Lo scenario

Public procurement, regole incerte frenano la digitalizzazione: ecco cosa fare

Il framework normativo confuso in materia di appalti impedisce al procurement di svolgere appieno la sua funzione di molla per l’innovazione in Italia. I dati dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano fotografano la situazione

Pubblicato il 21 Ott 2019

Luca Gastaldi

Direttore dell'Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

Francesco Olivanti

Osservatorio Agenda Digitale Politecnico di Milano

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu

public procurement

Un quadro normativo incerto impedisce ancora al public procurement di essere trampolino per la digitalizzazione del Paese. Le aziende che lavorano con la PA continuano a denunciare il problema, su cui non si è fatto abbastanza negli ultimi mesi, come emerso al workshop organizzato a settembre 2019 dall’Osservatorio Agenda Digitale al Politecnico di Milano.

In particolare, i processi pubblici per l’acquisto di innovazione digitale risentono di regole poco chiare e, di conseguenza, di funzionari insicuri circa le azioni da intraprendere. Come accelerare e sbloccare questa situazione? L’obiettivo è capire quali siano gli interventi da raccomandare per dare slancio al processo di trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni italiane. Approfondiamo lo scenario attuale e le proposte per superare questo blocco.

Il contesto normativo

A frenare il public procurement, soprattutto nell’acquisto di soluzioni digitali, contribuiscono leggi poco chiare e in perenne evoluzione. Nel corso del workshop dell’Osservatorio Agenda Digitale, l’avvocato Paola Conio dello Studio Legale Leone ha presentato il quadro normativo attuale in materia di appalti, permettendo di fare il punto della situazione. Ciò che emerge dall’analisi dei regolamenti è un framework caotico, con norme “precarie” e instabili. Al momento siamo in una fase di transizione. Il Codice dei contratti pubblici (conosciuto ai più come “Codice degli appalti”) è in divenire e ci sono perfino procedure che stanno seguendo una normativa precedente, perché intrappolate tra la legge di conversione e il decreto Sblocca Cantieri. Sono processi che vanno avanti con regole proprie, le stesse in vigore quando i bandi di riferimento erano stati pubblicati, al momento della precedente versione dello Sblocca Cantieri.

La legge di conversione ha introdotto norme sperimentali a tempo determinato, che si presume dureranno per due anni fino al 31 dicembre 2020. Nel frattempo, sono previste anche modifiche al Codice dei contratti pubblici, con un regolamento d’attuazione che avrebbe dovuto sostituire decreti ministeriali e linee guida ma in realtà non ha svolto del tutto tale compito. La legge di conversione ha introdotto due nuovi atti attuativi, ne ha cancellati due e ne ha accorpati dieci, ne rimangono ventotto che sono già stati approvati, in più altri otto non obbligatori.

Si procede verso il nuovo Regolamento Unico, ma ci si chiede se, concluso il periodo di transizione, le norme sperimentali saranno prorogate o assorbite dalle nuove regole. In più, sul piano europeo sta partendo una nuova riforma delle direttive e le nuove disposizioni italiane potrebbero essere concomitanti all’uscita della nuova normativa comunitaria, con la conseguenza di doversi nuovamente adeguare. Insomma, la situazione non è chiara, i forse sono tanti e di conseguenza il public procurement viene frenato per evitare errori. Un atteggiamento prudente, per cui la digitalizzazione dell’Italia si ritrova in stagnazione.

La spesa pubblica in innovazione

L’Osservatorio Agenda Digitale ha condotto un’analisi per capire lo stato attuale delle spese pubbliche in innovazione e fotografare la situazione per proporre migliorie. Il primo dato emerso dallo studio indica che alla fine maggio erano stati spesi dalla pubblica amministrazione ventidue milioni di euro per approvvigionare SPID, ANPR e PagoPA, le piattaforme pubbliche chiave realizzate in accordo con il Piano triennale. L’analisi ha rilevato inoltre che meno del 10% delle startup italiane lavora con la pubblica amministrazione. Nell’ambito dell’innovazione digitale, solo 70 su 770 startup hi-tech registrate sul database ALBA hanno lavorato con la PA italiana.

Lo studio ha anche individuato un problema grave. La maggior parte dei Comuni, su un campione di 332 enti, non svolge l’analisi dei fabbisogni di procurement: ben il 67% degli enti pubblici comunali non effettua questa pratica. Allo stesso modo, l’83% dei Comuni non analizza le performance d’acquisto dopo la gara. L’attività considerata più difficile dai Comuni è la gestione del capitolato: il 58% la considera critica, il 66% troppo onerosa. Eppure, la tecnologia e la digitalizzazione sono strumenti utili per gestire la complessità.

Una spinta digitale: il Nodo Smistamento Ordini

Un passo in avanti nella gestione digitale degli appalti è rappresentato dal NSO. La Legge di bilancio 2018 ha introdotto l’obbligo di servirsi del NSO – Nodo Smistamento Ordini – per lo scambio di ordini d’acquisto tra privati e pubbliche amministrazioni. Inizialmente, l’obbligo riguarderà gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, poi sarà esteso a tutte le altre amministrazioni. L’obiettivo è garantire maggiore trasparenza nelle spese pubbliche e nelle procedure d’acquisto, ma anche semplificare e digitalizzare i processi d’ordine. L’NSO si pone nell’ambito del Sistema “Acquisti Pubblici in Rete” (APiR), che punta alla connessione tra le piattaforme e i servizi relativi al procurement e alla gestione documentale.

I vantaggi del sistema APiR sono la garanzia di un’informazione centralizzata su tutto il processo d’acquisto, la tempestività nella procedura e la sua trasparenza. Inoltre, i sistemi raccolgono potenzialmente i dati di tutta la pubblica amministrazione italiana, permettendo una completezza nell’informazione. Il beneficio, come emerso da un articolo pubblicato su AgendaDigitale.eu, è anche in termini di spending review.

Conclusioni e consigli: cosa fare

Il quadro che risulta è quello di un Paese che ha ancora bisogno di accelerare sulla trasformazione digitale, ma che ha compiuto passi critici da correggere al più presto. Tre sono le principali indicazioni emerse dal workshop per accelerare il passo sulla digitalizzazione, usando il procurement pubblico come volano. È necessaria innanzitutto una “tregua normativa”, minimizzando i continui rivolgimenti sul piano legale e amministrativo.

È poi fondamentale una visione complementare del framework legale e di quello tecnologico. Facendo leva sulla moral suasion degli attori e sulla mole di dati disponibili, è possibile al tempo stesso decentrare gli sforzi e ridurre alcune rigidità del sistema.

Da ultimo, l’elemento più importante: la trasformazione digitale non può consistere in una semplice traslazione dalle forme analogiche a quelle elettroniche. Essa richiede una profonda reingegnerizzazione dei processi nonché lo sviluppo di competenze digitali e manageriali.

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