Nel confuso momento presente, mentre si rinnova la direzione di AgID, ma resta incerta la sorte del team digitale, rischia di sfuggire un’interessante proposta che proprio il team, con un articolo a firma di Diego Piacentini e di Paolo De Rosa, lancia per un “Un patto con i fornitori di tecnologia per una Pubblica Amministrazione più efficace e moderna”. La proposta, che vi invito a leggere su “Medium”, ha molti motivi di interesse e di novità, sia di metodo sia di contenuto.
Una carta di principi tecnologici per il procurement
Partendo dal metodo si direbbe che il team sperimenti il metodo nudge della “spinta gentile”, sfruttando come opportunità la contingenza attuale che renderebbe difficile un provvedimento legislativo, specie in un campo oggi così politicamente controverso come la collaborazione pubblico-privato. Il team nel suo documento ampio ed articolato “propone un approccio nuovo: l’adozione di una carta di principi tecnologici per il procurement, concordati e accettati con i fornitori stessi, che definisca la relazione tra fornitori di tecnologia e pubbliche amministrazioni: una sorta di gentlemen’s agreement.” Dopo tante leggi, per la maggior parte aggiornatissime, ma disattese e non applicate il team ci chiede di cambiare marcia “proviamo un’altra strada arricchendo le leggi con una serie di principi di comportamento che i fornitori e le amministrazioni possono decidere di adottare in via del tutto volontaria.” L’invito è “rivolto ai fornitori privati ma anche alle numerose in-house centrali e regionali, a Consip e a tutte le stazioni di appalto pubbliche. Sia la PA la prima a dare il buon esempio!”
Comportamenti nuovi nascono da approcci nuovi
Mi pare quindi che siamo di fronte ad un tentativo coraggioso ed interessante che va nel senso da noi tante volte sottolineato: il cambiamento non può essere frutto (solo) di norme, ma di comportamenti nuovi che nascono da nuovi atteggiamenti e nuovi approcci ai problemi.
Passando al contenuto, i sedici punti di questa sorta di “carta” dei principi tecnologici del procurement costituiscono un corpus più concettuale che prescrittivo e vedono insieme raccomandazioni importanti, ma tutto sommato in teoria quasi ovvie, come quella di partire sempre dalle esigenze degli utenti, a suggerimenti fortemente innovativi come quello che chiede alle stazioni appaltanti di “organizzare la progettazione e lo sviluppo dei servizi digitali adottando ove possibile processi incrementali per il rilascio, sfruttando interazioni brevi e frequenti.”
Chiunque bazzichi le gare pubbliche sa che è proprio il contrario di quel che succede: solitamente il massimo dell’impegno è concentrato nella prima fase. Scrivere un capitolato “a prova di rogne”; aggiudicare le gare con criteri il più possibile oggettivi in modo da ridurre i margini di discrezionalità e quindi di responsabilità; preoccuparsi di ogni aspetto formale per evitare appigli a ricorsi, ecc. Poi, una volta avvenuta l’aggiudicazione definitiva, vada come vada! Il punto due della “carta” ci chiede invece di seguire con un monitoraggio intelligente il primo parziale rilascio dei servizi e di aggiustare il tiro attraverso rilasci periodici che costituiscano un feedback all’effettivo utilizzo da parte dei destinatari. Pare un’ovvietà, ma già solo questo cambiamento di enfasi dal prima al dopo rivoluzionerebbe il rapporto tra amministratori e fornitori che si troverebbero, insieme, a verificare la rispondenza dei “clienti” ad un prodotto nuovo e a decidere, ancora una volta insieme, come reagire.
Su criteri quali la pubblicazione dei codici con licenze open source, l’uso degli standard aperti, il principio “cloud first” si è già più volte e spesso inutilmente legiferato, per cui questa volta li si propone come un addendum volontario e cogente ai capitolati di gara.
Una proposta innovativa, ma ad alcune condizioni
Senza addentrarci in ogni dettagliato suggerimento di questo “patto” mi pare di poter affermare che siamo di fronte ad una proposta innovativa. Perché diventi veramente un “fatto nuovo” occorrono però alcune non banali condizioni:
- una maggiore competenza dal lato della PA: competenza non solo delle stazioni appaltanti, ma anche degli uffici preposti a seguire lo sviluppo dei progetti;
- un cambio di mentalità da parte del “burocrate difensivo” che lo porti a esaminare sempre gli esiti (outcome) dei provvedimenti, al di là della loro pur necessaria correttezza formale;
- un maggior coraggio da parte dei fornitori che, dopo averlo detto anche troppe volte nei convegni, si comportino veramente da “partner” delle amministrazioni accompagnando la vita di ogni progetto con la stessa energia con cui hanno vinto la gara e avendo sempre presente che un servizio o un nuovo processo è completato solo quando dà i suoi esiti in termini di miglioramento della vita delle persone o delle organizzazioni: solo allora il lavoro è finito;
- che si smetta una buona volta di usare giudizi manichei parlando di pubblico e di privato. Siamo in un momento molto difficile della vita economica e sociale del Paese e non possiamo fare a meno del valore della coesione e del comune sforzo. Il crollo del ponte Morandi è stata una tragedia scaturita da gravi manchevolezze sia da parte dei privati sia da parte dell’azione pubblica: sarebbe ancora più tragico se fosse una copertura ad una sciagurata demonizzazione dell’intraprendere. Sarebbe proprio il contrario di quel che ci serve.
In questi giorni non certo luminosi la proposta di questo patto ci consegna la possibilità, solo la possibilità, di un domani tecnologico migliore per una PA che ha avuto nel suo congenito deficit a comprare bene uno dei suoi più gravi handicap. Che questa possibilità diventi realtà dipende da ciascuno di noi.