La riforma del Codice dei Contratti pubblici al fine di rendere più fluide, efficienti ed efficaci le procedure di affidamento e gestione delle commesse di lavori, servizi e forniture, costituisce un tassello fondamentale nell’ambito dell’attuazione del PNRR. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, difatti, prevede espressamente l’intervento sul D.Lgs. 50/2016 nell’ottica di semplificazione e velocizzazione del processo di spesa delle ingenti risorse destinate al nostro Paese.
L’iter di riforma si è svolto in parte sotto la precedente legislatura – con l’approvazione della Legge Delega n. 78 del 21 giugno 2022 e la successiva investitura del Consiglio di Stato del delicato compito di procedere alla stesura del Codice – proseguendo poi nella legislatura attuale, con la presentazione dello schema di decreto legislativo al MIMS e la sua revisione, di concerto con il Consiglio di Stato, da parte di una commissione appositamente nominata, per pervenire, infine, alla presentazione dello schema al Consiglio dei Ministri, che lo ha approvato nella seduta di venerdì 16 dicembre 2022.
Il cammino della riforma, tuttavia, non è ancora concluso, dovendo passare attraverso l’esame delle Commissioni Parlamentari per giungere all’approvazione definitiva e alla pubblicazione. L’entrata in vigore è prevista il primo aprile 2023 e le relative disposizioni avranno efficacia a decorrere dal primo luglio dello stesso anno. Vediamo le principali novità.
Nuovo Codice appalti, cosa cambia
Sebbene le disposizioni dello schema di decreto legislativo possano venire modificate in conseguenza delle osservazioni eventualmente formulate dalle Commissioni Parlamentari, presumibilmente i tratti distintivi dell’impostazione del nuovo Codice rimarranno stabili. Quello che appare differenziare fortemente la struttura del provvedimento dal D.Lgs. 50/2016 è, innanzitutto, la parte prima, interamente dedicata ai “Principi”. Non che si tratti di novità assolute quanto ai contenuti, tuttavia è significativa la scelta di riservare a ciascuno di essi un articolo e di anteporre questa parte a tutte le altre.
I tre principi cardine, alla luce dei quali andranno lette ed interpretate le disposizioni successive sono:
- Il principio del risultato
- Il principio della fiducia
- Il principio dell’accesso al mercato
Il principio del risultato è quello che guida l’azione amministrativa e, con pragmatismo, si prevede, tra l’altro, che esso costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per
l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per:
a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;
b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.”
Nell’ambito del principio della fiducia si cerca di far superare l’approccio del “chi si firma è perduto”, aforisma che sintetizza uno dei freni maggiori all’attività delle pubbliche amministrazioni. Si prevede, per ciò, che “non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”. L’intenzione è certamente lodevole, tuttavia occorrerà vedere come la disposizione verrà applicata nel concreto, posto che – complice anche l’instabilità della normativa – non è sempre facile individuare quali siano gli “indirizzi giurisprudenziali prevalenti”.
Gli altri principi
Ai tre principi cardine si aggiungono:
- Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento
- Principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale
- Principio di auto-organizzazione amministrativa
- Principio di autonomia contrattuale (che include il divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito)
- Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale
- Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione
- Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti
Altro tratto certamente distintivo – e lodevole nello sforzo – è la scelta di inserire direttamente negli allegati al provvedimento la disciplina attuativa di dettaglio, in modo da rendere per quanto possibile auto-esecutivo il Codice. È comunque previsto che gli allegati, vengano successivamente sostituiti da Regolamenti adottati con DPR o con Decreto ministeriale ai sensi dell’art. 17 della L. 400/1988, ma si è tentato di evitare quel limbo di mancata attuazione che ha fortemente caratterizzato, penalizzandolo, il Codice del 2016.
Le disposizioni più criticate della riforma
La palma d’oro della disposizione più criticata va probabilmente alla norma che rimuove il divieto di subappalto a cascata, aprendo alla possibilità che un subappaltatore possa, a propria volta, affidare in subappalto parte delle prestazioni affidategli. Va, innanzitutto, rammentato che la disposizione che vieta attualmente questa pratica è stata oggetto – insieme a molte altre – della procedura di infrazione n. 2018/2273 avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per presunta incompatibilità di varie norme del Codice dei contratti pubblici vigente all’ordinamento europeo.
Tra di esse vi è, appunto, il “divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso ad un altro subappaltatore” che è ritenuto contrario ad una pluralità di principi e norme eurounitarie. La rimozione del divieto era, quindi, una scelta sostanzialmente obbligata. Altra disposizione molto discussa è quella che liberalizza l’appalto integrato, ovvero consente alle stazioni appaltanti di affidare in un’unica gara sia la progettazione dell’opera che la sua realizzazione. La ragione delle critiche risiede nel convincimento che ciò possa far perdere al progetto quella centralità che il precedente Codice gli attribuiva.
Il ruolo della digitalizzazione
Oltre all’introduzione di principi per certi versi innovativi e allo sforzo di rendere il Codice già interamente applicabile senza dover attendere – magari per anni, se non inutilmente – l’adozione di successivi provvedimenti di attuazione, che rappresentano scelte di fondo comunque apprezzabili, si segnalano anche le disposizioni in materia di digitalizzazione. La digitalizzazione, come recita il comunicato di Palazzo Chigi sull’approvazione dello Schema di Codice “diventa un vero e proprio “motore” per modernizzare tutto il sistema dei contratti pubblici e l’intero ciclo di vita dell’appalto.”
L’art. 22 è dedicato all’“ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale” costituito dalle piattaforme e dai servizi digitali infrastrutturali abilitanti la gestione del ciclo di vita dei contratti pubblici (ovvero la Banca Dati nazionale dei contratti pubblici con tutte le sue sezioni e il Fascicolo virtuale dell’operatore economico) e dalle piattaforme di approvvigionamento digitale utilizzate dalle stazioni appaltanti.
Anche in questo caso è senz’altro apprezzabile lo sforzo di attribuire alla digitalizzazione una specifica dignità e un ruolo centrale nel procurement pubblico, proseguendo nella strada tracciata dalle Direttive Europee del 2014, che hanno attribuito alla digitalizzazione e all’innovazione un ruolo assolutamente centrale.