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Software dispositivi medici, l’inghippo della proprietà nell’accordo Consip



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All’articolo 22, il modello di Accordo quadro Consip prevede che la PA acquisti tutti i diritti sui i software oggetto di gara: una situazione che nel caso dei programmi classificati come dispositivi medici crea problemi ad amministrazioni e fabbricanti

Pubblicato il 2 ott 2023

Silvia Stefanelli

Studio Legale Stefanelli & Stefanelli



dati sanità

Le gare d’appalto per la digitalizzazione del nostro Sistema sanitario nazionale – collocate all’interno del Piano triennale per l’informatica nella PA e nell’ambito della Missione 6 “Salute” del PNRR – sono gestite tramite accordi quadro Consip e successivi appalti specifici delle singole Regioni. Tra gli oggetti degli accordi quadro, ci sono i sistemi informativi clinico-assistenziali che andranno ad operare nell’ambito della Telemedicina collegati alle relative cartelle cliniche.

All’interno dei sistemi informativi oggetto di gara, vi sono software generici ed, altresì, software le cui funzionalità specifiche comportano la qualificazione come dispositivi medici (conseguentemente sottoposti alla attuale disciplina del Reg. Ue 2027/745 – MDR). Il modello dell’Accordo quadro Consip – i cui contenuti sono ripresi in molte gare a livello regionale – all’art. 22 stabilisce che la PA acquista tutti i diritti sui i software oggetto di gara.

In altre parole, la PA diventa proprietario del Codice sorgente. Tale clausola contrattuale, che segue (solo in parte) le previsione degli art. 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD (D.Lgs 82/2005), se può avere una sua logica per i software generici, è invece di complicatissima applicazione nel caso dei medical device. Verrebbe da dire che è “incompatibile” (in senso atecnico) con tale settore. Vediamo perché l’art 22 dell’Accordo quadro Consip creerà moltissimi problemi sia alla PA che ai fabbricanti dei medical device.

Cosa prevede il CAD

Il D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (CAD) al Capo VI disciplina lo “Sviluppo. Acquisizione e Riuso dei sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni” . Più precisamente l’art. 68 stabilisce che le modalità di acquisto di un software da parte della le PA sono :

a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;

b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;

c) software libero o a codice sorgente aperto;

d) software fruibile in modalità cloud computing;

e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;

f) software combinazione delle precedenti soluzioni.

La norma stabilisce poi che, per decide quale è la soluzione migliore la PA deve effettuare una valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili seguendo i seguenti criteri:

a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto;

b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;

c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito.

Da ultimo lo stesso art. 68 stabilisce che

1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall’AgID.622

In sostanza, pur dando atto che la norma esprime un favor legislativo per l’acquisizione della proprietà del software, è lo stesso legislatore che chiama le pubbliche amministrazioni a svolgere una analisi di natura tecnico-economica per valutare se, effettivamente, “conviene” acquistare il software oppure se non risulta più opportuno nel caso specifico utilizzare il software tramite licenza d’uso. La disciplina di cui sopra ha poi trovato indicazioni di dettaglio nelle Linee Guida del 9 maggio 2019. Infine l’art. 69 stabilisce un regime di favor per il riuso dal software acquistato dalla PA.

Appalti software sanitari, cosa dice l’accordo quadro Consip

L’Accordo Quadro Consip non richiama in alcun modo la valutazione comparativa tra le diverse possibili soluzioni dell’art. 68 e decide che, per tutti i sistemi informativi oggetto degli Appalti Specifici regionali, la soluzione è l’acquisto del software in capo alla PA. L’art. 22 dell’accordo quadro, titolato Proprietà del software e dei prodotto in genere, stabilisce che: “L’Amministrazione acquisisce il diritto di proprietà e, quindi, di utilizzazione e sfruttamento economico, di tutto quanto realizzato dal fornitore in esecuzione del presente contratto (a titolo meramente esemplificativo ed affatto esaustivo, trattasi dei prodotti software e dei Sistemi sviluppati, degli elaborati, delle procedure software e più in generale di creazioni intellettuali ed opere dell’ingegno), dei relativi materiali e documentazione creati, inventati, predisposti o realizzati dal fornitore o dai suoi dipendenti nell’ambito o in occasione dell’esecuzione del presente contratto. L’Amministrazione potrà, pertanto, senza alcuna restrizione, utilizzare, pubblicare, diffondere, vendere, duplicare o cedere anche solo parzialmente detti materiali ed opere dell’ingegno. I menzionati diritti devono intendersi acquisiti dall’Amministrazione in modo perpetuo, illimitato ed irrevocabile”.

Tale previsione apre un baratro di cui forse non è stata colta appieno la portata, né da parte di chi ha redatto l’Accordo Quadro né da parte delle aziende che partecipano alle gare.

L’impatto sul settore dei medical device

Quando infatti i software realizzati rientrano nella nozione di medical device (art. 2 lett. a MDR) – e la casistica non è limitata – si possono presentare solo due ipotesi:

  1. Nella prima ipotesi la PA acquisisce dalla società aggiudicataria tutta la documentazione relativa al software as medical device (c.d. samd) e realizza samd “in house”. In questo caso la PA è tenuta ad applicare tutte le previsione di cui all’art. 5 comma 5 MDR che richiede una serie (piuttosto complessa) di adempimenti finalizzati a garantire che la sicurezza e l’efficacia clinica del dm prodotto in house siano pari a quelli di software marcato CE. Nell’ambito di tale processo la PA dovrà poi seguire la MDCG 2023-01 Guidance on the health institution exemption under Article 5(5) of Regulation (EU) 2017/745 and Regulation (EU) 2017/746. Inoltre, per espressa previsione legislativa, tale software in house non può essere ceduto in riuso ad altre pubbliche amministrazione (come invece auspicato dall’art. 69 del CAD). Ne deriva che la PA si carica un onore amministrativo e gestionale molto rilevante, dovendo svolgere poi nel tempo anche tutti gli adempimenti successivo (quali sorveglianza post commercializzazione con relativi miglioramenti del software e vigilanza)
  2. Nella seconda ipotesi invece la PA acquista la piena proprietà (comprensiva di tutti i diritti) di un software già marcato CE dall’aggiudicatario. Qui la questione è ancor più insidiosa perché investe due profili: il diritto d’autore e il ruolo di fabbricante.

Il nodo del diritto d’autore

Il software è un bene tutelato dalla disciplina del diritto d’autore (art. 1 comma 2 legge 633/1941): ciò implica che l’autore (la software house che ha creato il SAMD) acquisisce automaticamente al momento della creazione tutti i diritti sull’opera, che può poi liberamente cedere a terzi o in utilizzo (come avviene di solito tramite licenza d’uso) o anche in cessione piena (con la vendita del Codice Sorgente). È chiaro che ove intervenga una cessione piena, l’autore perde tutti i diritti sull’opera e quindi non potrà più venderla o concederla in utilizzo ad altri.

In altre parole l’acquisizione della piena proprietà da parte della PA (come indicato nell’art. 22 dell’Accordo Quadro) comporta che il fabbricante del Samd marcato CE cede il Codice Sorgente alla PA e non ha più alcun diritto su quel md: cioè non più attivare licenze d’uso in capo ad altri.

Se si pensa che oggi marcare CE un samd ai sensi del nuovo MDR (in termini sia di costi vivi che costi uomo) impatta circa 100.000 euro (in alcuni casi oltre), appare chiaro che l’esborso in capo alla PA dovrebbe essere enorme. Oppure che l’aggiudicatario va in perdita.

Il ruolo di fabbricante ex MDR

In questo caso, poi, la cessione del Codice Sorgente non fa perdere all’aggiudicatario il ruolo di fabbricante ex MDR sotto il profilo regolatorio.In altre parole l’aggiudicatario che vende alla PA il samd marcato CE oggetto di gara (che rimane “un pezzo unico”) non potrà più sfruttare economicamente il samd, continuando però a rivestire il ruolo di fabbricante e dovendo quindi svolgere (su un software di cui non ha più il Codice Sorgente) tutte le attività previste del MDR, quali la sorveglianza post commercializzazione, l’iscrizione in Eudamed, la vigilanza e così via. Ma quanto dovrebbe farsi pagare il Fabbricante dalla PA per queste attività?

Sorge allora spontanea una domanda: siamo veramente sicuri che per il settore medical device non sarebbe stato più conveniente utilizzare contratti di licenza uso del samd, pretendendo magari clausole contrattuali favorevoli alla PA nel momento in cui decida di cambiare fornitore?

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