Ho seguito con attenzione gli ultimi sviluppi sullo stato dell’innovazione nel nostro paese, sulla discussione di quanto essenziale sia favorire lo sviluppo del digitale, specie in ambito pubblico, su quanto ci si stia adoperando per favorire tutto questo tramite un uso intelligente degli acquisti fatti dalla pubblica.
Alcuni contributi che ho letto si sono rivelati interessanti. Ma dopo gli anni passati ad argomentare su come fare perché l’innovazione diventi realtà, e non semplice annuncio, qualche dubbio mi viene.
Perché ciò che da altre parti ha funzionato, da noi non funziona?
Perché il paese continua a essere ostinatamente refrattario al cambiamento?
E’ il paese – ossia le imprese, i cittadini, le istituzioni che non funzionano?
Oppure il problema è un altro? Ma allora, quale?
Certo, alcuni fattori non aiutano l’innovazione: la demografia, la marginalità di alcuni territori e di alcuni segmenti della società.
Ma come può essere refrattario all’innovazione un sistema che da decenni fonda il proprio successo e il proprio benessere sulla sua capacità di battere la concorrenza estera sui suoi stessi mercati, piazzando quote importati della sua produzione?
Come può non voler innovare un sistema da cui origina una parte significativa del sapere scientifico e tecnologico europeo e mondiale? E così via con altri esempi.
Il punto è che il problema non riguarda il paese ma le politiche – cioè la politica e le istituzioni pubbliche, che non funzionano.
Il caso del procurement pubblico ne è un esempio.
Da anni si parla di riformare la normativa sugli appalti e del fatto che questa – tra i vari obiettivi a cui mirare – deve comprendere il fare degli acquisti della PA quale leva per indurre le imprese a sviluppare nuovi prodotti, fortemente caratterizzati sotto il profilo delle nuove tecnologie. E dopo riflessioni, consultazioni, bozze, approvazioni, emendamenti, nuove approvazioni finalmente il nuovo testo c’è, quantomeno sulla carta.
Da anni si parla di riorganizzazione dei punti d’acquisto della PA, di CONSIP, di creazione di centri regionali specializzati. E anche in questo caso, dopo riflessioni, consultazioni, bozze, approvazioni, emendamenti, nuove approvazioni il nuovo testo c’è. Ma, di nuovo, solo sulla carta.
Il punto è che spesso ci si dimentica che quando in gioco c’è un sistema fatto di migliaia di operatori istituzionali, di milioni di imprese, di decine di milioni di cittadini, il cambiamento non avviene solo perché si cambiano le regole ma anche – e soprattutto – perché queste sono pensate e accompagnate da azioni capaci di indurre gli operatori a cambiare nel concreto i loro comportamenti.
Le regole sono importanti per rendere chiaro quel che si deve fare e ciò che invece è proibito; per stabilire come va punito chi non le rispetta; per decidere se per favorire il cambiamento servono dei premi.
Ma questo non basta.
Soprattutto non basta quando c’è grande distanza tra chi scrive le regole e chi è chiamato a applicarle. Quando c’è scarsa conoscenza delle stesse regole. Quando è basso il grado di credibilità che accompagna la loro messa in campo. In questi casi, oltre a cambiare le regole serve innescare altre operazioni: gestione delle reti e dei servizi pubblici, comunicazione, (in)formazione, accompagnamento, affiancamento. Insomma, oltre alle regole serve che le amministrazioni responsabili (ministeri, società pubbliche, agenzie, regioni amministrazioni locali) lavorino per far sì che le previsioni si trasformino in comportamenti reali, facendo diventare realtà il cambiamento.
E’ qui che casca l’asino. In questi anni, mentre la politica ha dato vita a un veloce, talvolta frenetico – ma comunque meritorio – susseguirsi di interventi di tipo regolatorio, poco (nulla) si è fatto sul fronte dell’amministrazione perché le nuove norme potessero davvero essere la premessa per una trasformazione in positivo del sistema: nessun rispetto delle tempistiche, nessuna attenzione agli aspetti pratici delle riforme, nessuna riforma delle modalità di lavoro della PA, nessuna riorganizzazione istituzionale in grado di favorire l’attuazione delle nuove attività da svolgere.
Come è essenziale vincere la battaglia per vincere la guerra, cambiare la normativa è essenziale per realizzare le riforme. Ma dopo la vittoria serve che all’esercito arrivino i rifornimenti, altrimenti c’è il rischio di dover fare retromarcia perché senza vettovaglie per sopravvivere: serve che l’intendenza segua.
Nel nostro caso, a quando l’arrivo dell’intendenza?
*l’autore scrive a titolo personale