Lo scenario

Procurement ICT e Codice Appalti, nel Piano Colao troppa superficialità: ecco le proposte

La scheda numero 67 Piano Competenze Procurement ICT e le proposte di riforma del Codice Appalti appaiono scollate dalla realtà, superficiali e quasi frettolose. Vediamo la situazione

Pubblicato il 15 Giu 2020

Francesco Porzio

Porzio & Partners

procurement concept with money and graph chart analysis

Le azioni proposte nella scheda numero 67 Piano Competenze Procurement ICT del Piano Colao risultano così semplicistiche e tardive da sembrare scritte in urgenza per la necessità di presidiare una tematica importante. Allo stesso modo, risultano superficiali le proposte per la riforma del Codice Appalti. Ecco cosa prevede il documento.

Le motivazioni del Piano Colao

Non dobbiamo accontentarci di superare la crisi ma dobbiamo fare in modo che ci lasci quel cambiamento che ci aiuterà a migliorare la qualità della vita e del lavoro anche in tempi ordinari. Gli obiettivi del piano Colao sono calati nella migliore realtà, infatti si dichiara subito l’intenzione di agire con investimenti per il rilancio anziché proseguire con la politica di sostentamento che può essere efficace solo nel brevissimo termine. Ma un piano realistico deve necessariamente partire dalla conoscenza delle fragilità del Paese che qui sono analizzate con crudo realismo: crescita economica e produttività inferiori a quelli delle altre grandi nazioni europee, rapporto tra debito pubblico e PIL tra i più alti dell’area OCSE, scarsa efficienza ed efficacia della macchina amministrativa pubblica, rilevante economia sommersa ed evasione fiscale, diseguaglianze di genere, sociali e territoriali.

Il Piano Competenze Procurement ICT

Piano Competenze Procurement ICT propone il lancio di un’unità dedicata al procurement ICT in Consip o Ministero per l’Innovazione, dimenticando che esiste da 20 anni in Consip (e di cui lo scrivente aveva la responsabilità nel 2005 quando era Dirigente in Consip) e da altrettanto tempo nell’ambito del Ministero per l’innovazione e la trasformazione digitale sotto il nome di AgID (raccogliendo le funzioni precedentemente svolte da AIPA, CNIPA, DIGITPA). L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha infatti l’importante missione di promuovere l’innovazione digitale nel Paese e l’utilizzo delle tecnologie digitali nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione e nel rapporto con Cittadini e Imprese, emanando linee guida sul procurement, esercitando attività di programmazione e monitoraggio, rilasciando pareri tecnici su gare e contratti per l’acquisizione di beni e servizi ICT, definendo criteri e modalità per il monitoraggio dei contratti e molto altro.

Si propone di “Introdurre competenze specializzate nell’acquisto di prodotti e servizi digitali e migliorare la stesura dei requisiti di gara sia tecnici, per evitare lock-in da parte dei fornitori, che decisionali introducendo elementi qualitativi di valutazione delle offerte.” Sicuramente il lock-in come qualsiasi altro vizio contrattuale è anche ascrivibile a bandi e requisiti mal scritti, ma non si considera che da oltre 27 anni (D.Lgs. 39/1993) sono in uso – spesso obbligatoriamente – contromisure per il lock-in come il monitoraggio sull’esecuzione dei contratti che tra gli altri benefici elimina l’asimmetria informativa nei bandi. E su questi temi, come previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale, AgID ha emanato utili direttive cogenti. Anche l’uso di elementi di valutazione qualitativi delle Offerte per l’acquisizione di beni e servizi caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o carattere innovativo è da sempre preferenziale al punto che da diversi anni è diventato un obbligo ai sensi dell’art. 95 c. 3 lettera b-bis del Codice. Si propone da ultimo di “imporre un sistema di monitoraggio/valutazione dei fornitori per rendere efficiente l’esecuzione di progetto e sviluppare una scorecard” dei fornitori. Se si intende imporre il monitoraggio e la valutazione del fornitore, si rammenta che questo è già obbligo di Legge per alcune Amministrazioni dal 1993 ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 39/1993 ed è buona prassi applicata da Consip e normata da CNIPA, DigitPA e AgID. Se invece si intende proporre l’utilizzo di detta valutazione ai fini dell’attribuzione dei punteggi in gara, si tratterebbe di attribuire punti qualitativi a una bella azienda con tante referenze consentendole di vincere una gara con un prezzo più alto o forniture di qualità inferiore. Quest’ultima previsione è già consentita dal Codice e lascia basiti per le conseguenze che ha sulla qualità delle forniture, dunque a detta di molti ne andrebbe riconsiderata l’opportunità.

Giustissima è l’ultima proposta di “introdurre e applicare clausole contrattuali a tutela dell’amministrazione (e.g., penali, sostituzione fornitore) in linea con le migliori pratiche attive nel settore privato” ma è tardiva visto che si fa da sempre in ogni contratto e i dodici volumi di 1.543 pagine delle “Linee guida sulla qualità dei beni e dei servizi ICT per la definizione ed il governo dei contratti” scritti dieci anni fa da CNIPA ci insegnano col massimo dettaglio operativo che ogni livello di servizio deve prevedere una penale, si devono inserire specifiche clausole di monitoraggio, verifiche ispettive e contromisure.

Il ruolo strategico dell’ICT

Se obiettivi, assi di rafforzamento ed aree di azione sono doverosi quanto palesi, le coraggiose considerazioni sulla necessità di ampie riforme strutturali della Giustizia civile, della Fiscalità e del Welfare dimostrano acume e capacità di imparare dalla Storia e valgono quanto tutto il piano. Per evitare che tutto questo finisca nell’armadio delle buone intenzioni, il Comitato si schiera articolandole in numerose raccomandazioni che hanno ad oggetto un binomio inscindibile: ridefinire le regole e digitalizzare. I casi di insuccesso del passato insegnano che quando si digitalizza senza ridefinire le regole si rischia l’inefficienza dei processi o l’inefficacia delle tecnologie e quando si ridefiniscono le regole senza digitalizzare si perde una opportunità enorme. Finalmente nel piano si superano i disastrosi luoghi comuni secondo cui basterebbe acquistare tecnologia o sviluppare una app per innovare.

Azioni sulla PA

Una area di azione importante è la Pubblica Amministrazione, definita come “alleata di cittadini e imprese”. Cittadini e Imprese sono ancora scritti con l’iniziale minuscola, ma almeno si è fatto un passo avanti dichiarando la Pubblica Amministrazione alleata. Anche qui si individuano subito i punti di debolezza della Pubblica Amministrazione come l’anzianità della forza lavoro maggiore nei paesi OCSE e la spesa estremamente modesta in formazione e per superarli la totalità delle aree in cui si articolano le proposte del Comitato assegnano un ruolo strategico all’ICT: semplificazione e velocizzazione delle procedure, trasformazione digitale, investimento nel capitale umano, digitalizzazione della Sanità pubblica. E ben due azioni importanti riguardano il Public Procurement: Il Codice degli appalti e l’e-Procurement.

Codice appalti, la necessità della riforma

L’esigenza di semplificare l’applicazione del Codice degli appalti ai progetti di natura infrastrutturale motiva la proposta numero 22 di abrogazione dell’attuale Codice e la riscrittura integrale, senza purtroppo tener conto che abrogare e riscrivere integralmente il Codice può facilmente provocare, come sempre in passato, un brusco rallentamento degli appalti pubblici che in un momento come questo avrebbe conseguenze devastanti sia sulla continuità dell’azione della Pubblica Amministrazione sia sull’economia in considerazione del ruolo importante che la spesa pubblica ha nei momenti critici di mercato. Una revisione integrale del Codice avrebbe lo stesso effetto del cambio di un software in luogo del rilascio di patch. Nuove regole, rimescolamento degli articoli rispetto al previgente codice, nuove prassi, nuovi regolamenti interni, nuove linee guida, nuova normativa per l’attuazione, nuova formazione, nuovi riferimenti normativi nella documentazione, indecisione sugli orientamenti giurisprudenziali, aumento del contenzioso e rallentamento di tutte le gare. E fermare la spesa pubblica sarebbe un disastro in un momento di crisi, perché gli appalti pubblici sono soldi in cambio di lavoro a differenza dei sussidi che sono soldi in cambio di non lavoro.

Non sono opinioni, ma deduzioni e fatti già accaduti. Il miglior modo per modificare il Codice in un momento in cui si vuole accelerare un treno in corsa anziché fermarlo, resta un intervento mirato per passi successivi. Se si insiste con la revisione integrale, o non si è approfondito a sufficienza la tematica o l’intento è passare alla storia per aver riscritto il Codice, magari dandogli il proprio nome. Auspichiamo dunque che si vada verso una revisione mirata del Codice, che ottimizzi i processi di acquisto pubblico che ormai da quasi due anni per legge devono essere telematici. Da ricordare infatti che se nel 2002 la nostra disciplina nazionale sugli appalti pubblici D.P.R. 101/2002 era la più innovativa in Europa, oggi siamo rimasti pressoché fermi a quella medesima impostazione: mercato elettronico, firma digitale e gare telematiche. Nell’attuale Codice degli Appalti è pressoché assente una diversa disciplina atta a rendere più efficienti le procedure di gara telematiche. In altre parole si è sempre ignorato la prima regola dell’ICT secondo cui prima di digitalizzare un processo lo si deve sempre ripensare e reingegnerizzare. Ebbene nel caso degli appalti pubblici non è così: le procedure di gara eseguite tramite e-Procurement sono pressoché le stesse che gli antichi eseguivano con la ceralacca e i sigilli.

Da ultimo si dovrebbero dare indicazioni sul modo in cui una revisione integrale del Codice possa portare ad una attuazione più semplice. L’ultima revisione del Codice, nell’intento di semplificare, ha cancellato numerosissimi articoli tra Codice e Decreto di attuazione. Ma l’assenza di regole di dettaglio che ha lasciato gli Enti più liberi di decidere non ha avuto l’effetto auspicato di semplificare l’attuazione bensì l’opposto. In assenza di regole, ogni tentativo di introdurre innovazione è stato contrastato dai precedenti orientamenti giurisprudenziali e dalle prassi rimaste ferme. Il risultato è stato l’assenza di innovazione nelle gare da parte degli Enti e il rallentamento degli appalti per diversi mesi. La cancellazione di numerose regole ha comportato un maggiore rischio di diversità interpretativa, di errori e di contenzioso. Auspichiamo dunque che per semplificare ed innovare il Codice si scelga la strada di modificarne in modo selettivo gli articoli.

La promozione dell’e-procurement

L’ottimismo che nasce dalla lettura nel titolo della proposta numero 62 del termine e-procurement con la maiuscola nel posto giusto, come insegnavano nei primi anni 2000 in CNIPA, viene annichilito dalla sintesi “promuovere l’e-procurement a tutti i livelli attraverso l’aggregazione delle stazioni appaltanti per raggiungere la soglia minima e la professionalità adeguata, attivando tutte le leve normative e operative necessarie (e.g., completare la disciplina attuativa per la digitalizzazione degli appalti; creare una base di dati degli appalti pubblici, capillare e qualitativamente elevata)”. È ancora l’impostazione che si usava nei primi anni 2000 quando gli obiettivi di Governo, peraltro mai raggiunti poiché troppo ambiziosi per l’epoca, erano gestire il 50% della spesa per beni e servizi tramite e-Procurement. Sembra quasi che ci si dimentichi che da quasi tre anni l’e-Procurement è obbligatorio per Legge.

E si scivola nell’abbinare l’e-Procurement all’aggregazione delle stazioni appaltanti, ossia l’approccio introdotto venti anni fa con la Legge 488 del 1999 con cui si voleva evitare che ogni Ente facesse una propria gara laddove quegli stessi acquisti si sarebbero potuti effettuare in modo aggregato con vantaggi in termini di capacità negoziale e risparmio di tempo. All’epoca Bassanini scriveva le direttive con cui invitava gli Enti a negoziare i contratti telefonici e all’interno di uno stesso Ministero c’erano decine di contratti identici stipulati con gare di uffici diversi. Aggregare la domanda con Convenzioni e Accordi Quadro è stato certamente il primo passo obbligatorio, ma dopo 20 anni queste hanno raggiunto valori economici e copertura merceologica così ampi da sfiorare i limiti oltre i quali si impatterebbe negativamente sul tessuto delle Imprese e sulla qualità degli acquisti. L’aggregazione delle stazioni appaltanti deve essere infatti limitata alle sole merceologie standardizzate e dove le Imprese sono di dimensione medio-grande. Quando Consip ha aggregato la domanda in mercati ove anche una sola di queste condizioni non si verificava, ci sono stati insuccessi. Non è un caso che oggi l’art. 51 del Codice incentivi la suddivisione di un appalto in lotti obbligando gli Enti a motivare la mancata suddivisione.

La rivoluzione portata dall’e-Procurement è proprio creare efficienza negli acquisti senza necessariamente aggregare le stazioni appaltanti. L’e-Procurement apre la strada a nuove modalità per razionalizzare la spesa pubblica, laddove un Ente svolge una gara in condizioni di massima efficienza e numerosità di partecipanti o più Enti condividono disciplina, infrastrutture e nel caso dei Mercati Elettronici anche un Catalogo di Offerte soggette a continui rilanci. Con l’e-Procurement ciascuna stazione appaltante non deve necessariamente rinunciare alla propria autonomia nel definire i requisiti di acquisto. Ma nella proposta purtroppo non c’è traccia di questa consapevolezza.

I dati di Consip

Numeri alla mano, contando i miliardi di euro di acquisti effettuati tramite gli strumenti di e-Procurement Consip, oggi l’e-Procurement è 36% aggregazione della domanda (Convenzioni e Accordi Quadro con cui Consip aggrega la domanda e negozia), e 64% acquisti in autonomia tramite regole e infrastrutture condivise (Mercato Elettronico e Sistema Dinamico di Acquisizione con cui Consip non aggrega la domanda ma si limita a gestire la piattaforma telematica). Nel 2019 gli Enti hanno stipulato telematicamente contratti per 4,86 Miliardi di Euro in Convenzione e Accordi Quadro, contratti che si sarebbero potuti stipulare senza grosse limitazioni anche senza e-Procurement ma tramite carta o fax come si faceva nel 2001. Ma nel 2019 gli Enti hanno anche stipulato contratti per 8,7 Miliardi di euro tramite Mercato Elettronico e Sistema Dinamico di Acquisizione ossia strumenti di e-Procurement che non aggregano le stazioni appaltanti ma condividono piattaforma, regole ed eventualmente un Catalogo di Offerte. Questi strumenti che non aggregano le stazioni appaltanti e che sono disponibili solo con l’e-Procurement hanno più che raddoppiato il volume dei contratti stipulati dagli Enti tramite Consip.

Come rilanciare il settore

Completa il quadro un insieme di suggerimenti purtroppo ormai fuori tempo, chiunque si occupa di appalti ha già auspicato il completamento della disciplina attuativa per la digitalizzazione delle procedure di appalto su cui l’art. 44 del Codice assegnava un termine scaduto nel 2017 e l’attivazione della Banca Nazionale degli Operatori Economici mai decollata a quattro anni di distanza dal Codice che la istituiva. Anzi, la lista delle promesse disattese del nuovo Codice sarebbe molto più lunga. Se invece chiedessimo alle 100.000 Imprese registrate agli strumenti di e-Procurement Consip come passano la giornata, alcune racconterebbero di aver rinunciato a usarle ed altre invece di spendere molte ore e denaro ogni giorno per cercare le nuove gare sulle decine di piattaforme telematiche pubbliche attive in Italia. Se gli Enti possono decidere di usare una piattaforma telematica nazionale, regionale o provinciale, le Imprese devono usarle tutte per non perdere opportunità. Ciascuna di queste piattaforme è nata con proprie logiche, proprie regole giuridiche, dati e interfacce. E sono tutte diverse, imparare a usarle tutte è un onere sproporzionato oltre che un castigo immeritato. Occorre standardizzare regole, dati e interfacce di queste piattaforme che sono ormai in preda all’anarchia in modo che agli occhi dell’utente sembrino sempre la stessa.

Anche la procedura di partecipazione ai mercati elettronici è semplice solo nelle brochure di marketing, in realtà è ancora complessa quanto partecipare a una gara, con la conseguenza che numerosissime Imprese hanno abbandonato il mercato pubblico. Prima dell’e-Procurement in Italia le imprese che lavoravano per la Pubblica Amministrazione erano quasi due milioni, oggi le Imprese che utilizzano la piattaforma Consip, la più importante per diffusione, sono solo 110.000 ossia circa il 5%. Il 95% delle Imprese sono uscite dal mercato pubblico. Ora sappiamo perché, e quindi possiamo fare qualcosa. Ma nel piano non troviamo nulla a riguardo.

Chiedete a chi scrive i bandi di gara o a chi vi partecipa. Vi spiegheranno che oggi la disciplina di una gara telematica è ancora sostanzialmente identica a quella di una gara tradizionale, addirittura si fanno le sedute pubbliche nonostante non siano necessarie, a conferma del fatto che si è digitalizzato tutto senza minimamente modificare le regole. Il Catalogo del Mercato Elettronico sarebbe stato uno strumento formidabile per come era definito dall’art. 328 del DPR 207/2010: un gigantesco Catalogo di offerte condiviso tra tutti gli Enti dove tutti i fornitori vedono le offerte della concorrenza e rilanciano continuamente su prezzi e qualità per guadagnare merito e probabilità di aggiudicazione. Nel Codice degli Appalti del 2016 è quasi scomparso, così come pressoché scomparsa è la sua efficacia a causa della limitatezza delle funzionalità disponibili nel Mercato Elettronico Consip, detto MePA.

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