L'analisi

Recovery Fund italiano, perché c’è bisogno di un portfolio manager

L’accordo sul Recovery Fund c’è: per capire cosa fare ora, soprattutto per declinare al meglio i progetti affinché si concretizzino, è utile dotarsi di un portfolio – program manager. Vediamo come mai

Pubblicato il 27 Lug 2020

Federico Minelle

Honorary Fellow ISIPM (Istituto Italiano di Project Management), Past President P.R.S.

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Giunti all’accordo sul Recovery Fund da 209 miliardi di euro all’Italia ora si pone la classica domanda: che cosa fare e come? Le linee strategiche sono state già individuate, ma i progetti devono ancora essere declinati in piani credibili e fattibili nel nostro contesto organizzativo. Sarebbe utile avere una funzione di portfolio e program management office per il Recovery, magari posizionato nella Presidenza del Consiglio, che segua lo sviluppo dei piani e la loro realizzazione, diventando il vero contraltare tecnico degli analoghi organi che la UE certamente si darà per il controllo su come saranno spesi i fondi.

Perché serve un portfolio manager

Le linee strategiche individuate sono condivisibili (si pensi ai temi dominanti: le infrastrutture, il digitale, la green economy, la scuola, la salute, ecc.) e ovviamente i singoli piani di progetto e la loro conduzione saranno di competenza delle varie Amministrazioni competenti, ma la capacità di analizzare, coordinare e sfruttare le eventuali sinergie ed i vincoli reciproci potrà essere efficacemente esercitata solo a livello di Governo, anche per avere un unico interlocutore con tutti gli attori interessati (amministrazioni, imprese, cittadini, organizzazioni sociali e altre PA), oltre che per il necessario reporting di avanzamento lavori al Paese, prima che all’Europa.

I vantaggi dell’adozione della funzione di portfolio management arriveranno subito, in termini di coordinamento e credibilità verso i colleghi europei (cosa di cui abbiamo gran bisogno) ma si manifesteranno principalmente dopo, al completamento dei progetti, che vuol dire nel dispiegamento dei benefici attesi.

Gli obiettivi

Si premette che queste riflessioni nascono “a caldo” dopo la sottoscrizione dell’accordo, dove emerge, in cambio di un significativo esborso di fondi europei (a fondo perduto o in prestito), la presenza di stringenti meccanismi di controllo su come tali fondi vengono impiegati: cioè la appropriatezza e la misura della corretta esecuzione e successo dei progetti stessi che saranno finanziati. Fonti stampa riportano che il piano triennale (2021-2023) andrà presentato in autunno ma se sarà giudicato adeguato, non garantirà la totale erogazione del denaro. Infatti il piano verrà valutato dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione: il punteggio più alto si otterrà relativamente alla coerenza alle raccomandazioni specifiche per Paese. Per l’Italia queste riguardano il contrasto all’evasione, alla corruzione e al lavoro in nero, oltre alla riduzione dei tempi della Giustizia e all’avvio di politiche attive per il lavoro.

Insomma, obiettivi molto ambiziosi ed in parte non del tutto sovrapposti ai temi strategici sopra esposti, ma dovremo fare di necessità virtù. Trascurando per ora il meccanismo di extraordinary brake su cui tanto si è dibattuto, rimane il punto dirimente su come sviluppare progetti finalizzati agli obiettivi coerenti tra loro, assumendo i vincoli descritti.

Il ruolo del portfolio manager

Nieto Rodriguez ha coniato il neologismo StrateXecution, come sintesi della conclamata esigenza di mantenere un efficace collegamento tra la strategia aziendale (o in questo caso del Paese) e l’esecuzione dei progetti che devono realizzarla. Questo compito di guida, orientamento anche metodologico, sollecito e controllo dovrebbe essere il compito precipuo di tale portfolio manager. Nelle numerose task force attivate dal Governo e dai Ministeri per il supporto alla definizione delle azioni necessarie per uscire o mitigare la crisi post-CoViD ci sarà per certo qualche esperto sulle competenze del portfolio/program/project management che sicuramente ha la fiducia del Governo stesso.

Altrimenti, meglio saperlo, alcune grandi organizzazioni pubbliche già operano ufficialmente con tale approccio: farne tesoro sarebbe opportuno, magari chiamandole in causa.

Il caso dell’Istat

Per esempio, l’Istat applica questo modello organizzativo ed operativo da anni. In un recente articolo della rivista “Il Project Manager”, Silvia Losco dirigente del Servizio per la Pianificazione Strategica dell’Istituto, afferma:

  • L’Istituto, con il programma di modernizzazione, ha adottato l’ottica del portfolio/project management (PPM) come modello di riferimento metodologico e culturale per gestire la pianificazione e l’organizzazione delle proprie attività;
  • Rispetto ai modelli tradizionali di governance, il PPM, largamente adottato in contesti internazionali, orienta maggiormente l’organizzazione ai risultati, sostenendo e governando l’innovazione;
  • L’adozione del portfolio/project management, già dal piano 2016, ha costituito una componente essenziale della revisione organizzativa e gestionale, volta in prima battuta al superamento delle strutture organizzative operative (unità operative), stimolando la trasversalità e l’organizzazione matriciale dinamica delle attività.
  • In questo quadro, vengono quindi introdotti diffusamente nuovi ruoli, i Capi Progetto, collocati nell’ambito del contesto organizzativo (Dipartimenti, Direzioni e Servizi), con un conseguente aumento di responsabilità sui risultati e un alleggerimento della logica gerarchica.

Le funzioni svolte da tali PMO, spesso applicate al contesto ICT, ma utili anche in questo caso di natura ben più ampia:

  • la valutazione continua (preliminare-in corso d’opera-a fine progetto-in esercizio) dei benefici attesi e raggiunti per gli stakeholder;
  • il risk management (non è detto che con lo sviluppo c.d. “agile” spariscano, più che altro cambiano natura);
  • la raccolta e diffusione agli stakeholder di indicatori di successo, strutturati “ad albero” o secondo matrici del tipo balanced score card, con valori obiettivo predefiniti, individuati in sede di studio di fattibilità (oggetto spesso misconosciuto, anche se obbligatorio),nonché fissati nel capitolato di gara e verificati a-posteriori;
  • la valutazione dei fornitori (se esterni alla Amministrazione), non solo sulla base della aderenza alle clausole contrattuali, ma anche sulla loro proattività, affidabilità e flessibilità in situazioni di evoluzione del contesto non previste.

Project management e opere pubbliche: il ponte di Genova

Negli altri Paesi con una consolidata cultura e prassi di project management pubblico, come ad esempio il Regno Unito, la gestione dei fondi per le azioni di recupero post-Covid sono una prassi. Le associazioni professionali e culturali italiane dedicate al portfolio/progam/project management (tutte rigorosamente no-profit), costituite dai migliori esperti di settore (anche della Pubblica Amministrazione), restano a disposizione per i possibili approfondimenti ed eventuale supporto metodologico.

D’altra parte in Italia, siamo in grado di fronteggiare le grandi difficoltà: l’esempio della ricostruzione del ponte di Genova è un esempio, dove le pratiche di project management e quality management sono state estensivamente applicate da parte sia della Istituzione Commissariale preposta, selezionando a supporto una apposita ditta genovese qualificata a livello internazionale, sia anche da parte delle imprese incaricate della realizzazione dell’opera in tempi veramente stringenti.

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