Lo scenario

Sanità, bene i fondi UE per il rilancio ma bisogna investire in digitale

Per sfruttare al meglio il potenziale offerto dai fondi europei in arrivo al fine di favorire la ripresa dell’Italia dalla crisi imposta dalla pandemia, serve una presa di coscienza sull’importanza di investire nella Sanità digitale: solo così i finanziamenti ci condurranno nel new normal

Pubblicato il 04 Gen 2021

Giuliano Pozza

Chief Information Officer at Università Cattolica del Sacro Cuore

Open Innovation: Modelli e best-practices | by Alfredo Adamo | Alan Advantage | Medium

Per fare in modo che la seconda ondata dell’epidemia ci aiuti a fare un salto di consapevolezza e di strategia, dovremo essere in grado di valorizzare i fondi europei che stanno per arrivare. È necessario un cambio di prospettiva e di livello di coscienza perché, se così non fosse, alimentare un meccanismo folle con un sacco di soldi può solo produrre risultati disastrosi.

Del resto non è nemmeno pensabile continuare a sognare di trasformazione digitale in sanità investendo meno del 2% delle risorse nel digitale, come avviene nella maggior parte delle strutture sanitarie. Eppure, in questo contesto è auspicabile che una parte importante di fondi venga utilizzata per la sanità digitale, che sarà sicuramente protagonista della trasformazione in atto.

I fondi dell’Unione Europea per la Sanità: stato dell’arte

Come ricordato in una recente ricerca di AISIS e NetConsulting cube: “Sarà difficile ipotizzare di dare avvio a un profondo processo di Digital Transformation di un settore dove, a fronte di una spesa sanitaria pro capite nel 2018 pari a circa 2.500 euro, la quota spesa in innovazione risulta pari a poco più di 28 euro. Finché si spenderà l’1,14% delle risorse sanitarie nel digitale non sarà possibile pensare di sostenere i cambiamenti necessari e, nel contempo, mantenere operativo ed efficiente l’apparato già esistente.”[1]

Nell’emergenza coronavirus, non ci sono dubbi, l’Europa è partita con il piede sbagliato. Molti ricorderanno la tiepida accoglienza che le richieste italiane di supporto hanno avuto all’inizio della crisi e poi le scuse pubbliche di Ursula Von der Leyen ad aprile. Da quel momento in poi però anche gli scettici hanno dovuto ammettere che l’Europa si è ridestata ed ha dato una risposta significativa allo tsunami Covid-19. Forse non tutti però hanno presente quali siano i numeri e le modalità di questa risposta. Innanzitutto la Commissione Europea si è mossa usando in modo intelligente una leva già presente, ossia i fondi per le politiche di coesione. All’inizio della crisi, si avviava a conclusione il settennato 2014-2020 e si stava negoziando la pianificazione dei fondi per il 2021-2027. La prima risposta ha previsto una ridistribuzione dei fondi ancora non allocati del settennato che si stava chiudendo, creando una disponibilità di 4,6 miliardi di euro per la sanità. Le iniziative di emergenza sono chiamate CRII (Coronavirus Response Investment Initiative) e CRII+ (Coronavirus Response Investment Initiative Plus). A metà ottobre queste iniziative di emergenza avevano già mobilitato un totale di 26,7 miliardi di euro.

È interessante notare come i vari paesi si siamo mossi in modo diverso. Ad esempio la Spagna è quella che ha utilizzato più fondi sulla sanità: 1,5 miliardi di euro. L’Italia 584 milioni.

(Fonte: Coronavirus Dashboard – European Structural and Investment Funds)

Inoltre l’Italia ha investito le risorse in sanità soprattutto per sostenere i laboratori di analisi, la Spagna per creare posti letto. Oltre all’emergenza, vi sono poi gli stanziamenti ancora in negoziazione relativi al programma React-EU (11,3 miliardi per l’Italia) e Next Generation EU (altri 209 miliardi), di cui una parte consistente sarà dedicata al comparto sanitario. La vera domanda ora è come far sì che i cospicui finanziamenti che la sanità riceverà producano valore e ci portino verso una nuova normalità.

Risorse e valore

Le opportunità, come abbiamo visto, sono tante. Oggi la sanità digitale italiana soffre di due malattie, che sono due facce della stessa medaglia: risorse insufficienti e risorse mal utilizzate. Certamente c’è un tema di quantità, ma non è a mio parere la criticità più importante. Se così fosse, con i fondi UE potremmo aver risolto il problema. Il tema risorse va visto, oltre che in termini quantitativi, anche da altri punti di visita. Ne scegliamo 3 particolarmente rilevanti:

  • Il punto di vista delle parole e delle definizioni. Come diceva Michele Apicella in Palombella Rossa: “Le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male”. Quando parliamo di risorse, dobbiamo definire cosa intendiamo con questo termine. Inconsciamente la maggior parte di noi pensa alle risorse hard, ossia alle risorse economiche e a tutte quelle risorse che possono essere messe in campo grazie al denaro. Rientrano in questa categoria gli asset come i macchinari, gli edifici, i sistemi informativi e le infrastrutture. La seconda categoria di risorse sono le risorse umane, ossia i professionisti che possiamo assumere o contrattualizzate per fornire un servizio. Questa seconda categoria di risorse è più importante della prima, sia perché sono più difficili da reperire e formare (in particolar modo in sanità), sia perché senza risorse umane ad alta professionalità le altre risorse verranno quasi certamente mal utilizzate. La terza e ultima categoria sono le risorse culturali. Questa è una categoria decisamente interessante perché le culture professionali non sono tutte uguali. Non bastano i soldi, non bastano le tecnologie e nemmeno le persone: per generare una cultura professionale capace di grandi risultati: serve un mix di leadership, spirito di collaborazione, visione e capacità di condivisione, come vedremo più avanti.
  • Il punto di vista delle scelte strategiche. Una caratteristica delle risorse è che quelle hard e quelle umane sono per loro natura finite e limitate dal contesto socio-economico. Ad esempio potrei anche avere i soldi per assumere migliaia di medici, ma se il percorso universitario ne sforna in quantità insufficiente non potrò mai colmare i gap (cosa che sta in effetti succedendo ora). Le risorse culturali invece sono potenzialmente infinite! L’ingegno, la capacità di innovazione, la moltiplicazione di energie resa possibile dalla collaborazione sono tutti elementi caratterizzanti delle organizzazioni ad alte performance. Organizzazioni ad alte performance sono però difficili da costruire e non sono equamente distribuite nelle varie realtà sanitarie, quindi nel momento presente anche le risorse culturali vanno considerate un bene prezioso. In un contesto in cui le risorse umane e quelle culturali sono dei beni critici (e talvolta scarsi) mentre quelle economiche diventeranno a breve abbondanti, il rischio della distruzione di valore è particolarmente elevato. È la sindrome della ricchezza improvvisa. Provate a dare ad un poveraccio che non ha mai gestito grandi somme di denaro (e questo vale per la maggior parte di noi) 30 milioni di euro, e in nove casi su dieci vedrete che questa persona si auto-distruggerà nel giro di qualche anno. È un tema di risorse culturali. Quindi lavorare su questo tipo di risorse già ora, prima che arrivino i soldi, è fondamentale. Un buon modo di partire è ragionare sugli obiettivi strategici attraverso un framework basato sul valore. Che sia il Lean Value Tree[2], il Triple Aim, il Quadruple Aim di EXPH o la Value Based Healthcare, poco importa. Partiamo però dal valore, definiamo il valore che vogliamo raggiungere e i risultati attesi e poi governiamo coerentemente il percorso. Peraltro, tra le scelte strategiche legate al valore ce n’è una dirimente: quale il ruolo degli attori del governo centrale e degli attori regionali nella sanità di domani? Questa è grande domanda a cui dovremmo rispondere, prima di toccare un centesimo dei finanziamenti europei.
  • Il punto di vista della Governance: se la strategia deve essere basata sul valore, altrettanto importante è che lo sia la governance. Come sappiamo le strategie sono importanti, ma spesso quello che fa la differenza è la capacità di execution, come ci ricordano Kaplan e Norton[3]. I framework di governo basati sul paradigma lean/agile, ossia quelli più focalizzati sul valore, hanno in comune tre temi[4] (mantengo l’inglese come nell’originale perché è particolarmente espressivo):
    • Govern for Value over Predictability
    • Organize for Responsiveness over Cost-efficiency
    • Design for Intrinsic Motivation and Unscripted Collaboration[5]

La governance del percorso dovrà essere focalizzata sul valore (come definito nel framework strategico, qualunque esso sia), dovrà garantire capacità di adattamento e resilienza e dovrà fare leva sulla motivazione e sulla collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Senza questi ingredienti, non c’è modo che la ricetta possa produrre qualcosa di commestibile!

Quali priorità e prospettive

A questo punto, definiti i termini e i riferimenti metodologici sia per delineare una strategia che per governarla, la domanda viene spontanea: ma su quali priorità potrebbe incentrarsi la strategia per una nuova sanità digitale in Italia? La risposta potrebbe sembrare paradossale visto quanto scritto sul valore e sull’importanza del digitale: bisognerebbe restare lontani da soluzioni puramente tecnologiche e/o con un’ottica di ritorno di valore di breve periodo (magari economico) e focalizzarsi su interventi strutturali, che generino valore nel medio lungo periodo. Questo per almeno 3 ordini di ragioni:

  • Focalizzarsi solo su interventi con ritorno a breve senza una visione olistica e architetturale è una ricetta certa per il fallimento. È la “sindrome dell’app”, che in questi anni ha travolto i percorsi di digitalizzazione della sanità e della pubblica amministrazione. Sembra che con un’app si possa risolvere tutto, senza considerare che l’app va inserita in un contesto di customer experience di valore. Immuni insegna. E quando parliamo di architetture, sposiamo una visione che parte dalle architetture organizzative e di processo e arriva a quelle più prettamente tecnologiche, come ben rappresentato dal classico framework del NIST sull’enterprise architecture.
  • Soluzioni puramente tecnologiche, anche su larga scala, non riescono mai a centrare la complessità dei problemi. Il sociologo Morozov dice che siamo un mondo malato di tecno-soluzionismo. Probabilmente è vero. Anche investire in soluzioni tecnologiche di medio-lungo periodo senza considerare che il sistema tecno-umano della sanità digitale è fatto innanzitutto di persone, poi di processi e di tecnologie, è una ricetta per il disastro. Investire sull’organizzazione, sulle competenze e sulla cultura è un altro aspetto fondamentale che svilupperemo a breve.
  • Le soluzioni con un ritorno a breve si possono sempre fare e il sistema ci porterà naturalmente in quella direzione, senza bisogno di strategie e fondi addizionali. Un esempio degli ultimi anni che rappresenta questo meccanismo è quello della digitalizzazione dei servizi radiologici. Il “business case” era così netto che il sistema non ha avuto bisogno di alcuno stimolo per muoversi verso architettura RIS-PACS diffuse. Non abbiamo bisogno di usare l’occasione eccezionale dei fondi europei per soluzioni che si auto-finanziano in 1 o 2 anni.

Con queste premesse, senza voler dare nessuna ricetta, proviamo a condividere una riflessione su tre pilastri strategici e capaci di generare valore nel medio lungo periodo su cui investire:

  • Servizi e tecnologie a supporto della sanità territoriale: questo è uno dei rari casi in cui un obiettivo strategico di medio periodo si sposa perfettamente con un obiettivo tattico di brevissimo. L’inesistenza di una sanità territoriale in molte regioni è la vera emergenza di questi giorni. Guardando in retrospettiva quello che è successo, non potenziare il territorio è stato in assoluto il più grande errore che abbiamo compiuto. Se a marzo questa omissione era scusabile, oggi non possiamo dire altrettanto. Peraltro, se è vero come è vero che il 30% dei pazienti (i cronici) assorbono l’80% delle risorse[6], potenziare i servizi territoriali è una delle chiavi strategiche della gestione delle continuità di cura per la cronicità anche post emergenza. La lista delle tecnologie è lunga, ma fondamentalmente i filoni principali sono relativi all’ambito tele* (telemonitoraggio, teleassistenza, televisita…) e continuità di cura (care e case management, integrazione dei servizi ospedale territorio…). In questo ambito rientra tutto il tema della Value Based Customer Experience, di cui non mi stancherò mai di sottolineare l’importanza. Per la gestione dell’emergenza pandemica e della cronicità è fondamentale uscire da un paradigma in cui il paziente quando sta male arriva ai servizi sanitari (modello reattivo attuale, che funziona anche con una customer experience disastrosa) ad un paradigma di proattività e coinvolgimento. Questo è possibile solo se l’esperienza dei cittadini è di valore e percepita come tale.
  • Interoperabilità (codifiche e standard comuni nazionali e infrastrutture abilitanti): questo non è un tema solamente tecnologico, ma lo abbiamo detto e ridetto: senza avere una piattaforma logica comune l’integrazione di dati e servizi a livello nazionale e di fatto impossibile. E un tema che si riconduce in primis alle codifiche e alla semantica delle codifiche. Se applichiamo il modello di Ross-Weill[7] alla sanità italiana, dove da una parte c’è un ministero centrale e dall’altra le regioni che hanno una larghissima autonomia in ambito sanitario, attualmente siamo in una configurazione sub-ottimale chiamata diversificazione (bassa standardizzazione e bassa integrazione). Tradotto: ognuno fa quello che vuole. Il Covid insegna che è la ricetta per la catastrofe. Dato che, per come è fatta la sanità italiana, trovo irrealistico pensare ad un modello ad alta standardizzazione, dovremmo puntare tutto su una maggiore integrazione (configurazione di “coordinamento”).

A supporto di questo percorso vanno ridefiniti i ruoli del ministero e delle regioni, dando al primo il compito di definire gli standard minimi di interoperabilità, di prestazioni, di livello di servizio, mentre le regioni avranno il compito di realizzare i sistemi alimentanti e di garantirne l’interoperabilità tra loro e verso il centro. Questo richiede sforzi ingenti, ma potrebbe generare enorme valore nel futuro. Insomma usciamo dal vicolo cieco del Fascicolo Sanitario regionale. Non importa come vengono generati e gestiti i dati e come vengono rappresentati, purché si basino su standard e semantiche comuni e possano quindi essere aggregati da molteplici fornitori di servizi.

  • Organizzazione e cultura digitale: questo è un tema su cui bisognerebbe iniziare a investire… 10 anni fa. Più lavoro nel digitale e più mi rendo conto che organizzazione e cultura determinano l’80% delle probabilità di successo. Se andiamo a vedere quali sono i paesi europei che stanno raccogliendo i frutti più interessanti dalla sanità digitale, tipicamente tra i primi ci sono sempre Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia e Lussemburgo[8]. Tra i primi ci sono sempre gli stessi: Finlandia, Olanda, Svezia, Lussembugo e Danimarca. Il tema del culture hacking è nodale nella sanità italiana e non solo per la trasformazione digitale. Culture hacking non è ovviamente formazione, anche se la formazione può esserne parte. Lo studio delle organizzazioni ad alte performance, come spiegato ad esempio da Logan e King in “Tribal Leadership”[9] o Coyle in “The culture code”[10], è fondamentale perché solo un’organizzazione ad alte performance può usare consapevolmente le nuove risorse digitali creando valore. Organizzazione e cultura che devono incarnarsi in modelli di governo agili, come abbiamo visto. E per questo è fondamentale che ci sia il coinvolgimento di tutti i portatori di interessi e di competenze: scienziati, clinici, esperti digitali, rappresentanti dei pazienti e dei loro famigliari, esperti di organizzazione e di governo.

Insomma anche in attesa dell’arrivo dei soldi dall’Europa, abbiamo molto su cui lavorare e da subito.

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Note

  1. “Osservatorio eHealthLab: la sanità italiana alla prova della Value Based Healthcare” – AISIS e NetConsulting cube 2019.
  2. Highsmith, J.; Luu, L.; Robinson, D. “Edge: Value-Driven Digital Transformation”. Ed. Addison-Wesley Professional 
  3. Kaplan, R. S., & Norton, D. P. (2008). The Execution Premium: Linking Strategy to Operations for Competitive Advantage. Harvard Business Review Press.
  4. Narayan, S. (2016). “Agile IT Organization Design: For Digital Transformation and ContinuousDelivery”. Ed. Addison-Wesley Professional
  5. “Governa per il valore più che per l’aderenza ai piani, crea organizzazioni capaci di adattarsi ai cambiamenti prima che efficienti in termini di costi, progetta per favorire la motivazione intrinseca e la collaborazione oltre gli schemi.”
  6. “Si stima che circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche”, dal Piano nazionale della Cronicità
  7. Ross, J. W., & Weill, P. (2006). Enterprise Architecture As Strategy. Harvard Business School Press.
  8. Report “Human Capital and Digital Skills” del programma “Digital Single Market” della Commissione Europea.
  9. Logan, D; King, J. (2009). “Tribal Leadership: Leveraging Natural Groups to Build a Thriving Organization”. Ed. HarperCollins
  10. Coyle, D. (2018). “The Culture Code: The Secrets of Highly Successful Groups”. Ed. Random

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