Recenti studi parlano di 260.000 app per la salute esistenti a livello mondiale, per un mercato pari a 3,5 mld di dollari e in crescita. Di queste, le app certificate sono circa 26.000, in Italia 15.000.
Parliamo di app con finalità di monitoraggio dello stile di vita e delle abitudini alimentari, per il monitoraggio dell’assunzione di farmaci, la comunicazione col paziente rispetto a prenotazioni ed esiti di esami diagnostici e visite specialistiche ambulatoriali, piuttosto che app legate al mondo del wellness e a supporto delle attività sportive.
Se si allarga questo spettro di analisi più in generale ai servizi digitali e agli strumenti di interazione delle strutture sanitarie e dei singoli medici con gli assistiti/pazienti, anche attraverso i social media – ad esempio per quanto riguarda le campagne di prevenzione, l’educazione sanitaria e la promozione di stili di vita salutari – il fenomeno assume dimensioni davvero molto importanti.
Che sia solo moda e voglia di star dietro ad un trend ormai diffuso, oppure ci sia del reale interesse è forse ancora da capire, ma una cosa è certa: quello che i cittadini si aspettano dal Sistema Sanitario non è l’utilizzo della tecnologia fine a stesso, ma di vedere il digitale come mezzo per fare in modo che il Sistema diventi più facile, efficiente, accessibile…in una parola (questa sì, decisamente di moda) smart!
Ma come si rapportano i cittadini con gli strumenti digitali? Quali servizi usano?
L’indagine condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxapharma su un campione di 1.000 cittadini, statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, mostra come i cittadini italiani siano sempre di più in Rete ed è in Rete che cercano servizi e informazioni per prendersi cura della propria salute e di quella dei propri cari. Cresce, infatti, costantemente la percentuale di persone che utilizza Internet come canale di informazione e ricerca di contenuti anche in ambito sanitario, con la finalità principale non tanto di «sostituire» il medico, che non si vede quindi privato del proprio ruolo, quanto di completare le informazioni ricevute e raccogliere altre opinioni, spesso anche di altri pazienti, esattamente come ormai siamo tutti abituati a fare con qualsiasi altro servizio (dai viaggi ai ristoranti).
Anche rispetto all’utilizzo, si assiste ad un costante incremento nei tassi di utilizzo di servizi digitali, con il 32% dei cittadini che ha usufruito del servizio di accesso alle informazioni sulle strutture sanitarie (es. reparti, orari, medici, ecc.), contro il 26% risultante dalla ricerca 2016. Si registra inoltre un buon livello di utilizzo dei servizi di prenotazione online di esami e di visite (22% dei cittadini) e di accesso e di consultazione online dei documenti clinici (18%, contro il 15% del 2016), servizi che oggi vengono spesso messi a disposizione dalle strutture sanitarie o dalle Regioni all’interno delle piattaforme regionali e del FSE (laddove presente).
Tra i cittadini che non utilizzano i servizi online troviamo soprattutto coloro che non ne hanno avuto necessità e coloro che preferiscono altre modalità, mentre solo il 10% del campione avverte una barriera tecnologica all’uso di questi strumenti.
Anche guardando all’altra faccia della Sanità, quella degli operatori (medici ed infermieri) e dei Medici di Medicina Generale, il discorso è analogo: gran parte dei MMG comunica regolarmente con i propri assistiti attraverso strumenti digitali e ben il 53% la fa con WhatsApp, visto come lo strumento più semplice ed efficace per consentire lo scambio di dati, immagini e informazioni, evitando in molti casi visite inutili. E non importa che possano esserci problemi di privacy, sicurezza e affidabilità: più l’app è semplice ed immediata e più la si usa, anche in un contesto delicato come quello sanitario, esattamente come accade nel mondo consumer.
Ma è proprio su questo punto che è opportuno riflettere.
Da un lato, infatti, abbiamo il sistema sanitario, composto da una molteplicità di attori (Ministero, Regioni, aziende sanitarie, ecc.) stretti tra numerosi vincoli di budget, sugli acquisti, normativi, ecc., che inevitabilmente ne rallentano l’azione e la capacità di innovazione. Dall’altra ci sono i singoli operatori, ma soprattutto i cittadini (ci siamo noi!), ormai abituati ad utilizzare strumenti digitali per svolgere una molteplicità di attività quotidiane e che sempre più chiedono e si aspettano di poter avere quegli stessi servizi e funzionalità anche nel momento in cui si trovano ad interagire con la PA e la Sanità.
Un esempio chiave è quello del Fascicolo Sanitario Elettronico, visto come il progetto principe in materia di Sanità Digitale da parte di Ministero/AgID e Regioni, attorno al quale far confluire tutte le iniziative di digitalizzazione della sanità. Ad oggi, infatti, al di là di una diffusione del FSE ancora frammentata a livello nazionale, è valida un po’ in tutte le Regioni la seguente considerazione: il FSE è poco utilizzato dai cittadini e addirittura solo un cittadino su quattro è consapevole della sua esistenza. E questo accade soprattutto perché con il FSE si possono fare troppe poche cose e ci sono poche informazioni e quindi il cittadino non ne capisce il senso. E forse è anche giusto così: il FSE è infatti pensato per altri scopi, per il dialogo e lo scambio informativo tra operatori del mondo della salute; mentre il cittadino può utilizzare altri canali, più semplici, più smart.
Non comprendere questo bisogno e questa situazione è un grosso errore e il rischio è quello che i cittadini si muovano in maniera disomogenea, veloce ma non organizzata, adottando soluzioni e strumenti magari non ottimali (vedi WhatsApp), ma che intanto soddisfano la loro esigenza contingente. Mentre dovrebbe essere il Sistema in grado, se non di governare, quantomeno di inseguire e per quanto possibile instradare questo fenomeno sui binari corretti, ad esempio ripensando gli strumenti utilizzati per rapportarsi con i cittadini in modo che siano più semplici e facili da fruire e veicolando sui canali digitali “buona e scientificamente valida” comunicazione sanitaria, al fine di contrastare la proliferazione di cattiva informazione.
Solo così si potrà fare in modo che i cittadini/pazienti non si trovino da soli ad affrontare le sfide di un mondo della Sanità sempre più complesso, veloce ed eterogeneo.