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AlphaFold, come l’intelligenza artificiale rivoluziona la biologia

L’AI di Alphafond ha permesso di creare un archivio digitale con 200 milioni di proteine di cui prevede la forma 3D. Non solo di strutture proteiche umane, ma anche di altri esseri viventi. Accanto alle opportunità di semplificare la ricerca scientifica, non mancano le criticità. Ecco quali sono

Pubblicato il 17 Ago 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

AlphaFold di DeepMind: l’intelligenza artificiale imprime una svolta alla biologia. Pro e contro di una rivoluzione

L’intelligenza artificiale (AI) si appresta a rivoluzionare la biologia e da qui a dare un contributo generale a numerose scienze: per la nutrizione, la sostenibilità, la medicina.

Lo scorso 22 luglio DeepMind e l’European Bioinformatics Institute (EMBL) hanno lanciato il database più completo e accurato di strutture proteiche ​​del genoma umano. Sono 200 milioni di proteine da 1 milione di individui.

L’archivio digitale e open source, l’AlphaFold Protein Structure Database su GitHub, ospita le strutture delle proteine: non solo umane, ma anche di altri esseri viventi come animali, piante, batteri ed altri organismi.

Il suo debutto avrà effetti dirompenti nello studio delle scienze della vita. Tuttavia – accanto alle opportunità di semplificare anche la ricerca farmaceutica – non mancano le criticità. Ecco quali sono i pro e contro di una rivoluzione epocale nell’era dell’AI applicata alla biologia.

AlphaFold: The making of a scientific breakthrough

AlphaFold: The making of a scientific breakthrough

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L’intelligenza artificiale imprime una svolta alla biologia

La scoperta da parte di AlphaFold di DeepMind ha rappresentato la più grande degli ultimi cinquant’anni in ambito biologico. DeepMind è la divisione di Alphabet, capofila di Google, dedicata all’intelligenza artificiale.

AlphaFold è l’algoritmo di AI di DeepMind che già a fine 2021 aveva dato prova di affidabilità nel prevedere le forme di una proteina. Sfrutta la rete neurale artificiale, e dunque il processo di apprendimento automatico, basato sulle strutture 3D attualmente depositate nella Protein Data Bank. Infatti, dai dati sulle catene di amminoacidi che formano una proteina, l’intelligenza artificiale aveva conseguito un primo importante risultato, aggiornando una matrice di pesi che può spegnere una quota dei neuroni, organizzati in strati successivi, in base all’esperienza che via via acquisisce la rete. Ciascun neurone è interconnesso a tutti gli altri appartenenti allo strato successivo mediante connessioni pesate.

Adesso DeepMind sta creando il più vasto e completo archivio della struttura delle proteine, sia umane che di altri esseri viventi, utilizzando il sistema AlphaFold 2 di DeepMind. Contiene già oggi 350mila previsioni su caratteristiche e forma delle proteine. Ma DeepMind punta a raggiungere quota 100 milioni entro la fine dell’anno. Un traguardo ambizioso che rappresenta una svolta epocale.

DeepMind rende disponibile l’archivio in forma gratuita alla comunità scientifica.

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L’impatto nelle scienze della vita: ecco le opportunità

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella biologia potrebbe avere, nell’arco dei prossimi anni, un impatto significativo in numerosi ambiti della ricerca, dalle scienze della vita al settore farmaceutico. Infatti, si tratta di una risorsa dalle grandissime potenzialità.

Il Protein Data Bank è uno dei più noti archivi da consultare per conoscere le caratteristiche delle proteine. Ne cataloga circa 180mila, fra le strutture osservate coi metodi sperimentali. Tuttavia, l’arrivo di AlphaFold di DeepMind ha moltiplicato le previsioni: ora quelle sulla struttura proteica, appartenenti a 20 diversi esseri viventi, hanno raggiunto quota 350mila.

Il nuovo archivio include la struttura di 20mila proteine relative alla specie umana, pari al 98% del proteoma umano ovvero il complesso di proteine del nostro organismo. Sono i dati che fotografa il laboratorio European Molecular Biology Laboratory (EMBL). Tuttavia l’obiettivo ambizioso stima circa 100 milioni di previsioni sulla struttura proteica. Big data che richiedono analisi accurate e anche nuove modalità di utilizzo.

I vantaggi

  • Bisogna conoscere la struttura di una proteina per sviluppare nuovi farmaci. Un farmaco o un vaccino è un po’ come trovare la giusta chiave per un lucchetto da aprire. Che si può conoscere se si analizza la forma. Il lucchetto è la proteina del virus. Non è affatto un caso che AlphaFold abbia aiutato già la ricerca a contrastare i virus, compreso l’attuale coronavirus protagonista della pandemia da Covid-19. In futuro si pensa che potrà aiutare a combattere malattie molto rare, ora difficili da affrontare perché finora è stato troppo costoso studiarle.
  • Inoltre, comprendere la struttura proteica consente di sviluppare enzimi dedicati, per esempio, a debellare elementi nocivi per il nostro organismo. Fino a capire e prevedere possibili mutazioni proteiche che danno origine a un cancro.
  • Oppure per rendere aree coltivabili più resistenti a parassiti e ai cambiamenti climatici, evitando il ricorso alla chimica. In ottica quindi di maggiore sostenibilità.
  • Infine, una potenzialità molto interessante che viene dalla conoscenza della struttura 3D delle proteine è la possibilità di sviluppare cellule virtuali su cui fare sperimenti a stadi avanzati di ricerca.

Le potenzialità dell’applicazione dell’intelligenza artificiale nella biologia sono dunque innumerevoli e molteplici. E hanno impatti tuttora da immaginare.

Le opinioni delle scienziati

Il 30 novembre, a coronamento dell’ultimo CASP14, l’algoritmo di Google noto come DeepMind’s AlphaFold ha raggiunto una qualità della previsione valutata quantitativamente dal parametro GDT (Global Distance Test) che esprime la percentuale di amminoacidi della proteina in esame che sono a una distanza uguale o inferiore rispetto a un valore di riferimento deciso dal Comitato di CASP.

Maurizio Brunori, professore emerito della Sapienza Università di Roma e presidente emerito della Classe di Scienze FMN dell’Accademia Nazionale dei Lincei, e Stefano Gianni, professore ordinario di Biologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Biochimiche della Sapienza Università di Roma, l’hanno definita una “rivoluzione epocale”.

John Moult ha affermato che un valore di GDT di circa 90 definisce una struttura che si può già valutare identica all’equivalente struttura proteica sperimentale di qualità superiore. Il sistema AlphaFold2 ha raggiunto un valore di GDT di circa 90: ben al di sopra di tutti gli altri competitor. Le previsioni di struttura tridimensionale hanno offerto un eccellente livello di precisione.

Ad usare l’archivio è Matt Higgins dell’Università di Oxford che era alla ricerca, con i suoi colleghi, di una proteina considerata chiave per interrompere il ciclo di vita della malaria.

Venki Ramakrishnan, Nobel e presidente della Royal Society, considera inoltre la performance di AlphaFold il più grande passo avanti 70 anni dopo l’esperimento di Anfinsen per comprendere il protein folding.

Le criticità da risolvere

Nell’uso dell’intelligenza artificiale in biologia, rimane comunque necessario il lavoro di verifica per garantire che l’AI abbia compiuto una previsione affidabile. L’AI è in grado di mitigare questo rischio, valutando la propria previsione in autonomia e misurando i margini di errore.

Tuttavia, secondo alcuni scienziati, non è il solo rischio connesso con la tecnologia. Infatti,
Paolo Benanti, presbitero, teologo e accademico italiano del Terzo ordine regolare di San Francesco, che insegna alla Pontificia Università Gregoriana, lo ha definito uno strumento di doppio taglio. Non solo “può donarci nuovi potentissimi farmaci e nuove conoscenze del nostro corpo”, ma anche “terribili armi biologiche”.

Con queste risorse, infatti, possiamo impiegare le proteine ​​per realizzare “nanobot in grado di coinvolgere malattie infettive nel combattimento di una singola particella”. Oppure “spedire segnali in tutto il corpo, o smantellare molecole tossiche”, scrive Benanti in un post sul suo blog. Tuttavia gli esperti di bio-sicurezza temonoprogetti “per scopi nefasti”. Infatti, il docente della Pontificia Università Gregoriana ricorda che “i prioni responsabili della ‘mucca pazza’ e di altre malattie neurodegenerative, sono proteine ​​mal ripiegate che a loro volta provocano il mal ripiegamento di altre proteine”: sono in grado di innescare “reazioni a catena mortali che sono trasmissibili” e “potrebbero essere erogati tramite aerosol”. La Convenzione sulle armi biologiche, che raccoglie le firme di tutte le nazioni, vieta di fatto lo sviluppo o l’utilizzo di armi biologiche a base di agenti patogeni. Nessuno tuttavia ha ancora pensato di estenderla alle “proteine ​​che non hanno mai fatto parte di un organismo”. Dopo le scoperte di DeepMind, è l’ora di correre ai ripari.

Conclusioni

La biochimica computazionale non sarà sexy come le immagini immortalate dal James Webb Space Telescope, ma ne eguaglia l’importanza a livello di scoperta scientifica. Infatti le proteine sono le molecole che rappresentano il cuore della vita, per la loro capacità di orchestrare le reazioni biochimiche che originano la vita e fanno sì che la vita si svolga come la conosciamo.

Anche se non stiamo entrando in una nuova età dell’oro dello sviluppo farmacologico, AlphaFold dimostra le forti potenzialità dell’AI e le elevate attese per assistere ed accelerare la ricerca scientifica. Ma bisogna mantenere una giusta cautela per quanto riguarda gli impatti sulla medicina nel mondo reale.

Allo stadio attuale, infatti, le previsioni delle strutture proteiche da parte dell’intelligenza artificiale di AlphaFold puntano a fornire risposte a domande fondamentali sulla biologia delle proteine. I quesiti riguardano l’evoluzione delle proteine, la relazione che intercorre fra loro, la modalità su come la forma determini le funzioni biochimiche e sulle eventuali alterazioni delle funzioni a seconda di come si cambia la struttura chimica.

Dalla risposta a queste domande potrebbe davvero giungere una svolta rivoluzionaria con impatti nella vita quotidiana. Speriamo per porre le basi a futuri progressi scientifici e non per creare nuove armi biologiche. Filippa Lentzos del King’s College di Londra ha messo le mani avanti: la Convenzione sulle armi biologiche deve essere estesa alle proteine, “perché le potenziali armi biologiche future non necessariamente ci faranno ammalare usando agenti patogeni”.

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