Il disegno di legge delega del Governo per sistemare il Codice degli appalti pone interrogativi sugli scenari futuri riguardo alla materia del procurement. In primis, il legislatore si trova di fronte alla scelta di rifare da capo il regolamento o di modificarlo e integrarlo, con le diverse conseguenze che ne derivano. Inoltre, la strada delineata dal provvedimento sembra puntare a semplificazione e rapidità, ma sembra mancare adeguata attenzione a temi come la digitalizzazione. Sulla situazione complessa, incombe l’occhio dell’Europa, che nel frattempo ha avviato l’iter di messa in mora dell’Italia.
Il contesto
Nella seduta del 28 febbraio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato la delega al Governo “per il riassetto delle disposizioni in materia di contratti pubblici”, ravvivando la discussione dopo il silenzio seguito al provvedimento analogo votato il 12 dicembre 2018 e mai pervenuto all’esame del Parlamento. Non vi sono elementi per prevedere l’esito di questa proposta, tanto più che nella stessa riunione il Consiglio ha approvate altre nove proposte di legge delega (tra le quali la revisione del Codice civile in tema di contratti, responsabilità extracontrattuale, successioni), prospettando quindi un’intensa stagione di riforme.
Vero è che le richieste di revisione del Codice dei contratti pubblici si susseguono da più di un anno, promosse dalle forze politiche oggi al Governo e sostenute da molti tra operatori, esperti e tecnici. Una situazione non invidiabile per il legislatore, che, se per un verso è consapevole della necessità di migliorare l’attuale assetto normativo, “particolarmente confuso, non sostenibile, espressione di precedenti errori e imprecisioni, stratificati e quasi consolidati” (V. Italia), per l’altro verso rischia di agire incalzato “da impulsi irrefrenabili di gettare via ad ogni costo un sistema normativo ritenuto inadeguato” (C. Contessa). Non mancano ulteriori fattori di complessità.
La messa in mora dell’Italia
La lettera della Commissione europea di messa in mora dell’Italia, del 24 gennaio scorso, per non conformità della normativa interna alle direttive del 2014 (numerose le contestazioni, tra le quali, limitazioni in tema di subappalto, avvalimento, esclusione delle offerte anomale, cause di esclusione, modalità di calcolo del valore dei contratti, suddivisione in lotti). La serie di rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia UE originati da giudici italiani su questioni non secondarie, quali partenariato pubblico-pubblico, organismi di diritto pubblico, affidamenti in house, centralizzazione degli acquisti.
La relazione della Commissione europea sui progressi delle riforme strutturali e sugli sviluppi in tema di prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici relativi all’Italia (27 febbraio 2019). La valutazione non è positiva: il Paese presenta squilibri eccessivi e sarà oggetto di monitoraggio specifico nell’ambito del semestre europeo. Con riferimento agli appalti viene rilevato che “la perdurante mancanza di misure attuative fondamentali crea incertezza nell’applicazione e nell’uso efficace del nuovo Codice. Questa situazione riguarda in particolare la qualificazione delle stazioni appaltanti e impedisce miglioramenti sostanziali della loro capacità amministrativa e possibilità di utilizzare in modo efficiente gli appalti pubblici”. Tali incertezze, conclude la Commissione, rallentano gli investimenti.
Nella relazione, il sistema nazionale degli appalti viene ritenuto inefficiente a causa della frammentazione del quadro normativo, del basso livello di capacità amministrativa e della mancanza di coordinamento tra le istituzioni, inoltre rimangono elevati i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione con penalizzazione soprattutto per le PMI. Infine non va tralasciato l’impegno delle elezioni del Parlamento europeo, a maggio 2019, dal cui esito potrebbero derivare sviluppi inattesi circa i futuri orientamenti per la regolamentazione del settore. Così delineato il contesto, è possibile svolgere alcune brevi riflessioni sulla proposta di legge delega, necessariamente di carattere generale, posto che il testo circolante è provvisorio.
Due considerazioni
La prima considerazione attiene l’incerta determinazione dell’oggetto della delega. Il mandato fa riferimento al “riassetto delle disposizioni di settore” al fine di adottare un nuovo codice dei contratti pubblici in sostituzione di quello vigente ovvero di modificarlo per quanto necessario (art. 1). Sono opzioni difficilmente complementari, rispetto alle quali non vengono offerte precisazioni sull’azione legislativa da perseguire. La scelta tra le due alternative implica valutazioni non prive di difficoltà, con possibili ripercussioni anche sul mercato, già debole. Tuttavia, se gli obiettivi generali del riformatore sono quelli “della semplificazione, della razionalizzazione, del riordino, del coordinamento e dell’integrazione”, ci si attende su questo punto maggiore chiarezza. V’è il rischio, infatti, che l’incertezza sulla direzione da seguire palesi l’assenza di una visione sul futuro assetto normativo del settore.
Altra considerazione riguarda la ridefinizione dell’impianto complessivo della normazione subprimaria (art. 1, co. 2, lett e), eliminando qualsiasi rinvio al sistema satellite di atti attuativi del Codice, di tipo plurale, articolato e flessibile, con funzioni esegetiche e regolatorie. In altri termini, rinunciando ad uno dei tratti più caratterizzanti, innovativi, sperimentali, e per queste ragioni fors’anche problematici, del Codice vigente. Articolazione e sviluppo della futura normativa verrebbero quindi ricondotti nell’ambito del più consolidato rapporto Codice / Regolamento.
In particolare, verrebbe ripristinato l’impianto precedente, rinviando gran parte della disciplina esecutiva ed attuativa ad un unico regolamento (art. 1, co. 7), adottato dal Governo su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, fatti salvi ulteriori regolamenti ministeriali “per ambiti specifici e tecnici o che necessitano di periodica revisione” (art. 1, co. 2, lett. e). Da tale scelta deriverebbe, tra l’altro, un significativo ridimensionamento delle funzioni regolative oggi assegnate all’Autorità Nazionale Anticorruzione, i cui atti interpretativi, precisa la delega, avrebbero natura “non regolamentare e non vincolante” (art. 1, co. 2, lett. i).
Di fatto un riposizionamento significativo del ruolo dell’Autorità solo parzialmente bilanciato dalla previsione del “rafforzamento della vigilanza collaborativa e dell’attività consultiva” (art. 1, co. 2, lett. l), mentre altre funzioni, anche foriere di sviluppi inediti, non trovano al momento esplicita allocazione, così è, ad esempio, per la “razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie, anche alternativi ai rimedi giurisdizionali” (art. 1, co. 2, lett. h). Altre funzioni vengono rimesse alla ‘buona volontà’ (o accountability secondo la vulgata corrente) delle stazioni appaltanti, così è, ad esempio, per “l’obbligo di procedere al monitoraggio e al controllo telematico a consuntivo del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi” (art. 1, co. 2, lett. s).
Serve più attenzione al digital
Un’ultima considerazione è per sottolineare l’enfasi assegnata agli obiettivi di semplificazione e accelerazione che, al di là di formulazioni talvolta stentoree, costituiscono gli elementi più qualificanti e presenti nello schema di legge delega (art. 1, co 2, lett. d, f, r, s, t, u), segno evidente che è questa la direzione verso la quale politica e parte degli operatori cercano di orientare la riforma.
Al contempo, alcuni temi di frontiera, rilevanti per il settore, potrebbero trovare all’interno della legge delega maggiore attenzione. Mi riferisco, innanzitutto, ai profili riguardanti la digitalizzazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie, al riguardo non è sufficiente il richiamo “alla diffusione della cultura digitale” (art. 1, co. 2, lett. z). Su questi aspetti si vedano anche le indicazioni della strategia europea degli appalti del 2017 e il citato richiamo della Commissione all’Italia sugli investimenti necessari per rafforzare la capacità amministrativa, presupposto per un migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
Nessun rilievo, infine, è riservato agli strumenti di partenariato pubblico privato, che pure paiono imprescindibili per realizzare un programma di potenziamento delle infrastrutture sia materiali che immateriali, compresa la sostenibilità delle politiche redistributive di welfare per la cui realizzazione sarà necessario sempre più l’impiego di risorse private.