Il Piano Triennale è l’ultimo di una serie di interventi istituzionali volti ad accelerare la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione italiana, riqualificando la spesa pubblica in tecnologie digitali.
Tale strategia, è caratterizzata da quattro interventi chiave:
- Istituzione dei soggetti aggregatori: l’Italia ha deciso di adottare un modello di centralizzazione obbligatoria di alcune tipologie di acquisti pubblici per conciliare lotta alla corruzione, efficienza e innovazione; tale modello è basato su 33 soggetti che aggregano e gestiscono le esigenze di acquisto della PA;
- Finanziaria 2016: stabilisce il passaggio obbligato dai soggetti aggregatori di tutti gli acquisti pubblici in tecnologie digitali, obiettivi di risparmio per il triennio 2016-2018 e spese pubbliche escluse da tali obiettivi.
- Nuovo codice dei contratti pubblici: introduce nuove procedure per l’acquisto di innovazione, spinge verso una qualificazione di domanda e offerta, rafforza il modello di centralizzazione della domanda, obbliga la digitalizzazione dei processi di acquisto pubblico e cerca di stimolare una maggiore collaborazione tra PA e imprese.
- Piano triennale per l’informatica nella PA: definisce una roadmap di investimenti da realizzare, obiettivi di spesa da raggiungere e indicazioni per riqualificare le spese correnti in tecnologie digitali.
Sostanzialmente con questi quattro interventi si cerca di ridurre le tante spese correnti improduttive della nostra PA per recuperare risorse da investire in alcuni progetti abilitanti, utili all’intero Paese e specificati nel Piano. Quest’ultimo indica cosa comprare, il codice dei contratti pubblici fornisce gli strumenti per farlo, la finanziaria obbliga le PA a fare tali investimenti con tali strumenti e i soggetti aggregatori gestiscono l’aggregazione della domanda e l’interazione con il mondo dell’offerta. Sulla carta è un un nuovo modello di procurement pubblico che ha molto senso. Purtroppo, tuttavia, tale modello finora funziona bene solo sulla carta. Nella realtà ci sono ancora diverse questioni da correggere che forniscono alibi all’immobilismo sia all’offerta che alla domanda di tecnologie digitali.
Per esempio, alcune delle innovazioni digitali alla base del Piano triennale non sono facilmente acquistabili dalla PA. Basta pensare alle soluzioni in modalità as-a-service e agli approcci “agile” allo sviluppo applicativo. Il piano sottolinea fortemente l’importanza di queste soluzioni e approcci. Tuttavia le attuali modalità con cui si fa procurement di tali innovazioni presentano ancora delle criticità.
Soluzioni in modalità As-a-Service
- Attuale modalità di procurement:
- Si forza l’utilizzo da parte delle PA dei servizi as-a-service (non solo IaaS e PaaS ma anche SaaS) offerti da Consip nella Gara “SPC Cloud”;
- Sono previsti acquisti autonomi per esigenze non soddisfatte da soluzioni disponibili grazie ai soggetti aggregatori, ma occorre l’autorizzazione preventiva del dirigente apicale e la comunicazione ad AgID e ANAC (con possibili responsabilità, anche di danno erariale, nel caso si ritenga non giustificato l’acquisto autonomo).
- Criticità:
- Non tutte le soluzioni cloud sono disponibili nella Gara “SPC Cloud” (ad esempio, la gara sui sistemi gestionali integrati (ERP o gestione dei procedimenti amministrativi) è stata aggiudicata durante l’estate ma non è ancora stata attivata);
- Fuori dagli accordi quadro di Consip, a seconda della spesa da sostenere, cambiano le procedure di acquisto, generando confusione sia nell’offerta che nella domanda;
- Si forza l’utilizzo dei servizi offerti da Consip, con prezzi definiti nel 2016 e bloccati per 18 mesi;
- I processi di procurement risultano ancora molto complessi e disincentivano la partecipazione di provider internazionali e/o di PMI/startups innovative.
Approcci “Agile” all’innovazione:
- Attuale modalità di procurement:
- Il Codice mette a disposizione i partenariati per l’innovazione (PPI), che possono essere articolati in fasi alla fine delle quali si può scegliere di proseguire solo con alcuni partner a seconda degli esiti della fase precedente;
- Oltre ai PPI ci sono gli applati pre-commerciali (PCP) che sono molto incentivati in tutta Europa per fare innovazione digitale;
- In fase di aggiudicazione di una gara è possibile prevedere l’attribuzione di un punteggio per il team che svolgerà le attività e l’obbligo di non procedere alla sostituzione delle risorse impiegate se non con altre con qualificazione analoga.
- Criticità:
- Si registra ancora una forte dilatazione dei tempi di gestione dei partenariati, che è sostanzialmente incompatibile con la gran parte dello sviluppo applicativo previsto dal Piano triennale;
- Non esistono esperienze concrete a cui far riferimento per l’impiego di tali strumenti innovativi (ad esempio erano 6 i PPI in ambito ICT attivati in tutta Europa a Maggio 2017);
- I processi di procurement risultano ancora molto complessi e disincentivano la partecipazione di provider internazionali e/o di PMI/startups innovative.
È necessario che gli strumenti a disposizione di chi compra e vende innovazione digitale in ambito pubblico siano adeguati alle sfide che ci troveremo ad affrontare nello scenario tratteggiato dal Piano triennale. In caso contrario, il nuovo modello di procurement pubblico che si sta costruendo in questo Paese con tanta fatica e tempo rischia di rimanere solo sulla carta, rallentando (o peggio, bloccando) l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana.
Non bisogna però lavorare solo sugli strumenti. Il nuovo Codice dei contratti pubblici spinge verso un’evoluzione qualitativa di domanda e offerta di innovazione digitale, cercando di incentivare il più possibile le collaborazioni tra imprese e PA. Per concretizzare queste opportunità è necessario però che entrambi cambino il loro modo di operare e acquisiscano nuove competenze.
Evoluzioni necessarie per le imprese
In passato, le imprese sono state spesso chiamate a rispondere a richieste pubbliche rigide e mal definite. L’aggiudicazione delle gare era quasi sempre basata sul criterio del massimo ribasso, determinando cosi una forte attenzione alla competitività economica piuttosto che all’innovazione e alla qualità della proposta. La poca precisione dei documenti di gara e l’assenza di controlli adeguati in fase esecutiva hanno poi determinato in diversi casi una bassa rispondenza tra quanto promesso in fase di aggiudicazione e quanto effettivamente prodotto. Tutto questo dovrebbe cambiare con il nuovo Codice, che chiede alle imprese:
- maggiore capacità innovativa: uno dei principali driver su cui si baseranno le aggiudicazioni delle gare;
- maggiore competitività: il passaggio a un sistema in cui l’aggiudicazione è basata sul miglior rapporto qualità/prezzo, la maggior qualificazione delle stazioni appaltanti e la definizione di progetti più completi ed efficaci richiederanno alle imprese di proporre offerte che rispondano con maggior qualità e minor prezzo alle esigenze della PA;
- maggiore attenzione alla fase esecutiva nel rispetto delle “promesse”: il nuovo codice prevede il rafforzamento dei controlli in fase esecutiva e la valorizzazione, attraverso il rating di impresa, dell’adabilità dell’operatore economico; le imprese dovranno quindi porre maggiore attenzione alla qualità e rispondenza degli output rispetto a quanto specificato nel documento di gara per non incorrere in penali, risoluzione dei contratti o esclusione da gare successive.
Evoluzioni necessarie per le PA. Il nuovo codice prevede che anche le PA sviluppino nuove competenze, imparando a utilizzare in modo efficace ed efficiente le nuove procedure di acquisto messe a disposizione e a determinare gli elementi chiave per il successo delle iniziative (corretta allocazione dei rischi, corretta definizione del regime di proprietà intellettuale da applicare ai risultati del partenariato per l’innovazione, ecc.). In particolare le PA devono garantire:
- maggiore qualificazione: il codice prevede l’introduzione di un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti che verifichi: (1) la loro capacità di svolgere le diverse procedure di affidamento, (2) lo svolgimento di percorsi di formazione, (3) l’esistenza di strutture dedicate ai processi di approvvigionamento e (4) la qualità delle risorse impegnate;
- maggiore capacità di gestione e governo dei processi: in questo contesto assume un ruolo particolarmente rilevante il responsabile unico del procedimento che deve essere un vero e proprio project manager in grado di coordinare tutte le attività del processo;
- capacità di esercizio corretto della discrezionalità: il nuovo quadro normativo valorizza l’elemento della discrezionalità amministrativa, ovvero la capacità delle stazioni appaltanti di comprendere gli obiettivi e i bisogni dell’amministrazione e identificare gli elementi che permettano di assolverli.
Più in generale, un nuovo modello di procurement pubblico significa non soltanto nuovi strumenti, nuove procedure, ma anche e soprattutto un nuovo modo di pensare i processi di approvvigionamento. Occorre fare sinergia tra disposizioni normative, provvedimenti attuativi di regolamentazione flessibile, conoscenza degli strumenti disponibili, capacità di programmazione, disponibilità al cambiamento. Nessun fattore, da solo, è in grado di generare un reale cambiamento. Sono necessari tutti e sono necessari quanto prima.