Il pensiero

Riforma del Codice appalti per l’innovazione, il Paese non può più aspettare

La riflessione sulla legge delega di riforma al Codice degli appalti, le cui correzioni sono state in seguito recepite dal decreto Sblocca cantieri, porta a dubbi sulla rilevanza che il digital e l’innovazione assumono nel processo riformatorio. Questi sono però i motori della crescita futura del Paese, anche secondo l’UE

Pubblicato il 08 Mag 2019

Valentino Moretto

Business Developer – Links Management and Technology SpA

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Nuovo Codice degli appalti: si va avanti, ma il digital aspetta ancora avere il giusto riconoscimento nel processo riformatore.

Con il decreto Sblocca cantieri che il 19 aprile 2019 ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei ministri, sono state recepite anche ottantuno correzioni al Codice del 2016 che aveva procurato all’Italia il rimprovero da pare dell’UE.

Già la legge delega precedentemente deliberata aveva tracciato la strada per l’attesa riforma, ma l’attenzione alla digitalizzazione e all’e-procurement non sembra essere alta con il rischio che i fondi stanziati in questo ambito non risultino efficaci. Utile dunque una riflessione sull’argomento.

La normativa UE

All’interno del disegno di legge delega vi è un generico riferimento alla diffusione della cultura digitale ed ai temi della semplificazione che da soli non saranno sufficienti se non saranno accompagnati da attuazione pratica di tali proponimenti e da investimenti necessari per il rafforzamento della capacity building delle PA. Del resto lo stanziamento di cinquanta milioni di euro da parte del Governo per il procurement dell’innovazione rischiano di apparire illusori se non accompagnati da una riforma efficace del Codice degli appalti che veda il digitale e la digitalizzazione principali beneficiari di tale processo riformatore.

Il Considerando 47 della direttiva 2014/24/UE afferma(va) che “la ricerca e l’innovazione, comprese l’eco-innovazione e l’innovazione sociale, sono uno dei principali motori della crescita futura”. Le pubbliche amministrazione erano e sono quindi chiamate ad “utilizzare gli appalti pubblici strategicamente nel miglior modo possibile per stimolare l’innovazione. L’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi svolge un ruolo fondamentale per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo per affrontare le principali sfide a valenza sociale”.

Buoni auspici che il D.Lgs. 50/2016, e successivi decreti attuativi e correttivi, non sono riusciti ad interpretare al meglio, rendendo la riforma del Codice degli appalti scarsamente efficace e per nulla apprezzata da PA, operatori economici e professionisti con l’UE che ha già avviato l’iter sanzionatorio per il Governo Italiano. Il disegno di legge delega dell’attuale Governo di riforma del regolamento 50/2016 lascia ancora aperto il tema se rifare l’intero codice e/o modificarlo nella direzione, sempre auspicata e mai realizzata, di semplificazione, efficienza e rapidità delle procedure.

Innovazione e procurement: binomio complesso

La riforma dell’assetto normativo del procurement italiano parte con una grossa indeterminazione tra l’adozione di nuovo codice dei contratti pubblici ed una modifica sostanziale del presente. Sono opzioni che l’attuale legge delega non contribuisce a chiarire e che appaiono tra loro non complementari e sintomatiche di una mancanza di vision complessiva. Tale deficit sembra riflettersi anche nella scelta di adottare un sistema regolatorio che trovi concretezza grazie all’emanazione di più decreti attuativi (come fa l’attuale codice D.Lgs 50/2016) o grazie all’adozione di un unico regolamento (come faceva il codice D.Lgs 163/2006 e successive modificazioni). Incerto infine il ruolo di che potrà e/o dovrà avere ANAC rispetto alla propria funzione regolatoria e di controllo.

Favorire l’innovazione delle (e nelle) procedure richiede una riforma del codice dei contratti che preveda come obiettivo assoluto la velocizzazione ed il monitoraggio degli affidamenti pubblici, al fine di assicurare l’efficienza e la tempestività delle procedure a partire dalla fase di pianificazione fino a quella di realizzazione. Tale obiettivo appare ancora più importante per il settore ICT con procedure troppo lente e che rischiano di far divenire obsoleti progetti e soluzioni. Va inoltre sciolto il nodo “Consip – sviluppo digitale del Paese” poiché le policy e l’attuazione di un piano di sviluppo e trasformazione digitale di un Paese non possono passare per procedure al massimo ribasso e terribilmente lente, dove a farla da padrone sono pochi e sempre soliti player. Necessario infine inserire nella prossima riforma un sistema di promozione di competenze, conoscenze e capacità utili alla conoscenza delle principali procedure innovative (Dialogo competitivo, PPI, PCP), con un percorso orientato all’obbligo di adozione di tali procedure.

Il grande assente: partenariato pubblico-privato

Nessun cenno nella legge delega è stato riservato agli strumenti di PPP (partenariato pubblico-privato) ed al loro utilizzo e adozione. Vi è certamente su questo argomento un problema di competenze nella PA (al pari di altre procedure innovative), ma sembra mancare una visione complessiva che possa promuovere il PPP come strumento di potenziamento e rilancio del procurement italiano.

Vanno poi affrontati temi più tecnici come, ad esempio, la distinzione tra PPP e concessione e il tema del trasferimento del “rischio operativo” al privato (l’Ue segnala che il 71% delle operazioni in Project Financing italiane non trasferiscono correttamente i rischi al privato). Vi è inoltre una carenza storica di investimenti sui temi della progettazione e strutturazione dell’operazioni PPP con inevitabili allungamenti dei tempi di avvio di iniziative e procedure. Necessario infine ridefinire ruoli, funzioni e competenze delle public utilities in modo da aumentare la loro capacità di attrarre competenze ed investimenti.

Conclusioni

Il Paese si trova di fronte all’ennesima occasione di poter riformare un settore centrale per il rilancio della propria economia. Appare evidente che tale processo dovrà superare le incertezze della mancata emanazione di misure attuative, dell’incerta qualificazione delle stazioni appaltanti e della scarsa capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni.

A ciò va aggiunto che gli enti pubblici mostrano scarsa capacità di coordinamento non avendo sfruttato al massimo l’opportunità della legge 56/2014 per ridefinire un perimetro geografico, operativo e funzionale che possa vedere l’utilizzo del procurement innovativo al centro di operazioni di aggregazione di risorse e competenze. L’auspicio è quindi quello di poter utilizzare un nuovo regolamento dei contratti pubblici che possa finalmente dare stabilità ed efficienza ad un settore vitale per l’economia del Paese.

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