare, fornire incentivi e superare il campanilismo

Pubblicato il 04 Feb 2019

Luca Gastaldi

Direttore dell'Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

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Procurement e digitale sembrano correre su due binari che faticano ad incrociarsi. I processi di procurement si stanno digitalizzando a rallenty. D’altro canto, fare procurement di innovazione digitale è molto complesso.

Cosa impedisce di far convergere questi binari e cosa rallenta il loro correre? Prima di tutto un terreno difficile. In altre parole: questioni strutturali.

Il contesto delle piccole PA

L’Italia ha oltre ventiduemila PA, di cui circa ottomila Comuni (il 90% dei quali a meno di mille abitanti) e ottomila scuole. La maggior parte delle PA italiane è piccola e la quasi totalità non ha sufficienti personale e competenze per impostare adeguatamente i processi di digitalizzazione previsti nel Piano triennale o quelli di procurement previsti nel Codice dei contratti pubblici. Un piccolo ente locale con quattro o cinque dipendenti vive la digitalizzazione per lo più come un adempimento normativo, quasi mai come un’opportunità di erogare in modo più efficace ed efficiente i propri servizi pubblici. Il procurement è visto invece come un terreno scivoloso, in cui la possibilità di sbagliare ed essere schiavi dei fornitori è sempre dietro l’angolo. Le dimensioni strutturali delle nostre PA condannano pertanto la parte pubblica del nostro Paese a un nanismo sia nella sfera del digitale che in quella del procurement.

Con queste premesse, si capisce come mai le istituzioni centrali, tra cui Agid e il Team digitale, abbiano fornito strumenti che consentissero di limitare la discrezionalità nelle scelte di sviluppo digitale degli enti e indirizzare adeguatamente gli acquisti pubblici di soluzioni digitali. Ecco spiegati i soggetti aggregatori, la finanziaria 2016 che blinda le PA a passare da tali enti, le gare quadro Consip. L’alternativa era avere ventimila PA che comprassero digitale in modo disarticolato, con il rischio di muoversi poco e male.

Tre (più una) azioni per migliorare la situazione

Purtroppo quanto fatto da AgID e Team Digitale non è sufficiente. Per migliorare la situazione, sarebbe opportuno attuare tre azioni. La prima contempla l’erogazione di interventi formativi e informativi sulle tematiche del digitale e del procurement di soluzioni digitali. Le PA sul territorio devono conoscere gli strumenti a loro disposizione per comprare digitale. Altrimenti non li utilizzeranno mai. Secondo i dati dell’Osservatorio che dirigo, per esempio, solo il 10% dei Comuni italiani conosce le gare SPC Consip. Quest’ultima ha organizzato alcuni eventi di sensibilizzazione ma deve essere affiancata da altri attori sul territorio, come ad esempio le Regioni e/o le Province, per raggiungere e supportare i piccoli enti locali nei loro percorsi di trasformazione digitale. Sarebbe poi opportuno attivare sportelli disponibili a rispondere ai tanti quesiti che emergeranno e spazi virtuali in cui fare chiarezza sulle problematiche comuni a più enti.

In secondo luogo, sarebbe utile fornire incentivi alla digitalizzazione e all’utilizzo di strumenti di procurement innovativo. Per esempio, quando il Team digitale ha allocato dei fondi per aderire alla ANPR, le PA hanno risposto in massa perché conveniva loro. Ovviamente gli incentivi da soli non bastano. È indispensabile che lo stato centrale continui a prendere alcuni ambiti di digitalizzazione particolarmente complicati e ostici (come ad esempio la gestione delle identità digitali dei cittadini) per offrirli in modo centralizzato tramite piattaforme come SPID, in modo da rimuovere “alibi al non fare” alle piccole PA.

Infine, bisognerebbe fare squadra. Se da sola la piccola PA non riesce ad avere le risorse e le competenze per gestire processi di procurement e digitalizzazione, è bene che si aggreghi con altre PA, esprimendo così esigenze di digitalizzazione più chiare e maggiori competenze nell’interazione con i privati. Potenziali aggregatori sul territorio ci sono già: Regioni, Province, unioni di Comuni. Questi devono prendere consapevolezza del loro ruolo chiave e giocarlo fino in fondo.

Certo. Ci sarebbe un’ultima azione da inserire nel quadro, ma non realizzabile nell’attuale assetto organizzativo. Una drastica semplificazione strutturale. Oggi abbiamo troppi enti locali minuscoli che potrebbero essere aggregati ed esprimere così:

  • una visione di crescita digitale più lucida e proattiva;
  • competenze di procurement maggiormente solide.

Nessuna azienda che dovesse nascere oggi si organizzerebbe replicando decine di migliaia di volte le funzioni sistemi informativi e approvvigionamenti. La PA dovrebbe trovare il coraggio di superare i propri campanilismi e razionalizzarsi, semplificarsi e specializzarsi come i privati più virtuosi fanno ormai da anni. L’attuale spreco di risorse legato alla frammentazione delle PA centrali e locali si ripercuote tanto sui cittadini (meno servizi e di peggiore qualità), quanto sull’economia generale (che non può beneficiare del volano della PA e del procurement pubblico). Cominciamo a informare/formare, dare incentivi e fare squadra. Ma per fare incontrare i binari del digitale e del procurement forse bisognerebbe trovare il coraggio di agire sul terreno sopra il quale questi corrono.

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