Preso atto del fallimento – perché è solo così che si può definire – della recente riforma del Codice degli appalti e dei danni che essa ha prodotto, da mesi il Governo ha annunciato di voler apportare delle correzioni al quadro normativo in essere.
Di fatto ciò che è emerso da dicembre in poi è un intervento strutturato su due piani diversi.
Già con la Finanziaria 2019, sono stati introdotti dei correttivi sulle procedure per i lavori di minore entità, tramite i quali è stata data maggiore discrezionalità alle amministrazioni contraenti. Gli stessi correttivi, assieme ad altre modifiche sui servizi di progettazione e sulla regolamentazione attuativa, sembrerebbero trovare conferma nel decreto “sblocca cantieri” di prossima approvazione, i cui contenuti, al di là delle inevitabili polemiche, non sono tuttavia ancora chiari.
In parallelo, lo scorso 28 febbraio, il Governo ha approvato un disegno di legge delega che fissa le linee a cui l’esecutivo sarà chiamato ad attenersi in fase di trascrittura dell’intero impianto regolatorio sugli appalti.
Qui tuttavia siamo di fronte a un testo di carattere ancora generale, quasi programmatico, dove si parla più di obiettivi che si vogliono perseguire che di vere e proprie scelte operative.
Dunque, come ormai di prassi per ogni norma che si rispetti, molto spazio è dedicato agli obiettivi di semplificazione, di aumento di efficacia dell’azione pubblica di trasparenza dei processi amministrativi. Ci mancherebbe altro!
Oltre a questi meritori, anche se spesso inutili, esercizi di bon ton legislativo, tre sono le questioni su cui la legge delega punta il dito:
- l’efficacia del sistema regolatorio e l’esigenza sia di esprimere l’impianto normativo, al di là delle scelte che saranno fatte, in modo chiaro-accessibile-univoco, sia di diffonderlo e implementarlo in modo capillare e omogeneo. A tali esigenze si affianca l’ambizione di voler razionalizzare/semplificare le modalità di risoluzione delle controversie e proporre una standardizzazione/semplificazione di tutti i processi amministrativi collegati al procurement pubblico, dalla fase di presentazione delle domande fino a quella dei controlli.
- La necessità di uniformarsi in modo stretto ai livelli europei, considerando questi non solo delle “soglie minime”, ma anche dei “limiti massimi” oltre cui non andare, se non in caso di dimostrata necessitá
- L’opportunità al tempo stesso di riequilibrare il rapporto responsabilità-discrezionalità in capo all’amministrazione che acquista e, in parallelo, di rivedere le regole sulle centrali di committenza e sullo sviluppo delle piattaforme di e-procurement da parte di Consip e di altri soggetti aggregatori.
Certo, vista con l’occhio di chi ha a cuore il tema dell’innovazione, la riforma sembra aver completamente trascurato questo tema.
Tuttavia, se guardiamo lo stato di vera emergenza in cui versano gli investimenti pubblici, forse la scelta a favore di una delega larga in cui esplicitare solo i grandi capisaldi della riforma può avere un senso.
Inoltre, dopo che da tempo poniamo attenzione sul modo sbagliato in cui in questo Paese si è affrontato il tema delle centrali d’acquisto e sulle degenerazioni che ne sono derivate, specie per quel che riguarda l’innovazione, ben venga un ripensamento del ruolo e delle funzioni affidate a tali soggetti.
Alla stesso modo, dopo gli innumerevoli richiami all’esigenza che un tema tanto delicato sia affidato a un impianto normativo completo-intelleggibile-coerente e che esso sia accompagnato da una governance e da prassi amministrative uniformi, difficile non essere d’accordo in linea di principio con la legge delega.
Il punto è che purtroppo il cambiamento non si fa con gli annunci. Perché le cose cambino realmente serve che le riforme siano scritte, approvate e, soprattutto, che esse trovino concreta applicazione nella pratica quotidiana delle amministrazioni pubbliche.
E perché ciò accada – e sopratutto che accada in modo corretto – servono risorse, impegno, fatica, tenacia.
Cose queste sempre più raramente presenti nell’azione dei governi di questo Paese e tuttavia essenziali se vogliamo che il balletto a cui ci apprestiamo ad assistere non sia un “facite ammuina”.