Nel mare magnum delle informazioni cui siamo quotidianamente esposti, potrebbe essere sfuggita la portata straordinaria della Raccomandazione (UE) 2017/1805 della Commissione del 3 ottobre 2017 relativa alla professionalizzazione degli operatori impegnati negli appalti pubblici (professionalizzazione stazioni appaltanti). Nella sua brevità quasi lapidaria, altro fatto relativamente inusuale, il testo composto da sole quattro pagine lancia la sfida del “miglioramento complessivo dell’intera gamma di abilità, competenze, conoscenze ed esperienze professionali delle persone che svolgono o contribuiscono a svolgere compiti relativi alle procedure di appalto”.
Ben sappiamo che nell’ordinamento comunitario, le Raccomandazioni della Commissione agli Stati membri non hanno potere vincolante, a differenza di altre fonti normative (come il Regolamento o, a certe condizioni, la Direttiva). Tuttavia, nel settore specifico dell’istruzione e formazione, dove ciascun Paese europeo è responsabile del proprio sistema, anche l’uso di uno strumento soft come la Raccomandazione è alquanto raro, e di solito riguarda temi di rilievo particolare, oltre che di interesse comune a tutti gli Stati membri. Merita quindi soffermarsi brevemente su questo testo per coglierne alcuni aspetti di innovatività.
L’efficacia degli appalti pubblici: non contano solo i criteri economici
In primo luogo, due frasi di inquadramento del contesto. Quello stesso giorno, il 3 ottobre 2017, la Commissione ha anche emanato una Comunicazione (strumento ancora più leggero, pressoché equivalente ad un’analisi di stato dell’arte), rubricata con l’identificativo COM(2017) 572 final, sul tema dell’efficacia degli appalti pubblici, “in Europa e per l’Europa”.
Per alcuni aspetti l’argomento viene da lontano, ed in particolare dal fascio di Direttive che, nella primavera del 2014, furono licenziate dalla precedente legislatura parlamentare e recepite negli ordinamenti di quasi tutti gli Stati membri (in Italia, con il nuovo Codice degli Appalti, D.Lgs. 50/2016) nel termine imposto di due anni.
Per altro verso tuttavia, la ratio legis sembra essersi leggermente spostata, nel testo di questa Comunicazione, dal familiare riferimento all’efficienza dell’azione amministrativa e del rapporto prezzo/prestazione verso un tema più generale, chiamato appunto efficacia, che rimanda a criteri non perfettamente presidiati dal ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa, quali ad esempio l’impatto della domanda pubblica sull’ambiente, l’innovazione o l’integrazione sociale.
Sembra quindi emergere con chiarezza la necessità, e forse anche l’urgenza, di intraprendere uno sforzo straordinario per la professionalizzazione degli staff delle stazioni appaltanti, ad evitare il rischio che il forte investimento nella specializzazione degli strumenti proposti dalle Direttive non produca i frutti sperati in termini di impatto economico, sociale e territoriale degli acquisti della pubblica amministrazione.
Professionalizzazione delle stazioni appaltanti: i 3 fronti d’intervento
Il miglioramento auspicato, tuttavia, nota opportunamente la Raccomandazione, non può ridursi ad un mero intervento di formazione o riqualificazione professionale, ma deve articolarsi su tre fronti paralleli e complementari: il sostegno politico e istituzionale di alto livello, lo sviluppo e la gestione delle carriere, e infine la messa a disposizione di sistemi, strumenti e metodologie atti a sostenere la pratica quotidiana degli operatori.
Molto significativamente, i tre fronti sono citati in quest’ordine: prima di tutto la creazione di una “architettura politica adeguata”, che sopravviva ai cicli politico-elettorali, e si fondi ove ritenuto opportuno o necessario, su “strutture istituzionali che promuovono la specializzazione, l’aggregazione e la condivisione delle conoscenze”. In secondo luogo, l’affiancamento di politiche e interventi per la formazione continua, con “una struttura di carriera e incentivi volti ad aumentare l’attrattività della funzione degli appalti pubblici e a motivare i funzionari pubblici a conseguire risultati strategici”. In terzo luogo, e solo da ultimo, “la disponibilità di strumenti e processi per promuovere appalti pubblici intelligenti, quali strumenti per gli appalti elettronici, orientamenti, manuali, modelli e strumenti di cooperazione, accompagnati dalla formazione, dal sostegno e dalla competenza corrispondenti, nonché l’aggregazione di conoscenze e lo scambio di buone pratiche.”
Professionalizzazione: le due chiavi di lettura
Ci sono due modi, a mio avviso, per leggere e interpretare queste indicazioni. Il primo è quello, un po’ superficiale, di un’interferenza della Commissione, per quanto lodevole, su dinamiche e processi che appartengono alla sfera di competenza dei Governi nazionali e regionali – ad esempio rispetto alla creazione o meno di centri di competenza e di servizio in materia di appalti, parte integrante del concetto di “architettura politica adeguata” illustrato con dovizia di particolari nella Raccomandazione.
La seconda chiave di lettura è invece l’enfasi sulla professionalizzazione degli attori pubblici nel settore. Troppo spesso – e in troppi ambiti – le riforme avvengono a dispetto, se non all’insaputa, di chi si troverà ad attuarle. Ma in questa materia forse più che in ogni altra il fattore umano è determinante, e la rivalutazione del ruolo dell’ufficio appalti, da mero esecutore di decisioni altrui a compartecipe, e se possibile proponente di decisioni che superano la prassi consolidata, sembra essere il passaggio indispensabile per evitare che l’ondata di riforme produca effetti comparabili ad uno tsunami, invece che ad un bagno purificatore.