Evoluzione del diritto

AI e consenso informato del paziente: quando è possibile, le questioni da risolvere

Applicare il consenso informato all’utilizzo di tecnologie di IA è possibile: i documenti da cui partire, l’analisi dei principi giuridici su sui si fonda, la riformulazione del rapporto medico-paziente

Pubblicato il 21 Lug 2022

Vera Daniele

avvocato e partner di LS Lexjus Sinacta

Sanità digitale: l'importanza dell'anonimizzazione

Non si sono ancora dipanate le nuvole interpretative, ma soprattutto applicative, dei principi introdotti dagli articoli 1-3 della legge 22 dicembre 2017 n.219 e recepiti dal Codice di deontologia medica, che già si profila all’orizzonte l’inevitabile quesito (di non facile soluzione) se e come plasmare tali principi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle attività di diagnostica, interventistica e terapeutica.

Gdpr e Sanità: informativa, consenso e consenso informato, le differenze

Un orizzonte ormai attuale da un punto di vista pratico, se si pensa che l’approccio a tali tecnologie nell’ambito sanitario è risalente e sempre più diffuso, anche attraverso l’impiego di evolute tecnologie di self- learning e di deep learning. Un orizzonte, però, tutt’altro che chiaro e risolto, se si prova a declinare l’accezione di consenso informato all’utilizzo di metodologie computazionali.

Di seguito, prendendo le mosse dai granitici principi ormai consolidati in materia di consenso informato, verrà esaminata la possibilità di una loro applicazione all’informazione del paziente sull’utilizzo strumenti di intelligenza artificiale, chiedendosi se ciò sia possibile e, in caso di risposta affermativa, cercando di tratteggiarne le caratteristiche ed i limiti, anche con riferimento alle possibilità di estendere il consenso al trattamento dei dati sanitari elaborati da questi sistemi.

La valenza etica e giuridica del consenso informato del paziente

L’ampio dibattito che è seguito alla normativa sul consenso informato ci consente, ad oggi, di individuare i seguenti tratti principali, che devono caratterizzare la corretta informazione da parte del personale medico del paziente.

Tratti sicuramente e necessariamente adattabili alle diverse circostanze fattuali e cliniche, ma inderogabili nella loro essenza. Ricordiamo che una corretta “informazione” del medico funzionalmente idonea ad un’adeguata “comprensione” da parte del paziente, non costituisce mera affermazione di un principio etico, bensì fondamento di un principio giuridico, la cui violazione espone la parte inadempiente all’obbligo di risarcire il danno qualificato quale danno da perdita di chance.

Centralità del ruolo (non delegabile) del medico nell’informativa e nell’acquisizione del consenso

È questo sicuramente il principio cardine della normativa in materia di consenso informato. Da un punto di vista etico, afferma e valorizza la relazione di fiducia tra medico e paziente, quale insostituibile momento di incontro tra l’autonomia decisionale e il diritto di autodeterminazione costituzionalmente garantito al paziente e la competenza, responsabilità ed autonomia del medico.

Da un punto di vista giuridico, introduce ed acclara la titolarità giuridica del rapporto medico in capo a quest’ultimo. Ben potrà (e dovrà ai fini dell’acquisizione del consenso) il professionista medico avvalersi di papelli scritti contenenti ogni più residua ipotesi di effetti collaterali ed esiti infausti, ma la ratio del principio della “non delegabilità” dell’acquisizione del consenso risiede anche e soprattutto in ciò che non è scritto o non è comprensibile, se non attraverso l’instaurazione di un rapporto di “alleanza” tra medico e paziente.

Il consenso informato quale diritto del paziente e della persona

Il diritto all’autodeterminazione sancita dall’articolo 32 della Costituzione trova modalità attuativa nell’esplicito riconoscimento, nell’articolo 1, 3 comma della legge 219 del 2017, di una pretesa giuridica di cui ogni persona è titolare. Il paziente ha diritto – con sinallagmatico obbligo del medico – di essere informata con riferimento “alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative ed alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”. Per i fini che qui ci occupano, rileva, in primis, l’obbligata e dovuta informazione sui rischi di una specifica tecnica diagnostica o terapeutica, così come l’informazione sull’esistenza di strumenti diagnostici e curativi alternativi.

L’informazione completa, aggiornata e “adeguata”

È questo il principio che individua il perimetro oggetto dell’informazione, che per la sua natura valutativa, più degli altri, ne impone un’applicazione flessibile e taylor-made.

Senza ancora scomodare l’utilizzo dell’AI, il corretto consenso informato verte sul delicato tentativo di calibrare e bilanciare un’informazione completa con un’informazione “adeguata”. La prima imporrebbe una disclosure precisa, esaustiva e, inevitabilmente, molto tecnica. La seconda, l’obbligo di assolvere al “diritto di comprensione” del paziente, in ragione del livello intellettuale e psico fisico del proprio interlocutore, la cui fragilità emotiva, connaturale allo status di paziente, non può essere ignorata del professionista.

A quest’ultimo l’arduo compito, quindi, di “selezionare” e “filtrare” ogni informazione necessaria alla manifestazione del consenso, rendendone intellegibile il contenuto ai fini dell’acquisizione del consenso.

Consenso informato del paziente e AI: perché c’è chi dice no

L’aprioristica ed asettica applicazione dei principi sopra esposti all’AI sembra incoraggiare, prima facie, l’esclusione dell’obbligo in capo al professionista di informare il paziente sull’utilizzo e modalità di impiego di tecnologie di intelligenza artificiale, attesa l’apparente inapplicabilità degli stessi all’ ipotesi in esame.

Facile affermare che il ruolo principale del medico nella relazione con il paziente, legittimata dalla sua competenza medica, rende inimmaginabile la circostanza che il professionista si cimenti ad illustrare metodi di funzionamento dei presidi a lui stesso sconosciuti, se non per la valutazione (e non sempre) degli esiti di output.

Ed ancora, parrebbe oggettivamente inapplicabile il requisito della completezza dell’informazione nell’ipotesi di utilizzo di tecnologie di deep learning, la cui “opacità di funzionamento” non solo rende non decifrabile la struttura operativa del sistema, ma tale opacità oltre a individuarne l’essenza, ne costituisce un elemento legittimo, in ragione delle esigenze di tutela della proprietà industriale.

Ma è il requisito dell’informazione “adeguata” che, per alcuni osservatori affrancherebbe, legittimandolo, il silenzio del medico sull’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale. L’attuale scarsa conoscenza da parte dell’utente medio e le limitate possibilità di semplificazione del linguaggio nella materia tecnologica, potrebbero portare a due contrapposti effetti paradosso.

Il paziente refrattario all’utilizzo delle nuove tecnologie e, conseguentemente all’ascolto dei metodi di utilizzo, potrebbe negare a priori il consenso, spaventato dalla sostituzione della macchina all’operato del medico; dall’altra, la generazione zeta, più incline al fascino delle tecnologie informatiche, potrebbe esprimere ciecamente il consenso, sostituendo, anche involontariamente, l’operato della macchina a quella del medico, in una proiezione di allontanamento del rapporto fiduciario tra medico e paziente.

Come estendere l’oggetto del consenso informato all’IA

Se l’ipotesi negazionista sopra evidenziata appare sicuramente quella più immediata e scontata, a parere di chi scrive, la negazione assoluta di un qualche tipo di informazione, contrasta e viola i principi giuridici ed etici sino ad ora espressi in questa materia. Non sarà certo facile individuare il perimetro dell’informazione (e della comprensione) sull’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale, che dovrà certamente essere flessibile, calibrata, gradata e filtrata, ma che non potrà essere totalmente esclusa.

Questa considerazione non può prescindere dalla necessaria rivisitazione (ma non omissione) di alcuni dei principali principi informanti il consenso informato e l’intelligenza artificiale.

Senza pretesa di esaustività ed assertività, si ritiene che l’estensione dell’oggetto del consenso informato debba essere esteso anche all’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale in base a quanto già introdotto ed esplicitato:

dalla Presidenza del Consiglio nel documento “Intelligenza artificiale e medicina: aspetti etici” del 29.05.2020

Il documento riconosce un contesto di criticità del contenuto informativo del consenso informato avente ad oggetto i trattamenti sanitari basati su IA e sull’inevitabile influenza di questo sull’autonomia decisionale del paziente e sul rapporto di alleanza con il medico. Ma lapidariamente afferma: “è dunque un obbligo etico e giuridico che coloro che si sottopongono a trattamenti sanitari così innovativi attraverso l’IA siano informati nelle modalità più consone e comprensibili al paziente di ciò che sta accadendo, di essere (se è il caso) oggetto di sperimentazione e validazione; di essere a conoscenza che ciò che a loro applicato (sul piano diagnostico e terapeutico) implica dei vantaggi ma anche dei rischi. Va specificato in modo esplicito nel consenso informato se i trattamenti applicati (diagnostici o terapeutici) provengano solo da una macchina (IA, Robot) o se e quali sono gli ambiti e i limiti del controllo umano o supervisione della macchina”. Quest’ultimo principio, tutt’altro che scontato, introduce la necessità di contenuti informati, che determineranno una valutazione ex-post, utile ai fini dell’imputazione soggettiva in ipotesi di eventuali responsabilità risarcitorie.

dal Ministero della Salute, nel documento “I sistemi di intelligenza artificiale come supporto alla diagnostica” del 9.11.2021

Nel documento viene ribadita la necessità di mantenere “l’umanità e personalità del rapporto con il paziente, non delegabile al sistema intelligente” e la necessità di preservare il percorso mirato all’espressione di un consenso autonomo, libero e consapevole da parte del paziente.

Nel documento risulta indubbia la dovuta estensione dell’informativa all’utilizzo di nuovi strumenti, dando per scontato ed assodato che la soluzione da applicare alla difficoltà di rendere comprensibili e chiare le modalità operative degli strumenti non sia non parlarne, ma sia riformare la formazione del medico e del paziente attraverso il miglioramento delle conoscenze e competenze in materia di AI.

• Ed ancora, potrebbe costituire spunto di individuazione del contenuto minimo dell’informativa al paziente quanto previsto dall’art. 52 1° comma della proposta di Regolamento Europeo sull’intelligenza artificiale.

Nell’articolo si impone al fornitore un obbligo di trasparenza, finalizzata quanto meno alla consapevolezza dell’utente della sua interazione con uno strumento di intelligenza artificiale. Vero è che tale obbligo viene previsto in capo al fornitore della strumentazione, ma la scheda informativa da questi obbligatoriamente fornita ed una sua semplificata rivisitazione, ben potrebbe costituire un inizio di diligente informazione.

Consenso informato e IA: il modello del consenso privacy

Non ha più segreti la base giuridica del trattamento dei dati sanitari del paziente all’atto dell’instaurazione del rapporto con il medico o con una struttura sanitaria, nota la natura particolare dei dati sanitari, nota la finalità del trattamento e la facile decodificazione dei requisiti richiesti dall’art. 13 del GDPR.

Parimenti sdoganata deve ritenersi la questione del consenso privacy, nel caso di utilizzo di un mero sistema automatizzato di calcolo, a seguito dell’ordinanza n.14381 del 24 maggio – 25 maggio 2021 della Corte di Cassazione, che ha affermato – da un lato – la necessità dell’acquisizione del consenso quale base giuridica del trattamento e – dall’altra – il principio di conoscibilità dell’algoritmo e della logica utilizzata quale correlata necessaria integrazione dell’art. 13 punto f).

Tutt’altro che risolta, invece, deve ritenersi l’utilizzabilità del consenso, quale base giuridica legittimante il trattamento dei dati sanitari (e non solo) dagli strumenti di intelligenza artificiale, il cui pregio ed efficacia è strettamente connesso e correlato proprio alla quantità e qualità dei dati raccolti.

Osta alla legittimazione del consenso, in primis, l’impossibilità o comunque difficoltà di individuare ex ante la finalità del trattamento, atteso che nei sistemi di intelligenza artificiale (e, in particolare nelle deep learning machine) le finalità non sono sempre aprioristicamente e definitivamente valutabili, ma “cambiano e si assestano nel corso dell’apprendimento”. Appare, quindi, complessa, se non impraticabile, la redazione di un’informativa ottemperante ai requisiti previsti dall’articolo 6 lettera a) del GDPR.

Non meno ostico il tentativo di dare attuazione al diritto di revoca, nelle modalità previste dall’art. 7 paragrafo 3 del GDPR.

Se la possibilità di revocare in qualunque momento il consenso con “la stessa facilità con cui è accordato” costituisce corollario perfezionante la libera e incondizionata manifestazione della volontà dell’interessato, tale volontà sarà difficilmente applicabile nell’ambito delle machine learning, la cui opacità rende di fatto impossibile il tracciamento del consenso anche ai fini di un’agevole revoca.

Occorrerà quindi ripensare a quale possa essere la base giuridica che legittima il bulimico assorbimento di dati personali da parte della IA, forse più facilmente adattabile all’utilizzo di un motivo di “interesse pubblico nel settore della sanità pubblica” o di una finalità compatibile con “la ricerca scientifica” qualificante la sussistenza di un interesse legittimo.

Fugare questo dubbio per arrivare ad una individuazione certa di una corretta base giuridica, non costituisce mera dissertazione filosofica o di principio, ma si rende necessaria affinché i fornitori, ma anche gli utilizzatori degli strumenti di intelligenza artificiale, adeguino gli adempimenti operativi, in ottemperanza all’ormai inossidabile principio dell’accountability in materia di privacy.

Conclusioni

Dall’analisi dei punti precedenti, l’orizzonte del consenso informato adattato alle nuove tecnologie, può ritenersi solo parzialmente schiarito, in assenza di contenuti e risposte certe e inconfutabili.

Gli approcci poc’anzi analizzati portano a concludere per una oggettiva difficoltà di coniugare i principi del consenso informato con l’AI, in assenza di un ripensamento dei processi informativi e organizzativi del sistema-Sanità e del sistema-Persona.

Si può concludere che l’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale non possa costituire un binario parallelo, estraneo alla relazione medico-paziente. Al contrario, le tecnologie IA dovranno rivestire il ruolo quanto meno di comparsa o attore secondario nell’ambito del consenso informato.

Affinché però l’informativa su questo tema possa essere rispondente ai principi già consolidati del consenso informato, non si potrà prescindere, come stigmatizzato dal Ministero della Salute, da una politica formativa e divulgativa, nel settore sanitario, attraverso la formazione degli studenti universitari e dei professionisti, attraverso percorsi di informazione divulgativa e semplificata, nell’universo persona/paziente.

Non si potrà prescindere – se approvato il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale– dal dare contenuto specifico all’obbligo di trasparenza del fornitore della macchina intelligente e, a cascata, tale informativa potrà costituire base informativa del personale medico.

Il medico, insomma, non potrà pensare che nel futuro il rapporto con il paziente sia solo un rapporto a due, dovendosi gradualmente abituare a trasformare quello che oggi è un utile strumento, ma un terzo incomodo, in un prezioso ausilio (e non sostituto) della propria attività.

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