Il piano nazionale di ripresa e resilienza e l’imminente Legge di bilancio 2021 rappresentano un’occasione da sfruttare per modernizzare l’economia italiana. I ritardi da colmare sono tanti e la capacità di spesa da migliorare, soprattutto sul fronte digitale.
È vero che non si può accusare l’attuale Governo di tutto quello che non è stato fatto negli ultimi venti anni. Ma si potrebbe inaugurare una nuova stagione nella quale, ad esempio, si dovrebbe evitare di parlare genericamente di digitale dello Stato, ma indicare entro quanto tempo, con quali risorse e con quali indicatori misuriamo lo stato di avanzamento degli investimenti in tecnologia e informatica.
Presentarsi in Europa con una lista di progetti che davvero riattivino il processo di modernizzazione della nostra economia, ci aiuterà a scrollarci di dosso quell’immagine di Paese stagnante, che riesce a essere vitale solo nelle emergenze, ma soprattutto permetterà di proiettare una visione in grado di dare uno stimolo a milioni di persone desiderose di ripartire.
Perché andare oltre i sussidi per il Recovery Fund
Nel contesto attuale, le prospettive future continuano a essere caratterizzate da una notevole incertezza, a causa dell’imprevedibilità dell’evoluzione della pandemia in Italia e all’estero, oltre all’effettiva disponibilità di un vaccino efficace contro il coronavirus. Sulla ripresa in corso, in rialzo rispetto alle previsioni, si addensano ora nuvole pesanti. Le incognite maggiori sono legate all’eccessivo debito e alla capacità di gestione progettuale delle risorse europee. Tutti i progetti andrebbero lanciati in chiave strategica e pesandone la portata in termini di sviluppo. Ma dove indirizzarli e come gestirli?
Le linee guida comunitarie parlano chiaro. Almeno il 37% delle risorse dovrà essere utilizzato per la transizione ambientale e il 20% a quella digitale. “Abbiamo dato linee guida – ha dichiarato il Commissario europeo Gentiloni – sulle aree che noi crediamo i Governi debbano prendere di mira: dalle infrastrutture di rete e per le rinnovabili, agli edifici energeticamente efficienti e trasporti sostenibili, dalle reti 5G all’intelligenza artificiale, alla digitalizzazione del settore pubblico e di quello privato. I programmi per la formazione continua e la ri-formazione delle competenze saranno ugualmente importanti, perché o la transizione sarà inclusiva o non sarà”.
Saper interpretare questi mega trend potrebbe aiutarci ad avere una crescita più sostenuta, perché con i nostri abituali ritmi di crescita riusciremmo a recuperare la perdita di Pil causata dalla pandemia solo tra un decennio. È chiaro che per crescere di più dovremmo saper sfruttare l’occasione delle risorse europee additive. Sembra arrivato il momento di colmare i nostri ritardi e dare finalmente una risposta ai problemi che si protraggono ormai da diversi decenni, dalla produttività alla riconversione tecnologica, che attanagliano l’Italia in una lunga stagnazione. La Commissione europea ha fatto sapere che stanno per arrivare i sussidi all’Italia per la cassa integrazione e il sostegno al lavoro. Si tratta dei primi 10 miliardi di euro (su un totale di 27) garantiti dal programma SURE che è pronto per essere operativo. È senz’altro un aiuto, cruciale in questo momento di difficoltà, ma non rappresenta certo quella svolta decisiva per recuperare una caduta di quasi il 10% di PIL. Il ricorso ai sussidi, seppur apprezzabili, da soli non ci salveranno. Gli stimoli alla domanda, infatti, non sono l’unica leva per garantire una robusta ripartenza.
Le linee programmatiche del Governo italiano
Il 15 settembre 2020 il Governo ha trasmesso alle Camere la proposta di “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” in cui afferma l’intenzione di voler indirizzare le risorse europee verso un ampio programma di riforme volte ad affrontare i colli di bottiglia presenti nei diversi comparti. Secondo la proposta, il PNRR italiano dovrà affrontare quattro sfide strategiche:
- migliorare la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia;
- ridurre l’impatto sociale ed economico della crisi pandemica;
- sostenere la transizione verde e digitale;
- innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione.
Con la nota di aggiornamento del DEF, il Governo ha dichiarato poi di voler introdurre una riforma del fisco, disegnata in maniera coerente con la legge delega in materia di assegno unico per i figli, e istituire un nuovo fondo da alimentare con i proventi delle maggiori entrate legate all’aumento della compliance fiscale, che verranno successivamente restituiti, in tutto o in parte, ai contribuenti sotto forma di riduzione del prelievo. Queste linee programmatiche sono contenute nella Nadef, dove si può leggere che “oltre agli interventi volti ad accelerare la transizione ecologica e quella digitale e ad aumentare la competitività e la resilienza delle imprese italiane, verrà dedicata particolare attenzione alla coesione territoriale, attraverso la fiscalità di vantaggio, gli investimenti infrastrutturali e il rafforzamento dei fattori abilitanti per la crescita. Particolari sforzi e risorse saranno anche indirizzati verso gli investimenti in istruzione e ricerca, con l’obiettivo di fare un salto significativo nella quantità delle risorse e nella qualità delle politiche, e il potenziamento e la modernizzazione del sistema sanitario”.
Con queste premesse, l’industria non si dovrebbe fermare, anche se alcuni comparti soffriranno di più (turismo, cultura, trasporti, attività sportive); non si arresta sia perché gli investimenti nel digitale stanno aiutando molti settori, sia perché il Governo è pronto a mettere sul tavolo i 23 miliardi di deficit aggiuntivo per dare corpo alla legge di bilancio del prossimo anno. A queste risorse dovrebbero poi aggiungersi i 17 miliardi “liberi”, derivanti dall’utilizzo delle risorse europee da destinare a nuovi progetti. Una spinta espansiva da 40 miliardi che dovrebbe produrre, nelle intenzioni del Governo, un +0,9% di crescita annua aggiuntiva. Sempre che il calendario dell’utilizzo di Next Generation EU, scritto nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (NADEF), regga alle incognite negoziali comunitarie[1] e che ci sia la capacità di formulare progetti credibili. Insomma il tentativo del Governo è di andare oltre il fondo congiunturale, affinché il Paese sia posto in una condizione qualitativamente migliore rispetto a quella attuale. Progettare innovazione per generare nuova innovazione. È questa la ricetta più adatta a migliorare la qualità dell’ambiente, combattere l’ingiustizia sociale, qualificare il turismo e l’eccellenza italiana e nello stesso tempo generare ricchezza e stabilità.
Utilizzare i fondi per generare innovazione
Ma come si fa a generare innovazione? Le idee non mancano. Quelle lanciate da Luca De Biase[2] appiano tra le più interessanti. Aumentare le interconnessioni tra ricerca e imprese attraverso il trasferimento tecnologico; un’attività che potrà beneficiare della Fondazione Enea Tech[3] recentemente istituita, che ha il compito di gestire il primo fondo italiano interamente dedicato al trasferimento tecnologico. La Fondazione potrà partecipare e investire in startup e PMI innovative, spin-off universitari e di centri di ricerca, promuovendo e sostenendo i processi di innovazione e trasferimento tecnologico delle PMI per la creazione di imprese ad alto contenuto tecnologico. A questo scopo gestirà inizialmente risorse per 500 milioni di euro. Un altro modo per generare innovazione è attrarre investitori stranieri e favorire l’apporto di denaro nelle startup italiane, spesso di pari qualità rispetto alle straniere, che stanno contribuendo a rendere più moderne e pervasive le nostre infrastrutture abilitanti. C’è un mercato nascente che potrà beneficiare dell’apporto del Fondo Nazionale per l’Innovazione.
C’è poi la galassia delle amministrazioni pubbliche, che a tutt’oggi spendono montagne di soldi in maniera improduttiva. Indirizzare una parte di questa spesa pubblica verso il procurement innovativo potrebbe agevolare il raggiungimento di obiettivi di qualità. Le risorse impegnate in questo ambito appaiono ancora modeste, soprattutto se paragonate al totale della spesa per acquisti ordinari di beni e servizi. Nel 2018, secondo il CNR[4], il valore totale del procurement di ricerca e sviluppo in Italia ammonta a circa 176 milioni di euro, meno dello 0,15% del valore totale dei beni e servizi acquistati dalla PA. Questi dati, se da un lato, evidenziano la marginalità del fenomeno, dall’altro invitano a una riflessione sul volume di risorse che potenzialmente può essere destinato alla domanda pubblica d’innovazione.
Un punto cruciale, infine, è rappresentato dai nuovi ammortamenti per beni tecnologici delle imprese, sul modello Industria 4.0, per investimenti che sono partiti da gennaio 2020 e che potranno essere scontati fiscalmente nel 2022[5]. La partita sul rinnovo degli iper ammortamenti è cruciale e serve a supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.
Capacità di spesa dei fondi: gli errori da evitare
Qualunque idea si deciderà di sposare, ciò che più conta sarà la qualità dei progetti e degli investimenti che ciascuna amministrazione sarà in grado di sviluppare. In Italia, le risorse finanziarie derivanti dai Fondi strutturali europei (FESR, FSE, FEASR e FEAMP) ammontano complessivamente a 76 miliardi di euro. Tali risorse sono gestite attraverso 83 programmi operativi di cui: 15 a titolarità di Amministrazioni centrali; 68 a titolarità delle Amministrazioni regionali/Province Autonome. Secondo la Ragioneria dello Stato, al 30 giugno 2020, rispetto alle risorse complessivamente programmate, risulta un avanzamento del 58,8% in termini di impegni (a fronte di una media europea dell’85%) e del 37,4% in termini di pagamenti. Peraltro, ad avviso di numerosi addetti ai lavori ed esperti della materia, se entro quest’anno non si otterrà una netta inversione di rotta per buona parte dei PON e dei POR, difficilmente si riuscirà a impegnare i fondi disponibili entro la fine del 2020, che è la data ultima per assumere impegni di spesa dopo aver selezionato i progetti.
Se si scava dentro la spesa che l’Italia è riuscita a portare avanti in questi ultimi sei anni e mezzo, si scopre che a soffrire maggiormente è stato il digitale. Confindustria digitale ha svolto un’analisi sullo stato di avanzamento dell’Obiettivo tematico 2 “Agenda digitale”. Anche in questo caso i numeri parlano chiaro: su 22.215 progetti presentati, solo la metà (11.328) sono arrivati a conclusione. La spesa effettiva ammonta ad appena 495 milioni di euro su 3,3 miliardi (il 15% delle risorse stanziate). I progetti ancora in corso sono 7.797, per un ammontare di circa 2,5 miliardi. Il 40% di questi ultimi progetti – precisamente 3.123 – sono stati avviati solo nel 2019, a un anno dalla conclusione della programmazione 2014-2020 e la gran parte di questi non ha pagamenti effettuati. E poi ci sono i progetti non ancora avviati, quelli che rischiano di essere tagliati: sono 2.990 per circa 230 milioni.
Tutti questi numeri ci dicono che l’Italia è il secondo Paese beneficiario per soldi ottenuti (al primo posto c’è la Polonia), ma tra gli ultimi per progetti realizzati. Lo Stato, quindi, non solo oggi fa fatica a spendere i soldi europei, ma stenta anche a formulare progetti credibili. Sull’efficacia progettuale il nostro Paese resterà perciò un “sorvegliato speciale” nell’utilizzo delle risorse comunitarie. Una caratteristica tipica dell’Italia è quella di disperdere le risorse in mille rivoli e la gestione fra mille protagonisti. È una cosa che va assolutamente cambiata, anche perché i 209 miliardi attesi dal Next Generation Eu sono oltre 4 volte i fondi strutturali della programmazione 2014–2020 e le risorse dovranno essere impegnate in 3 anni, rispetto ai 7 anni previsti dai fondi strutturali. Il livello di tiraggio delle risorse comunitarie è ampiamente migliorabile.
La sfida della progettazione strategica
“È evidente – fa sapere Confindustria Digitale – che per utilizzare le risorse in modo efficiente dobbiamo operare in netta discontinuità con il passato”. La stessa Confindustria Digitale ha stilato una lista delle azioni per utilizzare al meglio le risorse e l’11 novembre ha in programma un webinar su come valutare lo stato di attuazione dei programmi di digitalizzazione del nostro Paese. Sarà un importante momento di confronto per valutare quanto fatto e messo in campo finora, analizzare le nuove prospettive e approfondire le opportunità di collaborazione fra pubblico e privato nell’opera di rinascita del Paese. Tre settimane fa, parlando proprio davanti agli industriali di Confindustria, Giuseppe Conte ha annunciato una legge per individuare i soggetti attuatori e responsabili del Piano nazionale di recupero. Saranno sei i responsabili, uno per ogni area di intervento (i cosiddetti cluster definiti dal Piano italiano) in cui confluiranno i singoli progetti. Ma per Confindustria digitale serve molto di più. Il riferimento è alla necessità di istituire una governance centrale per la trasformazione digitale del Paese, “una sorta di Alto commissariato per i servizi digitali sotto l’egida della presidenza del Consiglio”, capace di risolvere problemi operativi e procedurali, promuovere la cooperazione trasversale fra le istituzioni, dare coerenza al processo di cambiamento, monitorare l’andamento dei progetti, verificare i risultati.
La questione centrale per gli industriali è quella delle strutture amministrative dello Stato. Il grande ritardo digitale – è il ragionamento – non è dovuto alla mancanza di piani, progetti e risorse. Dall’avvio dell’Agenda digitale, nel 2010, sono state innumerevoli le iniziative, i piani nazionali, i progetti locali, le misure di legge messi in campo. Ma quello che ha frenato tutto è stata l’assenza di una governance centralizzata, capace di indirizzare il grosso delle risorse su misure strutturali, di monitorare i progetti, di trovare una coerenza tra le iniziative nazionali e quelle locali. E così l’Agenda digitale si è frammentata. Quello che andrebbe evitato, con il Recovery Fund, è soprattutto questa frammentazione e quell’atteggiamento burocratico di chi dice che ha avviato il progetto, ha messo i soldi e poi si è messo a guardare l’evoluzione dell’attuazione, senza preoccuparsi di verificare modalità, tempi, impatti e risultati.
Conclusioni
Non è possibile che siamo ancora il Paese nel quale per chiedere una qualsiasi agevolazione occorra ancora presentare copia dell’Isee, quando è possibile rendere tale verifica un’attività informatizzata e automatica. Il Paese in cui per pagare una multa, in alcuni casi, bisogna presentare la copia (cartacea o scannerizzata) della patente e altri documenti vari. Il Paese in cui i cittadini vengono sollecitati a scaricare Immuni sul loro telefonino, ma poi in caso di positività ci sono delle Asl che non sanno come fare la segnalazione sull’applicazione.
Il rischio di sprecare l’ennesima occasione si annida proprio in questo labirinto di burocrazie, dove echeggia il ritornello della digitalizzazione, spesso evocata, ma mai fatta per davvero. Per ridurre questo rischio, politica, amministrazione e burocrazia, pericolosamente intrecciati tra loro come descritto nel libro di Sergio Rizzo e Tito Boeri “Riprendiamoci lo Stato” (Feltrinelli 2020), dovrebbero prendere coscienza che è arrivato il momento di rifondare sé stessi e cooperare di più.
Il Governo eviti una visione ministero centrica della PA. La costruzione di silos settoriali, purtroppo, non apporta mai valore. Adotti invece politiche trasversali e iniziative per prevedere, a decorrere dal 2021, appositi indicatori del livello di digitalizzazione e innovazione, al fine di misurare e monitorare l’andamento dello sviluppo tecnologico nell’arco del prossimo triennio, nonché di prevedere gli impatti dell’evoluzione tecnologica sulla base degli obiettivi di politica economica e dei contenuti del piano nazionale per la ripresa e la resilienza elaborato nell’ambito del Recovery Fund.
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Note
- Gli atti normativi che dovranno regolamentare Next Generation EU sono attualmente oggetto di negoziato presso le istituzioni europee, in vista di una loro approvazione definitiva, in tempo utile per la loro entrata in vigore in concomitanza con il nuovo ciclo programmatico del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, prevista per il 1° gennaio 2021. ↑
- Cfr. Be Diase L., “Fondi utilizzatati per generare nuovi fondi per l’innovazione”, il Sole 24 Ore 18 ottobre 2020. ↑
- La Fondazione, istituita con il Decreto Rilancio, ha lo scopo di promuovere investimenti e iniziative in materia di ricerca e sviluppo e trasferimento tecnologico a favore delle imprese operanti sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle start-up innovative e alle PMI innovative. ↑
- Cfr. Spallone R., Filippetti A., Tuzi F., “La domanda pubblica d’innovazione: verso un piano d’azione per il procurement di ricerca e sviluppo in Italia”, in Relazione sulla Ricerca e l’Innovazione in Italia – Anno 2019. ↑
- Il credito si applica agli investimenti effettuati a decorrere dal 1 gennaio 2020 e fino al 31 dicembre 2020, ovvero entro il 30 giugno 2021 a condizione che entro il 2020 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione. ↑