L'approfondimento

Procurement e libera concorrenza, perché eliminare il Codice appalti non è la soluzione

La discussione sulla possibilità e la necessità di bloccare l’applicazione del Codice appalti per migliorare la concorrenza è un tema d’attualità che è bene approfondire analizzando il contesto normativo nazionale e il tessuto produttivo italiano: vediamo la situazione

Pubblicato il 15 Giu 2021

Luca Sanna

Avvocato, Studium Cives

appalti

Il dibattito è acceso sulla necessità di interrompere l’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici in Italia per migliorare la concorrenza. Per poter sostenere una simile ipotesi, dovremo analizzare il tipo di economia italiana, la composizione del mondo imprenditoriale e quanto il Codice degli Appalti sia, oggi, limitante in termini di concorrenza nei confronti delle aziende italiane, in rapporto alla loro composizione.

Probabilmente, un Paese che mira alla libera concorrenza dovrebbe rendere obbligatorio il principio di rotazione e inesistente un contratto stipulato in spregio a tale principio, se davvero si vuole avere una pubblica amministrazione fondata sull’imparzialità, sulla terzietà delle stazioni appaltanti e sull’economicità degli affidamenti.

L’intervento dell’AGCM

Da rilevare che ha fatto molto scalpore la segnalazione del presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Roberto Rustichelli, che ha evidenziato al presidente del Consiglio, Mario Draghi, alcune proposte da inserire nel disegno di legge per la concorrenza nel mese di marzo 2021. L’AGCM ha infatti accolto il suggerimento del Presidente Mario Draghi il giorno dell’insediamento e ha formalizzato attraverso un vero e proprio parere alcune soluzioni di rapida esecuzione che, secondo il Garante stesso, migliorerebbero la concorrenza del sistema Italia.

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Ebbene in merito al settore appalti, nonché finalizzazione e esecuzione dei contratti pubblici l’AGCM ha suggerito di sospendere provvisoriamente il D.Lgs. 50/2016 e il suo correttivo, al fine di rendere più rapida la spesa pubblica del Recovery Plan introducendo “una disciplina speciale riservata esclusivamente a tali procedure, in relazione alle quali troverebbero applicazione le sole norme contenute nelle direttive europee del 2014, con le dovute integrazioni laddove non siano immediatamente self-executing”.

Il tessuto economico italiano: composizione e necessità

Nell’ultimo censimento permanente delle imprese italiane effettuato dall’ISTAT, intervenuto nel mese di ottobre del 2019, che ha interessato un campione di circa 280mila imprese con 3 e più addetti, rappresentative di un universo di poco più di un milione di unità, corrispondenti al 24,0% delle imprese italiane, che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale, si è potuto riscontrare che tale universo impiega il 76,7% degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3% dei dipendenti, costituendo quindi il segmento fondamentale del nostro sistema produttivo.

Da tale analisi si è evidenziato che i due terzi delle imprese (821 mila, pari al 79,5% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 187 mila (pari al 18,2%) sono di piccole dimensioni (10-49 addetti), mentre le medie (con 50-249 addetti) e le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) rappresentano il 2,3% delle imprese osservate (24 mila unità), di cui 3mila grandi. Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,2% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,4% al Centro e il 26,0% nel Mezzogiorno (Fonte: ISTAT).

Scrive l’Istat che con riferimento alla dimensione strategica, tra il 2016 e il 2018 la quasi totalità delle imprese con almeno 10 addetti (90,4%) ha indicato tra i principali obiettivi strategici la difesa della propria posizione competitiva, il 69,9% l’ampliamento della gamma dei prodotti venduti e il 68,2% l’aumento delle attività in Italia. Queste strategie sono risultate prevalenti per tutte le imprese indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza.

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Gli obiettivi

L’obiettivo dell’espansione dell’attività produttiva in Italia per il 25,1% delle imprese si è accompagnato a quello di aumentare l’attività all’estero: in particolare hanno dichiarato un obiettivo di espansione in entrambi i mercati il 19,8% delle piccole imprese e poco più del 34% delle medie e grandi unità. Nel complesso, l’attività all’estero, così come l’accesso a nuovi segmenti di mercato, sono risultate strategie più frequenti tra le imprese di maggiore dimensione, mentre il ridimensionamento delle attività è risultato poco diffuso tra tutte le imprese.

La ricerca di una maggiore competitività da parte delle imprese non è priva di ostacoli. La quota di chi dichiara di non incontrare difficoltà varia infatti tra il 22% delle imprese di piccola dimensione e il 27% delle grandi. Tra i fattori segnalati più diffusamente figurano anzitutto gli oneri amministrativi e burocratici (33,1% delle imprese) e la carenza di risorse finanziarie (29,6%); in entrambi i casi – soprattutto in riferimento alla disponibilità di finanziamenti – il vincolo è avvertito in misura maggiore dalle imprese più piccole (ne risente il 31,3% delle unità con 3-9 addetti, a fronte del 12,6% delle grandi).

Inoltre, coerentemente con un quadro ciclico caratterizzato da una crescita limitata, la carenza di domanda per i beni e servizi offerti continua a risultare tra i principali ostacoli alla competitività delle nostre imprese (per un quinto delle piccolissime e circa il 16-18% per le unità delle altre classi dimensionali), insieme a un contesto socio-economico poco favorevole (soprattutto per le imprese di commercio e terziario, in misura rispettivamente pari al 24 e al 18,6%).

Sulla base di tali dati, al fine di migliorare la concorrenza tra le imprese, anche solo utilizzando un ragionamento logico, si dovrebbe intervenire sul segmento delle micro imprese (3-9 dipendenti) che rappresenta, purtroppo (o, secondo alcuni, per fortuna), i 2/3 delle imprese totali. Ed in un periodo di forte diminuzione della domanda estera dovuto alle restrizioni Covid, ci si dovrebbe rivolgere all’implementazione del mercato interno, al fine di favorire la concorrenza e il mercato in quei segmenti nei quali l’intervento pubblico potrebbe determinare l’esistenza o meno dell’impresa, messa a dura prova dalla pandemia. Ebbene, vediamo se la sospensione del Codice degli Appalti possa davvero portare ad un miglioramento.

Acquisti e lavori sotto soglia, le regole

Una piccola impresa, che come detto rappresenta il segmento più ampio del settore produttivo, evidentemente ha maggiori possibilità partecipative di stipulare quei contratti pubblici che meglio si adattano al proprio profilo dimensionale. Al fine di favorire la concorrenza delle piccole imprese, pertanto, si dovrebbe pensare ad un sistema che favorisca il confronto competitivo di tutti gli operatori economici, attraverso piattaforme intuitive e veloci, che affidino un contratto pubblico nel più breve tempo possibile al soggetto meritevole, eliminando il consolidamento di posizioni dominanti o clientelari attraverso la ferrea applicazione del principio di rotazione.

Cosa cambia con il Decreto Semplificazioni

Ma non è così. Purtroppo la normativa è ampia e varia e il presente articolo non permette a chi scrive di compiere un’analisi sistematica del D.Lgs. 50/2016, per tale ragione l’indagine si concentrerà agli acquisti “sottosoglia” di cui all’art. 36 del Codice dei Contratti Pubblici. Il Decreto Semplificazioni DL 76/2020 convertito in Legge n. 120/2020 ha innalzato le soglie di acquisto ad 150.000 euro per i lavori e a 75.000 euro per l’acquisto di beni e servizi attraverso affidamento diretto “anche senza previa consultazione di due o più operatori economici”.

In altri termini attualmente l’art. 36 del D.Lgs. 50/2016, modificato transitoriamente dalla L.145/2018 e successivamente dalla L. 120/2020 e sino al 31.12.2021, permette l’affidamento diretto di appalti per lavori sino all’importo di 150.000,00 utilizzando la procedura semplificata di cui all’art. 32 comma 2 D.Lgs. 50/2016. Occorre precisare come tale deroga alla normativa sia divenuta stabile in virtù del nuovo Decreto “Semplificazioni” approvato all’interno del Consiglio dei Ministri del 28 maggio 2021, il quale ha prorogato il termine delle deroghe sino al 2023 .

Nei fatti ciò che si può verificare non è nient’altro che il consolidamento di posizione interne agli enti pubblici oppure lo sviluppo di un sistema clientelare, poiché ogni stazione appaltante, anche per importi di non poco conto, potrebbe semplicemente affidare, anche senza confronto competitivo di offerte, un appalto ad un operatore economico, attraverso un’unica determina a contrarre che rappresenterebbe l’unico atto della procedura che peraltro potrebbe tranquillamente avvenire fuori da qualunque piattaforma informatica: l’art. 36 al comma 6 infatti recita che “le stazioni appaltanti possono procedere attraverso un mercato elettronico […]”.

Allo stesso modo i contratti si potrebbero stipulare secondo “lo scambio commmerciale” e gli usi commerciali e l’unico atto sottoposto a pubblicità si sensi dell’art. 29 del D.Lgs. 50/2016 potrebbe essere l’atto di avvio del procedimento compresso allo stesso affidamento diretto ai sensi dell’art. 32 comma 2 del D.Lgs. 50/2016. Ebbene non si comprende già ora come possano le disposizioni normative essere un ostacolo alla concorrenza, laddove attualmente appaiano tutt’altro che orientate alla libera concorrenza, almeno per quanto riguarda il segmento delle piccole imprese – che rappresenta però l’insieme preponderante del sistema produttivo italiano.

L’opinione dell’Anac

Per fugare dubbi sul pensiero dell’Autorità Garante Anticorruzione sulle modifiche e gli innalzamenti delle soglie effettuati dal Legislatore sarebbe sufficiente leggere le Linee Guida n.4 sugli affidamenti sottosoglia, per avere contezza di come l’effettiva concorrenza in tema di contratti pubblici si realizzerebbe solo attraverso il confronto competitivo degli operatori economici e il rispetto del principio di rotazione.

Ad ogni modo, a seguito dell’intervento dell’AGCM, il presidente dell’Autorità Garante Anticorruzione ha stigmatizzato l’ipotesi di una sospensione del Codice degli Appalti poiché questa provocherebbe un vulnus al sistema e farebbe piombare tutti gli stakeholders nel caos per non avere più un testo unico regolatore, che seppur complesso, rappresenta il faro con cui orientarsi in un settore così complesso.

Il principio di rotazione nel Codice appalti

Peraltro appare singolare come tra tutte le disposizioni normative che vengono sempre criticate, non vi sia mai stato un intervento in merito al rispetto del principio di rotazione. Seppur nel 2016, al momento dell’adozione del Codice degli Appalti tale principio abbia avuto dei contorni poco delineati, oggi appare evidente come tale principio debba essere applicato sempre, sia in presenza di affidamenti diretti sottosoglia, sia in presenza di procedure negoziate.

L’art. 36 del D.Lgs. 50/2016 così recita “[…]l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese”.

Tale obbligo si riferisce, specifica il correttivo, sia alla rotazione degli affidamenti, nonché alla rotazione degli inviti e specifica l’ANAC all’interno delle Linee Guida n. 4 deve avere un orizzonte temporale di tre anni solari precedenti. Ebbene parrebbe pertanto che la ratio della normazione primaria e secondaria fosse quella di favorire le micro imprese, impedendo l’instaurazione di rapporti pluriennali tra operatori economici e stazioni appaltanti. In altri termini si mirava a scongiurare le “rendite di posizione”, disincentivando una eccessiva “discrezionalità” della pubblica amministrazione.

Il caso del Tar della Calabria

Ma analizziamo nei fatti cosa produce una violazione di cotal principio in un appalto sotto soglia. Il TAR Calabria-Catanzaro in data 20 luglio 2019 (RG 16/2019) è intervenuto sull’erronea applicazione del principio di rotazione come declinato dalle Linee Guida Anac n.4, allorquando un contratto risulta già interamente eseguito dalla (illegittima) aggiudicataria. Ebbene in caso di violazione del suddetto principio, la tutela cautelare, attenendo ad un bene della vita meramente economico e quindi ristorabile è stata denegata dal Giudice Amministrativo. Sul punto occorre osservare che la tutela cautelare (cd. sospensiva), laddove gli interessi in gioco sono solamente economici raramente viene accordata al ricorrente.

In sede di appello cautelare il Consiglio di Stato ha, invero, previsto, proprio in previsione della definizione temporale del rapporto contrattuale, che “la posizione della appellante potrà eventualmente sempre essere ristorata in forma specifica con l’affidamento, in caso di favorevole esito del ricorso, di un periodo contrattuale di uguale durata”.

Giunta quindi alla fase di merito, la procedura è terminata con una sentenza che ha confermato il ristoro previsto dal Consiglio di Stato, con esclusione delle sanzioni alternative di cui all’art. 123 c.p.a. di cui è stata sollecitata l’applicazione. In altri termini in caso di violazione del principio di Rotazione all’interno del mercato delle piccole imprese, in caso di affidamenti diretti per importi sino a 75.000 euro per beni e servizi (e 150.000 euro per lavori), una piccola impresa dovrebbe avere la forza economica di procedere innanzi alla Giustizia Amministrativa, qualora ritenesse di essere stata lesa, attraversando, come nel caso sopra descritto, 3 fasi giudiziali (Cautelare, Appello e Merito) per vedersi riconosciuta la possibilità di essere ristorata con il medesimo contratto, nelle more eseguito dalla precedente aggiudicataria, sena alcuna sanzione per la stazione appaltante.

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