La legge di conversione del cosiddetto “Decreto crescita”, ha, tra l’altro, istituito il “Fondo salva-opere” che dovrebbe contribuire ad arginare la piaga dei mancati pagamenti dei crediti vantati dai sub-appaltatori, sub-affidatari e sub-fornitori dell’appaltatore ovvero, nel caso di affidamento a contraente generale, dai suoi affidatari, sub-fornitori, sub-appaltatori, sub-affidatari, quando i debitori siano assoggettati a procedure concorsuali. Vediamo che cosa prevede la normativa relativa a questo strumento di procurement.
Il framework normativo
Il comma 1-ter dell’art. 47 prevede che il sub-appaltatore, sub-affidatario o sub-fornitore, al fine di ottenere il pagamento da parte del Fondo dei crediti maturati prima della data di apertura della procedura concorsuale e alla stessa data insoddisfatti, debba trasmettere all’amministrazione aggiudicatrice o al contraente generale, in caso di affidamento tramite quest’ultimo, la documentazione comprovante l’esistenza del credito vantato e il suo ammontare. I predetti soggetti, effettuate le opportune verifiche, certificano l’ammontare del credito, trasmettendo la relativa certificazione – che costituisce prova del credito nei confronti del fondo – al MIT il quale, accertata la sussistenza delle condizioni per il pagamento dei crediti, provvede all’erogazione delle risorse a valere, appunto, sul Fondo salva-opere. Le modalità con le quali il Fondo opererà sono state rinviate ad un successivo provvedimento attuativo.
L’art. 47 comma 1-quater del decreto citato, nella versione risultante dalla conversione in legge, ha previsto, difatti, un decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore della citata disposizione (ergo, entro il mese di luglio 2019), per “individuare i criteri di assegnazione delle risorse e le modalità operative del Fondo salva-opere”.
Lo stato di attuazione
Il regolamento attuativo previsto dall’art. 47 comma 1-quater è stato pubblicato con notevole ritardo. Difatti, sebbene lo schema di provvedimento abbia ottenuto il 28 ottobre 2019 parere favorevole – seppure con una serie di rilievi – da parte del Consiglio di Stato (cfr. Parere n. 2687/2019), il citato decreto interministeriale attuativo, approvato il successivo 12 novembre 2019, è stato però pubblicato soltanto il 16 dicembre, ovvero più di un mese dopo. Paradossalmente, il termine indicato nel medesimo provvedimento per la presentazione delle domande relative al 2020 da parte degli aventi diritto era già scaduto al momento della pubblicazione, essendo stato fissato al 10 dicembre 2019.
Ciò ha reso necessaria l’adozione di un Decreto Direttoriale da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il n. 16864 del 19 dicembre 2019, che ha riformulato i termini del decreto interministeriale fissando al 24 gennaio 2020 il termine per la presentazione dell’istanza di ammissione al riparto delle risorse del Fondo, al 14 febbraio 2020 il termine per la certificazione del credito da parte delle amministrazioni e, infine, al 6 marzo 2020 quello per la predisposizione del piano unico di riparto per le risorse 2019 e al 1° aprile 2020 quello delle risorse per il corrente anno.
Va considerato, che il Consiglio di Stato aveva reso il proprio parere in un momento di transizione, atteso che l’art. 47 citato era stato modificato dal D.L. 101/2019, ma quest’ultimo provvedimento non era stato ancora convertito in legge, con tutta l’incertezza conseguente su quello che sarebbe stato il tenore finale della norma. Lo stesso Consiglio di Stato, difatti, lasciava nella discrezionalità del MIT valutare se eventuali modifiche apportate dalla legge di conversione del DL 101/2019 all’art. 47 del D.L. 34/2019, per la loro natura sostanziale ed innovativa rispetto al testo legislativo vigente al momento in cui il parere era stato reso, giustificassero o meno una nuova richiesta di parere prima della formale emanazione del regolamento. Solo pochi giorni dopo la pubblicazione del parere citato è effettivamente intervenuta la conversione in legge, con alcune modifiche, del D.L. 101/2019. Il MIT non ha nuovamente sottoposto al Consiglio di Stato lo schema di regolamento, ma i tempi di pubblicazione sono slittati.
Osservazioni del Consiglio di Stato
Alcuni aspetti delle considerazioni svolte dal Consiglio di Stato sullo schema di regolamento appaiono particolarmente interessanti, soprattutto se le si pone in relazione con le criticità rinvenibili nella norma primaria. Innanzitutto appare significativo che il Consiglio di Stato condivida la scelta presente nello schema di decreto e confermata dal DM 144/2019 di limitare – pure se in carenza di una precisa indicazione in tal senso da parte dell’art. 47 cit. – ai soli appalti pubblici di servizi e forniture “connessi alla realizzazione di opere pubbliche” oltre che, ovviamente agli appalti di lavori, l’applicabilità delle disposizioni relative al Fondo Salva opere.
Tale limitazione, difatti, pur mancando un riferimento normativo, è stata ritenuta congruente con lo spirito della legge, chiaramente orientata a salvaguardare le opere pubbliche, impedendone l’arenamento conseguente al mancato pagamento dei soggetti coinvolti nella loro realizzazione da parte dell’appaltatore o del contraente generale, oltre che rispettosa di esigenze di proporzionalità e simmetria in relazione alle risorse che alimentano il Fondo stesso, le quali rinvengono, per l’appunto, esclusivamente dai ribassi offerti dall’aggiudicatario nelle gare di appalto di lavori o servizi e forniture connessi alla realizzazione di opere pubbliche.
Quanto osservato dal Consiglio di Stato è ineccepibile e conferma la virata “lavoricentrica” della recente produzione normativa: dallo Sblocca-cantieri al Fondo Salva Opere, i lavori pubblici tornano a rappresentare la principale preoccupazione del legislatore. Un altro aspetto interessante, è costituito dalle osservazioni dei Giudici di Palazzo Spada in ordine all’indicazione del limite percentuale massimo di accesso alle risorse del Fondo rispetto all’entità del credito vantato. Il comma 1-bis dell’articolo 47, introdotto dalla legge di conversione e poi modificato dal D.L. 101/2019, prevede, testualmente, che “Le risorse del Fondo sono destinate a soddisfare, nella misura massima del 70 per cento, i crediti insoddisfatti dei sub-appaltatori, dei sub-affidatari e dei sub-fornitori nei confronti dell’appaltatore ovvero, nel caso di affidamento a contraente generale, dei suoi affidatari, sub-fornitori, sub-appaltatori, sub-affidatari, quando questi sono assoggettati a procedura concorsuale, nei limiti della dotazione del Fondo”.
Le criticità della norma
Così scritta, la norma potrebbe significare:
- che il Fondo, fino a concorrenza delle risorse disponibili, viene utilizzato per pagare i crediti insoluti vantati dai soggetti di cui sopra nella misura massima del 70% e comunque nei limiti (eventualmente inferiori al 70%) della disponibilità,
- che il 70% delle risorse disponibili del Fondo vengono utilizzate per pagare i crediti insoluti vantati dai soggetti di cui sopra, in teoria anche nella misura massima del 100% e che l’ulteriore 30% delle risorse disponibili viene destinato ad altre modalità di “salvataggio” delle opere.
Il Consiglio di Stato, pur esprimendo dei rilievi sia in ordine alla formulazione del modello di istanza di ammissione al Fondo, sia in ordine a quanto previsto dallo schema di regolamento per l’eventualità in cui le risorse ripartibili tra i potenziali beneficiari fossero inferiori all’ammontare massimo riconoscibile, ha comunque mostrato di condividere l’interpretazione – più logica – sub i). Inoltre, il Consiglio di Stato ha suggerito, nel caso – tutt’altro che improbabile – che le risorse disponibili non siano sufficienti a soddisfare il 70% dei crediti insoluti ammessi al riparto, un meccanismo basato sul criterio cronologico. In buona sostanza, ove il piano di riparto per un determinato anno non consenta, date le risorse disponibili, di soddisfare gli aventi diritto nella misura massima ammissibile (70% del credito accertato), questi ultimi, limitatamente alla quota non soddisfatta, dovranno essere inseriti in via prioritaria nel piano di riparto dell’anno successivo. I nuovi richiedenti, quindi, potranno ottenere l’anelato pagamento solo dopo l’intervenuta soddisfazione nella misura massima ammissibile, dei precedenti richiedenti.
Certamente il meccanismo proposto dal Consiglio di Stato e accolto nella versione finale del decreto interministeriale (cfr. art. 4 comma 3) appare logico e ispirato a criteri di proporzionalità e parità di trattamento. Tuttavia è evidente che l’effettiva capacità del fondo di incidere sul contesto dipenderà dall’ammontare di risorse ripartibili. Ove queste, come da varie parti si paventa, dovessero risultare nettamente insufficienti a far fronte alle esigenze, la speranza di ottenere in tempi celeri quanto meno il ristoro del 70% dei crediti vantati diventerebbe molto labile.
Il Decreto direttoriale
Come già accennato, i termini previsti dal DM 144/2019 sono stati rettificati dal successivo Decreto Direttoriale per quanto attiene alla fase di avvio dell’operatività del Fondo stesso, atteso che il primo di essi – dal quale dipendevano logicamente i successivi – risultava già scaduto al momento della pubblicazione dell’atto sulla Gazzetta Ufficiale. Appare interessante la previsione contenuta al comma 2 dell’art. 2 del DM 144/2019, secondo la quale il MIT provvede a diffidare – anche sulla base dei dati contenuti nelle banche dati disponibili – le amministrazioni aggiudicatrici e i contraenti generali che si sottraggono all’obbligo di tempestivo versamento delle somme destinate ad alimentare il Fondo e rinvenienti dall’importo dei ribassi d’asta offerti dagli aggiudicatari, nel termine di 30 giorni dall’aggiudicazione stessa.
Da segnalare è anche il meccanismo previsto dall’art. 3 comma 7 per il caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice o il contraente generale cui è stata rivolta dai soggetti potenzialmente beneficiari del Fondo l’istanza per la certificazione dei relativi crediti, la rigettino totalmente o parzialmente, ovvero non provvedano a darvi riscontro nel termine di 30 giorni dalla ricezione. In tal caso il soggetto richiedente potrà trasmettere direttamente al Ministero entro i successivi 30 giorni (decorrenti, rispettivamente, dal provvedimento espresso di rigetto oppure dallo spirare del termine fissato per il rilascio della certificazione, nel caso di inerzia dell’amministrazione giudicatrice o del contraente generale) tutta la documentazione a fondamento dell’istanza, l’eventuale provvedimento di rigetto ogni altro utile elemento. Il Ministero, esaminato il tutto, entro i successivi trenta giorni potrà invitare l’amministrazione giudicatrice o il contraente generale a provvedere o a pronunciarsi di nuovo entro un congruo termine, comunque non superiore a 30 giorni.
Considerazioni finali
Certamente un meccanismo che tuteli gli anelli più deboli della filiera dell’appalto evitando che su di essi si scarichi il rischio dell’insolvenza del contraente principale è da salutare con favore. Non vi è dubbio, tuttavia, che per valutare compiutamente l’efficacia dello strumento si dovrà attendere il concreto funzionamento delle procedure previste dal regolamento attuativo – ivi inclusa la capacità dei soggetti coinvolti di rispettare i termini fissati per la conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza e l’efficacia degli strumenti previsti, quali la diffida alle amministrazioni inadempienti e/o la revisione del provvedimento di rigetto dell’istanza o l’invito a provvedervi – e (soprattutto) la reale consistenza delle risorse destinate al Fondo rispetto all’entità dei crediti ammissibili al riparto.
Va anche rammentato che il Fondo opera solo con riferimento agli appalti di competenza statale e non può, quindi, essere attivato per le gare aggiudicate da Comuni, Città Metropolitane, Province, anche autonome, e Regioni, quindi seppure avesse una dotazione sufficiente, non potrà certamente risolvere tutte le situazioni critiche.