La Regione Puglia, in ossequio al suo ruolo di ente programmatore, ha avviato un percorso di analisi dei fabbisogni in tema di digitalizzazione degli enti locali. A questo scopo, nei mesi di maggio e giugno, d’intesa con l’ANCI regionale e con il supporto di InnovaPuglia, ha organizzato un ciclo di webinar di approfondimento sull’Agenda Digitale regionale 2014 -2020, rivolto ai 258 Comuni pugliesi. I temi hanno spaziato da Cloud e Cibersecurity a Pagamenti e fatturazioni elettroniche, dalla Gestione documentale e del protocollo alla gestione dei Piani (PPTR, Piani comunali) e delle procedure autorizzative e valutative (provvedimenti paesaggistici, valutazione ambientale strategica) ripercorrendo tutti i servizi messi in campo ad oggi. Preliminarmente, la Regione e l’ANCI hanno somministrato un questionario per conoscere la situazione e le esigenze di ciascuno dei comuni della regione e favorire e sostenere lo sviluppo della domanda pubblica di innovazione.
I dati dei questionari sono ancora in fase di elaborazione, ma la risposta da parte dei Comuni, anche solo in termini quantitativi, si è già rivelata, consapevolmente, non sempre all’altezza della sfida.
Se ragioniamo in termini di servizi al cittadino, è sicuramente il Comune l’ente che deve interpretare la strategia definita a livello centrale in uno schema di azioni in grado di produrre risultati. Ed è sempre il Comune quello che, se pur accompagnato dalle Regioni e dalle società in house che traducono in operatività le strategie, deve comprendere il proprio fabbisogno di innovazione tecnologica e la propria esigenza di digitalizzazione per procedere alla riqualificazione e ottimizzazione della spesa ICT, come previsto dal nuovo Piano Triennale dell’AgID.
Per fare tutto questo è necessario dotarsi delle giuste competenze facendo ricorso a profili professionali adeguati che, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi non sono disponibili nella PA e ancor meno negli enti locali.
Ad oggi sono veramente poche le amministrazioni che hanno rispettato il dettato del CAD e in particolare degli articoli 15 e 17 che prevedono il primo una riorganizzazione strutturale e gestionale coerente allo sviluppo del processo di digitalizzazione e il secondo l’istituzione di ‘un unico ufficio dirigenziale generale’per ‘l’attuazione delle linee strategiche, per la riorganizzazione e digitalizzazione dell’amministrazione definite dal Governo’. Tali figure apicali, il responsabile per la transizione al digitale, deve ovviamente avere qualità di e-leadership di elevata qualità e, ancora una volta, molto spesso non disponibili all’interno della PA locale.
Infatti per coordinare la transizione al digitale sono necessarie competenze complesse e spesso multidisciplinari che vanno ben oltre la semplice laurea in informatica, che sappiano anche valutare la ‘user experience’e disegnare servizi realmente fruibili che guardino alla trasparenza e all’accessibilità in termini non burocratici ma di servizio per la collettività. E forse oltre alla figura apicale è necessario anche un team – grande o piccolo a seconda delle dimensioni dell’ente – che segua l’intero ciclo di digitalizzazione: dal disegno e lo sviluppo dei servizi, al monitoraggio della sicurezza informatica, fino alla promozione delle iniziative per l’attuazione dei piani di digitalizzazione.
Sconfortanti sono i dati. Solo il 13,75% dei Comuni possiede un collegamento al Sistema pubblico di connettività (SPC), mentre solo il 45,24% dei Comuni comunica con i cittadini via web (dati ISTAT). Tra Regioni, Province, Comuni e Comunità montane la percentuale di enti che offre la possibilità di avviare e concludere per via telematica l’intero iter di almeno un servizio richiesto dall’utenza è pari al 33,8%: praticamente solo 1 su 3 (elaborazioni dall’Ufficio studi della Cgia su dati ISTAT).
Se, dunque, da un lato le PA devono capire che dotarsi delle giuste competenze per il digitale è una priorità assoluta per rispondere alle esigenze dei cittadini e contemporaneamente ottimizzare e produrre il risparmio del 5,6% sulla spesa ICT e dello 0,15 sulla connettività, come richiesto dal piano AGID, dall’altro è necessario che il governo sia conseguente ai principi enunciati.
Se la digitalizzazione è una priorità del Paese, come si afferma nell’incipit del Piano triennale – “Lo sviluppo e il rilancio di un’economia intelligente, sostenibile e solidale dell’Europa, finalizzato a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale, è strettamente legato alla sua crescita digitale” -, dovrebbe essere affrontato meglio il tema delle competenze necessarie per attuarlo.
Le amministrazioni devono nominare il ‘Responsabile per la transizione alla modalità operativa digitale’.
E se non possiedono professionalità pronte a tale scopo?
Le amministrazioni ‘partecipano e promuovono iniziative di sensibilizzazione, comunicazione, formazione e assistenza sui servizi‘.
E le risorse a questo dedicate saranno comprese o escluse negli obiettivi di contenimento della spesa assegnati alle singole amministrazioni?
Le amministrazioni ‘sono tenute a formare il proprio personale per un utilizzo ottimale dei servizi e ad individuare percorsi specialistici per rafforzare le competenze digitali interne.’
E avranno risorse sufficienti o aggiuntive per farlo?
E se mancassero le competenze di base sulle quali disegnare i percorsi specialistici, hanno la possibilità di andare oltre le ristrettezze loro imposte dal blocco del turn over?
È forse giunta l’ora di interrogarsi seriamente su come si fa a raggiungere concretamente gli obiettivi che ci si è posti. Una possibilità è assegnare alle Regioni obiettivo 1, che hanno risorse aggiuntive da spendere su questo tema, un ruolo di accompagnamento multiregionale per la formazione specialistica sulle competenze digitali. Come propone l’assessore allo Sviluppo Economico della Regione Puglia, Loredana Capone, un ruolo da ‘servizio civile digitale’ che si faccia carico di far emergere le esigenze e soddisfarle con un grande progetto di diffusione e formazione.
Un’altra possibilità, più strutturale e forse più efficace, potrebbe essere quella di integrare il Piano triennale con un piano di assunzioni ad hoc, che sia svincolato dalle restrizioni attuali perché visto in chiave di ‘investimento Paese’. Un piano straordinario di immissione di competenze digitali fresche che possa essere anche un’occasione per tanti giovani qualificati in cerca di occupazione di poter programmare il proprio futuro qui in Italia, senza emigrare e mettendo le proprie competenze al servizio della collettività.