La Corte di giustizia UE ha sentenziato che i limiti al subappalto previsti dalla legge italiana sono in contrasto alle normative europee. Questa decisione avrà ripercussioni sul procurement in Italia e potrà portare a una modifica delle disposizioni in materia. L’Italia ha sempre applicato il limite ritenendolo un mezzo utile per evitare infiltrazioni criminali nelle gare, ma la Corte ha ritenuto che non sia un mezzo efficace e che ce ne siano già, sottolineando anche come la stazione appaltante possa imporre limiti di volta in volta a seconda dei casi, ma che non debba essere il legislatore nazionale a farlo a priori. Approfondiamo la situazione.
Il contesto
Il 26 settembre 2019 è stata adottata dalla Corte di Giustizia Europea la sentenza nella causa C-63/18, che aveva ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal TAR Lombardia, sull’interpretazione di alcune disposizioni del TFUE[1] e della Direttiva Dir. 2014/24/UE [2], in specifico riferimento al subappalto e al principio di proporzionalità. Bisogna ricordare che il diritto eurounitario è sovra ordinato rispetto al diritto dei singoli Stati membri, che non possono per ciò legiferare in contrasto alle disposizioni europee. Quindi se un Giudice nazionale, per decidere una vertenza, ha necessità di risolvere prima una questione interpretativa, per comprendere se una determinata norma interna, applicabile al caso concreto, sia o meno coerente con le disposizioni europee, può chiedere alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in merito.
La Corte non si esprime sul caso specifico e neppure direttamente sulla norma nazionale, ma si limita a fornire l’interpretazione corretta del Diritto dell’Unione, spettando poi al Giudice dello Stato membro la risoluzione della vertenza concreta, se del caso disapplicando la norma del diritto interno che sia risultata contrastante con l’interpretazione del diritto europeo. Il Giudice nazionale che ha richiesto la pronuncia pregiudiziale, benché sia il solo competente a decidere la causa, è comunque vincolato all’interpretazione data dalla Corte di Giustizia Europea, così come vincolato alla stessa è anche il giudice di appello. Il mancato rispetto dell’obbligo di conformarsi alla pronuncia pregiudiziale della Corte può comportare l’apertura, nei confronti dello Stato membro, in una procedura di infrazione.
La decisione della Corte di Giustizia
La Corte nella sentenza del 26 settembre si è pronunciata dichiarando che la direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella del Codice contratti italiano (Codice appalti), che imponga un limite percentuale (all’epoca il 30%) alla parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi. La pronuncia, sebbene non inattesa, rappresenta un problema non indifferente per il legislatore italiano perché di fatto anticipa la posizione che la Corte di Giustizia assumerebbe nel caso in cui la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nel 2018 per varie disposizioni del Codice contratti, tra cui quelle sul subappalto, dovesse proseguire fino al deferimento del nostro Paese alla predetta Corte.
La pronuncia è, poi, molto interessante perché sostanzialmente demolisce l’argomentazione storicamente utilizzata dall’Italia non solo per giustificare la necessità di imporre il limite predetto al subappalto, ma anche per motivare altre e diverse norme restrittive. È bene chiarire che quello che la Corte di Giustizia ritiene incompatibile con il diritto dell’Unione non è il fatto che in una specifica procedura di affidamento la stazione appaltante ponga – motivatamente – dei limiti a ciò che può essere subappaltato. Quello che viene contestato è che a farlo sia il legislatore, attraverso un limite percentuale fissato in via generale e astratta per tutti gli appalti.
Le giustificazioni italiane
La giustificazione adottata dall’Italia è storicamente connessa ad esigenze di ordine pubblico, atteso che il subappalto avrebbe “da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi” quindi “limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe il coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno appetibile per le associazioni criminali, il che consentirebbe di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche e di tutelare così l’ordine pubblico”.
La Corte di Giustizia, oltre a lasciar trapelare dei dubbi in ordine all’effettiva efficacia dello strumento scelto rispetto all’obiettivo che si intende raggiungere, osserva che in ogni caso, quand’anche la restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa, la limitazione posta dal codice contratti eccede quanto necessario.
La Corte osserva che il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese, mentre il limite quantitativo al subappalto posto dal Codice contratti resta slegato dal settore economico interessato, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori e opera anche se la stazione appaltante sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e conseguentemente, escludere che il limite sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione. Merita ricordare che i subappalti, secondo il Codice contratti, vanno autorizzati e che i subappaltatori devono essere in possesso dei medesimi requisiti di onorabilità che sarebbero necessari per partecipare ad una gara come concorrente.
I Giudici Europei scardinano anche il corollario della giustificazione storicamente offerta dall’Italia, ovvero il fatto che i controlli previsti dalla normativa italiana sui subappalti sarebbero inefficaci. Come giustamente rilevato, l’inefficacia dipende essenzialmente dalle modalità con le quali i controlli vengono effettuati e non toglie nulla alla restrittività della disposizione “incriminata”. Questa considerazione è particolarmente interessante perché dovrebbe indurre il legislatore nazionale a riflettere non solo sullo specifico tema delle limitazioni poste al subappalto, ma più in generale sull’opportunità di imporre vincoli a priori, per il timore di non essere in grado di controllare efficacemente a posteriori. Benché il timore sia comprensibile e l’idea di eliminare (o ridurre fortemente) il problema alla radice suggestiva, occorre fare molta attenzione. Pensate se, nel dubbio di non riuscire a controllare se le nostre unghie siano realmente pulite e non vi si annidino germi pericolosi per la nostra salute, decidessimo che la scelta migliore è amputarsi le falangi. Certamente non avremmo più alcun dubbio sulle nostre unghie, ma certamente avremmo molte più difficoltà ad utilizzare le mani.
Che futuro per il subappalto
Anche se sono molti anni che il legislatore italiano, pur consapevole delle perplessità manifestate a livello europeo, resiste alla rimozione delle limitazioni poste in via generalizzata al subappalto, è probabile che prima o poi debba capitolare. È verosimile che, nel prossimo futuro, le disposizioni in materia vengano quindi modificate, fermo restando che gli stessi Giudici potrebbero/dovrebbero, nel decidere i casi concreti, disapplicare le disposizioni ritenute incompatibili con il diritto dell’Unione.
L’eliminazione del limite al subappalto fissato per legge non significa, come già ricordato, che non sarà possibile per la stazione appaltante introdurre, in relazione a specifici affidamenti, delle restrizioni anche quantitative, alle prestazioni che l’appaltatore può affidare a terzi. Vi sono certamente dei settori o tipologie di affidamento nei quali la limitazione del subappalto è una scelta inefficiente, che scoraggia la partecipazione alle gare o favorisce comportamenti finalizzati all’aggiramento delle disposizioni restrittive, di contro, vi sono ambiti nei quali è opportuno che il subappalto resti vietato.