Il Decreto Rilancio rinvia ancora una volta l’appuntamento con quelle scelte, ormai ritenute improcrastinabili non solo all’interno del Paese, da inquadrarsi in un’indispensabile coerente visione di sistema finalizzata al perseguimento della crescita. Scelte che sono le uniche capaci di sostenere, nel medio periodo, gli aiuti oggi senz’altro necessari alla sopravvivenza, ma da inquadrare nel solo contesto possibile: quello di favorire la ripresa produttiva e con essa la generazione della nuova ricchezza indispensabile per sostenere l’odierno intervento di soccorso. Vediamo quindi quali sono gli elementi più importanti che mancano nel DL, a cominciare dagli investimenti nelle infrastrutture e in innovazione.
I grandi assenti: infrastrutture e digitale
Il Decreto Rilancio è privo dell’atteso capitolo relativo agli investimenti infrastrutturali, cioè della parte riferita all’utilizzo, in termini finalmente incisivi, di questa importante leva, più che mai indispensabile per riportare al più presto il Paese sulla strada della ripresa economica se si vuol evitare di conteggiare, a fine anno, una flessione del PIL senza precedenti, che gli stessi documenti del Governo purtroppo hanno già stimato al 10%[1]. Se si eccettua, infatti, un limitato intervento destinato ad agevolare l’erogazione delle anticipazioni nei contratti pubblici, scelta questa che correttamente inietta liquidità nel sistema produttivo senza pesare sull’indebitamento, per il resto l’assai corposo decreto, composto da ben 266 articoli, si sostanzia in una lunga lista di interventi a pioggia, ispirati da logiche puramente assistenziali e di sola distribuzione di risorse che, al di là delle affermazioni di rito, scarseggiano o comunque sono destinate ad aggravare il bilancio dello Stato.
Privo quindi di tali scelte, il Decreto “Rilancio” è carente altresì di qualsivoglia opzione verso l’innovazione tramite digitalizzazione dei processi che, se realmente perseguita, costituirebbe una delle riforme fondamentali di cui il Paese ha bisogno per recuperare competitività sul piano generale, nello specifico per rendere l’investimento nelle costruzioni efficace, accelerando le procedure ed assicurando efficienza ed efficacia ad una politica di sviluppo che voglia puntare su tale settore produttivo, garantendo altresì quei profili di legalità giustamente spesso invocati, da non trascurare anche laddove i processi vadano accelerati.
Edilizia ed ecobonus
La parte che il Decreto dedica al settore delle costruzioni riguarda l’edilizia privata; ottima l’idea che troviamo all’articolo 121, di innescare un ciclo virtuoso attraverso la concessione di crediti d’imposta, cedibili a terzi, di importo addirittura superiori all’entità della spesa effettuata, laddove si tratti di realizzare interventi di ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare. Trattasi di una scelta coerente rispetto ad un’idea di evoluzione del Paese verso politiche ambientali di riduzione delle emissioni e lotta al CO2, in linea con gli obiettivi europei, che utilizza la leva fiscale per ottenere tale risultato, allo stesso modo attivando la ripresa del ciclo economico di cui, come già osservato, tanto l’Italia che l’Europa hanno oggi bisogno.
Manca, tuttavia, in questo disegno un punto di non secondaria importanza: la previsione di modalità di controllo efficaci, ancorché non invasive, né d’ostacolo alla rapida implementazione dell’effetto moltiplicatore che tale politica è in grado di generare sul ciclo economico, volto in sostanza ad evitare che l’operazione possa tradursi nella creazione di fatturazioni non rispondenti ai reali processi attivati, intestate ad operatori economici di dubbia capacità, reputazione e finanche esistenza. A parte i profili penali che questo scenario andrebbe ad implicare, risulta evidente il rischio di deviazione rispetto alle finalità che l’intervento si prefigge, incluso il ridotto o inesistente impatto sull’effetto moltiplicatore proprio dell’investimento nel settore delle costruzioni.
E che quello prefigurato sia un rischio concreto lo testimonia la previsione di cui al comma 14, del l’articolo 119 del decreto, che introduce un forte apparato sanzionatorio a rischio, però, di rimanere sulla carta come già accaduto in circostanze simili; l’adozione di strumenti di digitalizzazione nella gestione della procedura prevista per la creazione di ciò che, in caso di cessione a terzi del beneficio fiscale potrebbe divenire, nella sostanza, un titolo circolante (l’attuazione del sistema è rimessa dal comma 7 dell’articolo 12 ad un decreto ministeriale da emanarsi entro il 18 giugno), è fondamentale per garantire legalità, trasparenza e pieno risultato all’operazione messa in campo dal Governo.
L’impiego di blockchain
Subordinare il tempestivo rilascio del bonus fiscale, da incorporare in un titolo con cui l’acquirente dell’intervento di ristrutturazione edilizia paga l’impresa esecutrice, che a sua volta potrà cederlo a terzi, ad un rapido ma efficace procedimento di notarizzazione informatica (utilizzo di blockchain) a cura dell’emittente del titolo stesso, al quale il privato richiedente sottopone oltre alla fattura gli altri elementi significativi, potrebbe risultare decisivo per assicurare efficienza e correttezza all’intero processo; con le stesse forme andrebbero trattati anche i successivi passaggi.
Il sistema, che dovrebbe poter contare su una rete di operatori qualificati a svolgere l’operazione notarizzante, peraltro non di particolare difficoltà (controllo formale della documentazione richiesta e suo caricamento informatico in blockchain), garantirebbe la pronta attivazione dell’operazione, il rilascio del titolo (di pagamento) a vista e la possibilità di costituire nel frattempo una task force dedicata ai successivi controlli, con applicazione delle sanzioni che già la legge prevede, in questo caso con modalità efficaci. Derivata importante di siffatto meccanismo, tra le altre, la possibilità di utilizzare per l’esecuzione dei lavori operatori economici qualificati.
Lo sblocco delle grandi opere
Eccettuato l’intervento sulle anticipazioni contrattuali di cui all’articolo 207, manca però nel decreto, come già detto, tutto il capitolo opere pubbliche, rispetto al quale, ancor prima di valutare come la digitalizzazione possa essere d’aiuto nel migliorare i processi, il punto attiene all’ambito delle modifiche da apportare al quadro normativo vigente.
Al riguardo, molti spunti sono già stati offerti al legislatore da chi scrive nell’ambito di un nostro precedente intervento; non indugeremo, quindi, nel riproporli in questa sede, ancorché possa essere utile ribadire come, da un lato il vagheggiato “modello Genova” non sia in grado di rappresentare la soluzione generale sulla quale acriticamente puntare per sbloccare l’intero contesto delle opere pubbliche. Ciò in considerazione della non riproducibilità dell’operazione, se non in limitati casi dove le relative precondizioni risultino esser le stesse: il ripristino di un’opera esistente che per questo non necessita di processi autorizzativi a monte; una progettazione acquisita prontamente e a costo zero; la scelta del contraente priva di una procedura competitiva propriamente detta, di regola prescritta anche nell’ipotesi derogatoria di cui all’articolo 32 della Direttiva 2014/24/UE, spesso evocata quale panacea risolutiva di tutti gli italici mali; la possibilità di retribuire l’opera a piè di lista da parte di soggetto terzo a ciò tenuto, diverso dal committente pubblico.
In questo senso, ferma la necessità di operare in modo adeguato per lo sblocco delle grandi opere di cui il Paese ha da troppo tempo bisogno, l’altro punto indispensabile sul quale ribadire la necessità di intervenire, è la diretta attribuzione ai territori, in primis Comuni e Province, di importanti liquidità da utilizzarsi necessariamente entro precise scadenze e con destinazione vincolata agli investimenti, sulla falsariga di quanto è stato già fatto con le leggi di bilancio per il 2018 ed il 2019, accompagnando il tutto con la previsione, per un arco temporale circoscritto, di attribuzioni dirette una tantum, al fine di riattivare in modo pronto e diffuso sul territorio il ciclo economico connesso agli investimenti in opere pubbliche.
Criticità nelle procedure
Nell’ottica della diffusione degli interventi sul territorio da ultimo considerata rilevano anche alcune considerazioni sull’approccio seguito dal decreto “Rilancio” sul tema anticipazioni. Se, infatti, è del tutto condivisibile, come detto, la scelta di anticipare l’immissione di liquidità nel sistema rispetto all’esecuzione delle corrispondenti prestazioni, in via generalizzata e financo laddove, ancorché in parte, erogazioni a tale titolo risultino già intervenute, l’ambito che resta paradossalmente fuori da tale corretta impostazione è quello dei cosiddetti accordi quadro, per lo più destinati ad attivare interventi di manutenzione diffusi, in quanto per natura parcellizzati, necessari per tenere in esercizio opere ed infrastrutture destinate a garantire servizi pubblici essenziali.
L’inesistenza di un appalto propriamente detto, infatti, bensì solo di un accordo generale su prezzi e tempi che vincola l’operatore economico ad intervenire sulla singola necessità mediante attivazione di specifici contratti attuativi dell’accordo generale, impedisce di corrispondere anticipi congruenti al valore complessivo dell’accordo quadro. Ulteriore paradosso è che dette modalità operative rendono inutili, anche rispetto al solo singolo atto attuativo, le agevolazioni introdotte dal la norma; spesso, infatti, trattasi di interventi di rapida conclusione, dove l’esecuzione viene ad esaurirsi addirittura prima delle tempistiche necessarie ad erogare l’anticipazione, ciò che diventa ancor più oneroso laddove vengano attivati più contratti attuativi, con modalità ravvicinate e/o sostanzialmente contemporanee. Appare, quindi, necessario completare l’intervento avviato con il decreto rilancio, all’atto della sua conversione in legge, estendendo l’articolo 207 anche gli accordi quadro.
Semplificare la burocrazia
Venendo, infine, all’atteso Decreto “Semplificazioni”, pare ormai acquisito che la reintroduzione di un regolamento attuativo del Codice dei contratti secondo quanto previsto dalla norma “sblocca-cantieri” del 2019 sia destinata, per lo meno, a cedergli il passo. In questo senso appare in effetti preferibile procedere alla semplificare della generalità dei contratti intervenendo direttamente sul codice con l’eliminazione, al suo interno, degli eventuali colli di bottiglia, anziché passare per un provvedimento di ulteriori 350 articoli che non sembrano rappresentare il miglior viatico per la semplificazione; semplificazione che del resto non riguarda solo il Codice dei contratti ma anche, e forse soprattutto, la fase approvativa a monte dei singoli progetti, specie se riferiti a grandi opere.
Registra inoltre autorevole adesione anche l’esigenza di porre mano al tema blocco della firma o, come alcuni la definiscono, dell’amministrazione difensiva, senza la quale financo azzerare, per paradosso, il Codice dei contratti, invocando quale unico riferimento operativo il già citato articolo 32 della Direttiva comunitaria 2014/24, come da più parti richiesto, determinerebbe un blocco ancor più radicale di ogni attività per l’assenza di parametri comportamentali ai quali ancorare le singole azioni, per renderle esenti da responsabilità contabile, prima ancora che penale.
In questo senso appare quindi indispensabile restituire, ovvero assicurare adeguate coperture all’azione del pubblico funzionario attraverso modalità che, sulla falsariga di quanto avviene per la responsabilità dei medici ai sensi della legge 24 del 2017, anche nel campo della contrattualistica pubblica possano escludere la colpa grave nei giudizi davanti alla Corte dei Conti, nel caso in cui sia dimostrata l’applicazione di una linea guida o di una circolare applicativa. Nella misura in cui tale approccio dovesse considerarsi condivisibile, le successive domande sono come poter verificare che l’impostazione seguita sia conforme ad una linea guida o ad un protocollo assumibile come modello qualificato tale da escludere la colpa grave e come la digitalizzazione dei processi possa aiutare in tal senso.
La risposta ad entrambe le domande può offrirla, a nostro avviso, l’adozione di ciò che potremmo definire come un procedimento amministrativo assistito, e cioè l’esperimento di un intera sequenza di atti propedeutici all’assunzione del provvedimento finale, ad esempio l’attribuzione di una commessa, attraverso software informatici predefiniti che contemplino la serie sequenziale degli atti e le modalità ottimali per la loro gestione, tale per cui l’applicazione dello stesso, unitamente alla fonte da cui promana, escludano a priori la possibilità di configurare un’azione distorta da parte dell’operatore e quindi colpa grave nell’attività compiuta. Si tratterebbe, in sostanza, dell’evoluzione del meccanismo delle linee guida che starebbero allo strumento del procedimento assistito come le mappe stradali stanno oggi ai navigatori. In tale ottica, anche la possibilità di utilizzo di opzioni diverse da parte dell’operatore verrebbe ad essere salvaguardata, così come il guidatore è libero di scegliere itinerari diversi da quelli indicati dal navigatore, con la sola conseguenza dell’assenza della non imputabilità ex lege di chi abbia operato in difformità.
Conclusione
In conclusione, che si tratti dei processi realizzativi delle opere pubbliche o della concessione di detrazioni fiscali per questo o quell’intervento, ciò di cui il Paese ha realmente bisogno è la scelta di compiere un passo decisivo verso la digitalizzazione dei processi, come vera riforma di sistema che, proseguendo sulla strada intrapresa negli anni Novanta, successivamente smarrita, venga a dotare il Paese di una pubblica amministrazione veloce, efficiente ed efficace, in grado limitare le distorsioni e di attrarre gli investimenti, aiutando il ciclo economico a ritrovare quegli obiettivi di crescita un tempo noti ma da tempo sempre più assenti.
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Note
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