sanità digitale

Cartella clinica elettronica, come renderla utile a medici e pazienti

La cartella clinica elettronica crea valore se è in grado di supportare l’attività del medico e dell’infermiere in modo pro-attivo, segnalando informazioni utili e dando suggerimenti e avvisi su rischi e scelte coerenti con il quadro clinico del paziente. Cosa deve cambiare perché diventi un utile strumento di lavoro

Pubblicato il 03 Mar 2021

Massimo Mangia

SaluteDigitale.blog

Sanità digitale: l'importanza dell'anonimizzazione

La digitalizzazione dei processi clinici ruota intorno alla cartella clinica elettronica, la cui diffusione nelle strutture sanitarie è ancora piuttosto limitata. Mentre non c’è ospedale che non abbia un sistema informativo per la gestione del laboratorio di analisi o della radiologia (con o senza PACS), nei reparti di degenza la carta è ancora la protagonista, così come negli ambulatori il referto è prodotto, nella maggior parte dei casi, con sistemi di videoscrittura.

Ma perché la cartella clinica elettronica (CCE) è poco diffusa? E dove è già presente quali funzioni svolge, che vantaggi offre.

Cosa è la cartella clinica elettronica

Partiamo dal presente.

Le cartelle cliniche elettroniche attuali sono un documento digitale, ossia la trasposizione digitale dei moduli cartacei che si adoperavano e, in molti casi ancora si utilizzano, per documentare le attività svolte nei reparti o negli ambulatori.

Ci troviamo informazioni mediche sul paziente: esami che ha fatto in una certa struttura sanitaria, le visite, 

Il personale di quella struttura sanitaria può leggere queste informazioni accedendo alla cartella clinica in formato elettronico, quindi.

Come funziona la cartella clinica elettronica ora

Le cartelle cliniche elettroniche per i pazienti ricoverati sono formate da tre tipologie di funzioni o componenti:

  1. Le funzioni di sistema, come l’autenticazione e la profilazione degli utenti, la firma elettronica, le codifiche e le terminologie etc..
  2. Le funzioni di base, trasversali a tutti i reparti, come:
    1. L’anamnesi del paziente che può essere articolata in prossima, patologica, remota, fisiologica, etc..
    2. L’esame obiettivo
    3. L’anamnesi infermieristica che può essere svolta con differenti criteri / metodologie (Cantarelli, Nanda, ICNP, etc..)
    4. La scheda degli interventi infermieristici e assistenziali, sulla base dell’anamnesi infermieristica, che può essere svolta con differenti metodologie (NIC, ICF, etc..)
    5. La gestione delle richieste e degli ordini (questa funzione può anche essere fuori la CCE e in questo caso prende il nome di CPOE)
    6. La rilevazione dei parametri vitali
    7. L’esecuzione di interventi infermieristici
    8. La prescrizione e la somministrazione dei farmaci
    9. Il calcolo del bilancio idrico
    10. Le schede / scale di valutazione
    11. Il diario clinico e infermieristico
    12. La descrizione di osservazioni cliniche e infermieristiche
    13. La visualizzazione dei referti e degli esami di laboratorio
  3. Le funzioni specialistiche, differenziate in base ai reparti, che possono comprendere:
    1. Schede per la raccolta di dati clinici specifici
    2. Moduli per la refertazione di esami / visite specialistiche
    3. Calcolatori di rischio o di valutazione

Le cartelle cliniche elettroniche per i pazienti ambulatoriali sono focalizzate sulla refertazione di visite e/o esami diagnostici.

Le funzioni delle CCE sono accessibili attraverso dei menu che contengono i moduli / schede disponibili. Non sono invece esplicitamente supportati i workflow clinici che i medici impiegano nel loro lavoro.

Classificazione della cartella clinica elettronica

Indipendentemente dalla tecnologia con cui sono sviluppate, le cartelle cliniche elettroniche si possono classificare per obiettivo e natura funzionale.

Gartner ha elaborato, diversi anni fa, una classificazione sulle diverse generazioni di CCE che è illustrata nella figura seguente.

Gartner divide le cartelle in cinque generazioni:

Generazione 1 – The Collector

Questa generazione di software consente l’accesso ai dati clinici in funzione dell’episodio clinico. La CCE non è molto connessa ad altri sistemi, ma visualizza alcune tipologie di dati. Viene utilizzata come strumento di reporting dei risultati e offre l’accesso ai dati clinici a più utenti.

Generazione 2 – The Documentor

Questa generazione di software fornisce agli utenti la documentazione clinica relativa alla cura del paziente. Fornisce ai medici la possibilità di aggiungere (archiviare/scrivere) e modificare i dati nella cartella clinica del paziente. Consente di inviare messaggi ai medici delle cure primarie.

Generazione 3 – The Helper

Il software monitora i dati per aiutare gli utenti a supportare i loro processi. La CCE offre supporto alle attività relative al processo assistenziale come la gestione degli ordini, i piani di assistenza infermieristica e i percorsi clinici. Non c’è molta “intelligenza” applicata ai dati. Nel sistema vengono inserite solo alcune regole e protocolli di base.

Generazione 4 – The Partner

Questa generazione di software aiuta a prevedere e predire il flusso di lavoro dell’utente. Vengono memorizzati molti dati ed è presente una base di conoscenza che la CCE utilizza per fornire suggerimenti concreti per migliorare il benessere del paziente.

Generazione 5 – The Mentor

La generazione più sofisticata che Gartner documenta. Questa generazione di CCE è in grado di guidare gli utenti nella cura dei pazienti.

Riassumendo, la generazione

  1. raccoglie e visualizza le informazioni,
  2. rende le informazioni interattive,
  3. applica le regole di base alle informazioni nel sistema,
  4. modifica il flusso di lavoro per l’utente finale sulla base delle informazioni contenute nel sistema,
  5. guida i medici durante il processo di cura.

Per completare il quadro alcuni definiscono una nuova generazione di CCE, la sesta, denominata come The Seer (l’indovino, il preveggente), nella quale funzioni di analisi predittiva supportano i medici nella valutazione dei rischi e delle possibili evoluzioni della salute dei pazienti.

Tra gli obiettivi principali delle CCE c’è la riduzione degli errori prevenibili che trovate nell’asse delle ordinate del grafico.

Cartella clinica elettronica, la situazione in Italia

La quasi totalità delle CCE presenti in Italia possono essere classificate nelle generazioni 2 e 3. Se osservate la scala temporale del grafico possiamo misurare l’arretratezza concettuale dei software oggi in uso.

Questa situazione scaturisce dal fatto che le aziende IT della sanità investono nella realizzazione di nuove cartelle cliniche elettroniche, senza però realmente innovare. La ricetta che adoperano per realizzare una cartella clinica elettronica è la stessa da molti anni a questa parte e deriva dalla trasposizione in digitale dei moduli cartacei che formano la cartella clinica tradizionale.

Ogni nuova cartella è realizzata di solito con un tool di sviluppo allo stato dell’arte o di moda. Niente da ridire su questo anche se c’è ancora poca attenzione al paradigma “mobile first” e alla user experience che di norma è progettata da sviluppatori in funzione delle loro idee e delle loro esigenze.

Il focus delle cartelle cliniche elettroniche rimane la ricerca della massima flessibilità e configurabilità, due principi chiave che rappresentano l’obiettivo principale di progettisti e sviluppatori. Questo obiettivo deriva dall’esigenza di dover soddisfare i requisiti dei clienti, estremamente mutevoli, spesso su aspetti marginali o secondari, come la presenza o l’assenza di determinati campi o la loro posizione. Questo atteggiamento è a sua volta determinato dal fatto che le cartelle cliniche elettroniche sono incentrate sui dati e le funzioni, molto meno sui processi decisionali e clinici che medici ed infermieri impiegano nella cura e l’assistenza dei pazienti.

Il focus sui dati

L’attenzione dei progettisti è rivolta ai dati, trattati spesso in modo astratto, senza entrare nel merito del loro significato e del loro uso. Un esame di laboratorio è, ad esempio, una classe con attributi e metodi universali. Una glicemia è, in questa logica, uguale alla creatinina o ai globuli bianchi (neutralità del dato).

Le funzioni che i progettisti realizzano sono pensate per presentare i dati e consentirne l’introduzione, anche in questo caso senza differenziazioni. Le funzioni consentono di accedere a delle pagine che contengono una serie di dati, qualche volta grafici. Quando il cliente richiede una pagina ottimizzata per un determinato scopo, il team che deve implementare la cartella clinica sfrutta le capacità di personalizzazione e configurazione del software evitando, in molti casi, di scrivere codice ad hoc.

La cartella clinica elettronica è dunque composta da una serie di pagine, ampiamente configurabili. Ci sono alcune funzioni che sono invece sviluppate come applicazioni, ad esempio la rilevazione dei parametri vitali o la prescrizione dei farmaci.

Anche in questi casi però l’approccio è sempre finalizzato sui dati, non c’è l’intenzione di andare a fondo e studiare cosa significano le informazioni, quali concetti clinici esprimono, come i medici li interpretano e li adoperano nel loro processo decisionale. La cartella clinica elettronica è un contenitore di informazioni finalizzato a documentare l’attività di medici ed infermieri.

Le cartelle elettroniche non possiedono, salvo eccezioni, concetti clinici e non sono quindi in grado di supportare attivamente medici ed infermieri nel loro lavoro. L’utente si collega al sistema, seleziona il paziente su cui deve operare, cerca le informazioni che gli servono e svolge le funzioni che deve compiere. La cartella è uno strumento passivo in cui l’utente “tira fuori” (pull) ciò che gli serve e che impiega per documentare ciò che fa.

Partire dal dato per capovolgere l’approccio

Quasi mai i software gestiscono la presa visione, ossia sono in grado di evidenziare i dati e e le informazioni che sono stati inseriti, magari da altri utenti, come ad esempio avviene in un qualsiasi client di posta elettronica. La mancanza di conoscenza clinica, salvo pochi casi – ad esempio le allergie, fa poi sì che il software non sia in grado di evidenziare le informazioni più critiche e rilevanti da quelle che non lo sono.

Le principali funzioni non tengono conto delle condizioni cliniche del paziente. Ad esempio durante la prescrizione di un farmaco il sistema non segnala o evidenzia i parametri che il medico deve tenere in considerazione nella scelta o nel dosaggio, come ad esempio la funzionalità renale o, nel caso di un antipertensivo, la pressione sanguigna.

Il reale valore di una cartella clinica elettronica si crea se questa è in grado di supportare l’attività del medico e dell’infermiere in modo pro-attivo, segnalando in modo push le informazioni utili e fornendo suggerimenti e avvisi sui rischi e le scelte coerenti con il quadro clinico del paziente.

Per fare ciò bisogna quindi:

  • abbandonare la neutralità della cartella elettronica,
  • inserire in questa i concetti clinici di base (“medicine inside“),
  • differenziare le informazioni, correlarle e renderle disponibili quando servono.

Bisogna poi integrare in modo nativo, a livello delle funzioni più importanti, sistemi clinici di supporto alle decisioni (CDSS) per rendere disponibili al punto di cura le evidenze medicine, le linee guida e i protocolli, contestualizzandole al quadro clinico del paziente.

Tutto ciò comporta che il team che progetta e sviluppa la cartella clinica elettronica deve comprendere medici, infermieri, farmacisti. Soltanto questi sono in grado di fornire le competenze necessarie per far evolvere questi software e trasformarli in strumenti di supporto al lavoro degli utenti. L’uso di una cartella clinica elettronica di questo tipo non è allora un peso, un’incombenza che i professionisti devono fare perché obbligati, ma diventa uno strumento di lavoro, un prezioso alleato che permette loro di lavorare meglio e di ridurre i rischi che questo lavoro comporta.

Cablare la conoscenza clinica nel software

Nella progettazione di una cartella clinica elettronica “medicine by design” occorre ampliare il focus sul dato associandovi nuove dimensioni.

I sistemi clinici attuali sono focalizzati sulla introduzione, la memorizzazione e la rappresentazione del dato. Questo è neutro o, al più, suddiviso in categorie, ad esempio diagnosi, parametri vitali, farmaci e così via.

Per realizzare nuove funzioni, in aggiunta a quella tradizionali, occorre compiere un ulteriore passo in avanti e impegnarsi su tre aspetti chiave:

  • L’interpretazione del dato;
  • La sua correlazione con altri dati, anche di categorie diverse;
  • La sua analisi.

Vediamo in dettaglio cosa significa in concreto questa metodologia.

Interpretare il dato

Per interpretare il dato occorre, prima di tutto, conoscerne il significato medico. La pressione arteriosa, ad esempio, non è soltanto una coppia di valori, espressi in mmHg, ma esprime l’intensità della forza con cui il sangue spinge sulle pareti arteriose, divisa per l’area della parete. La pressione è determinata da diversi fattori, tra cui la forza di contrazione del cuore, la gittata sistolica, la frequenza cardiaca, le resistenze periferiche ed altri ancora.

Ciascun dato, in medicina, ha un significato preciso. Progettare un sistema senza conoscere il significato dei dati equivale a realizzare un mero contenitore di informazioni, ossia la trasposizione digitale dei moduli prestampati che in molti ospedali si usano ancora.

Correlare e analizzare i dati

I dati devono poi essere correlati ad altri dati, non soltanto ai precedenti, come fanno tutti i sistemi oggi disponibili. È certamente utile vedere l’andamento o trend di un dato ma non basta. L’età e il sesso del paziente, le sue diagnosi, i suoi valori e la terapia sono elementi con cui bisogna correlare i dati per poter procedere al passo successivo: l’analisi.

L’interpretazione dei dati e la loro correlazione determinano, attraverso un processo di analisi basato sulla conoscenza clinica, nuove informazioni e consentono lo sviluppo di funzioni per assistere il medico nel suo lavoro di diagnosi e cura del paziente.

Questo approccio consente di sviluppare funzioni per:

  • Rappresentare le informazioni in cruscotti multidimensionali in cui risultino evidenti le correlazioni tra i dati;
  • Selezionare o suggerire delle azioni da svolgere, magari restringendo (filtrando) i cataloghi da cui compiere le scelte;
  • Evidenziare condizioni di possibili criticità o di rischio;
  • Controllare la corretta introduzione di dati;

Sono davvero tanti gli esempi che si possono fare, tra cui:

  • Controllare se un farmaco è “adatto” o “compatibile” con il paziente, in funzione dell’età, delle sue condizioni cliniche, etc..
  • Segnalare se il paziente è ad esempio a rischio di una complicanza, per esempio la trombosi venosa profonda (DVT) e suggerire le azioni necessarie per ridurre l’insorgenza;
  • Ricordare la prescrizione di alcuni esami per il monitoraggio della terapia farmacologica.

In altre parole si tratta di sviluppare della “logica clinica” per “aumentare” la capacità diagnostica e terapeutica del medico, ottenendo tre importanti risultati:

  • Aumentare l’efficienza di medici ed infermieri che devono dedicare meno tempo per l’uso del sistema informativo che, prevedendo cosa questi devono fare, è in grado di minimizzare l’interazione con l’interfaccia utente;
  • Incrementare l’efficacia e gli outcome clinici, grazie alla maggiore consapevolezza sulle scelte possibili e gli effetti che queste possono avere sulla prognosi del paziente;
  • Ridurre il rischio clinico evitando i rischi prevenibili e gli errori medici.

Si tratta di un approccio che capovolge completamente i principi e la modalità con cui si sviluppa un software clinico e che costringe tutti, utenti e tecnici, ad uscire dalla loro “comfort zone” per realizzare una classe di software innovativa.

Il processo, complesso, può naturalmente essere affrontato per gradi, introducendo alcune nuove funzioni, magari mirate per particolari patologie o setting assistenziali, così da provare concretamente quali possano essere i benefici che questo approccio può consentire.

Utilizzare la cartella clinica digitale senza le mani

Per adoperare la cartella clinica elettronica i medici devono guardare un monitor e adoperare le mani per digitare sulla tastiera o per toccare lo schermo. L’interazione con il paziente si riduce, così come la capacità di eseguire una visita approfondita a parità di tempo disponibile. Possibile che non ci sia un altro modo per fare entrambe le cose?

Guidiamo l’auto guardando la strada, grazie all’head up display che ci mostra sul parabrezza la velocità e le indicazioni del navigatore. Chiediamo al sistema audio di leggerci le ultime mail. Facciamo chiamate con lo smartphone pronunciando il nome della persona che vogliamo contattare.

Il riconoscimento vocale è entrato nella nostra vita, al tradizionale schermo si sono aggiunte nuove modalità e tecnologie per ricevere informazioni, tra cui la pronuncia del testo.

Nel mondo delle cartelle cliniche elettroniche nulla invece è cambiato. la modalità di interazione è la stessa di 20 anni fa, unica novità è rappresentata dagli schermi touch che si limitano a sostituire la tastiera con il tocco delle dita sul video.

I medici trovano scomodo digitare mentre visitano il paziente, anche perché devono rivolgere lo sguardo allo schermo. I pazienti, dal canto loro, patiscono la mancanza di interazione con i medici e la vivono come scarsa attenzione nei loro confronti.

Non c’è una cartella clinica elettronica che io conosca che implementi in modo nativo le tecnologie di riconoscimento vocale e di text to speech. Non è possibile dare comandi vocali al software, né ottenere da questo informazioni vocali. A differenza dell’assistente o dell’infermiere, che dialogano con i medici, la cartella clinica elettronica rimane un contenitore di dati, la cui introduzione richiede un lungo data entry manuale.

Quanti tipi di cartella clinica elettronica servono?

Le gestioni cliniche dei ricoveri, delle prestazioni ambulatoriali, delle cure residenziali e domiciliari vengono di norma realizzate con differenti sistemi informativi, come la cartella clinica elettronica ospedaliera, ambulatoriale, territoriale.

Il risultato di questo approccio è una separazione e la frammentazione delle informazioni cliniche che sono disomogenee per finalità, natura e metodologia di archiviazione.

Di solito le informazioni sono organizzate per paziente ed evento – contatto e il loro focus riflette l’ambito assistenziale nel quale vengono raccolte: l’emergenza o le acuzie nel caso dell’ospedale; la diagnostica nel caso ambulatoriale; la cronicità nelle cure residenziali o domiciliari.

Nei capitolati di gara le specifiche e i requisiti vengono formulati seguendo questi schemi; in alcuni di essi, a livello ospedaliero, si articolano le funzioni dividendole tra percorso medico e chirurgico, includendo in questo modo anche altri sistemi come ad esempio quello per la gestione della sala operatoria.

La Cartella Clinica Elettronica Integrata (CCEI)

Se si vuole però fornire una risposta all’integrazione delle cure è necessario superare questi schemi e ripensare la cartella clinica elettronica in modo da gestire l’intero percorso clinico-diagnostico-terapeutico-assistenziale dell’assistito: la Cartella Clinica Elettronica Integrata (CCEI).

La CCEI è quindi un sistema articolato in quattro differenti dimensioni:

  • multi-disciplinare, ossia comprendere e supporta differenti discipline mediche e assistenziali;
  • multi-professionale, ossia è rivolta non solo a medici ed infermieri, ma più in generale a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, sia pure nel rispetto dei rispettivi ruoli e responsabilità;
  • multi-assistenziale, ossia in grado di gestire differenti ambiti assistenziali, come l’emergenza e l’urgenza, i ricoveri ospedalieri, le prestazioni ambulatoriali, le cure residenziali e domiciliari, le cure primarie;
  • longitudinale, ossia in grado di gestire e organizzare le informazioni seguendo il percorso temporale del paziente, dalla nascita al fine vita.

Per impostare correttamente una CCEI è necessario prevedere, nella sua progettazione, questi aspetti:

  • la gestione dei problemi di salute, ossia le patologie, i traumi e i disturbi che, nel tempo, possono determinare dei bisogni medici ed assistenziali che si traducono in servizi e prestazioni socio-sanitarie;
  • la gestione delle valutazioni mediche, assistenziali, sociali che riguardano il paziente, la determinazione dei bisogni e degli obiettivi;
  • la gestione dei Piani Assistenziali Individuali (PAI) da cui scaturisce la programmazione, la pianificazione e l’erogazione di servizi e prestazioni socio-sanitarie;
  • la gestione della presa in carico e delle informazioni relative ai care-giver del paziente;
  • la gestione della terapia e dei presidi sanitari che devono essere forniti ed erogati al paziente.

La CCEI è un sistema composto da tre differenti tipologie di componenti software:

  1. I moduli base che sono comuni a tutti gli ambiti assistenziali e a tutte le discipline gestite;
  2. I moduli verticali che sono specifici per gli ambiti assistenziali e le discipline mediche – assistenziali;
  3. L’infrastruttura comune dei servizi e dei dati che comprende il Clinical Data Repository (CDR) strutturato che contiene tutte le informazioni e che consente una vista olistica ed integrata del quadro clinico-assistenziale del paziente.

La migliore impostazione per realizzare una CCEI è un’architettura a servizi o a micro-servizi, la cui granularità dipende dall’ampiezza e la complessità dei processi che compongono l’intero percorso clinico – assistenziale che si va a a gestire.

Nella progettazione della CCEI è importante ampliare la visione rispetto a quello che è l’approccio tradizionale con cui si affrontano i processi. Ad esempio, in ambito ambulatoriale, non bisogna limitarsi e focalizzarsi sulla redazione del referto, ma collocare l’esame diagnostico o la visita medica nel più ampio contesto clinico del paziente, raccogliendo e organizzando le informazioni secondo uno schema logico e un workflow clinico più completo (ad esempio motivo della visita, esame obiettivo, diagnosi, terapia, etc..), con un livello di strutturazione dei dati in grado di consentire la corretta organizzazione dei dati nel CDR.

Conclusioni

La scarsa diffusione delle CCE dipende anche dalla percezione del valore che le soluzioni oggi disponibili suscitano. In termini operativi le CCE introducono un alto livello di complessità con pochi benefici. Il loro uso viene spesso vissuto dai medici come un’attività burocratica e frustrante. C’è infatti una ricca letteratura sul “burnout” da cartella clinica elettronica, soprattutto in quei paesi dove è presente da molti anni, come ad esempio gli USA.

Le tecnologie attuali consentono di superare tutti i limiti e i paradigmi delle cartelle cliniche attuali a patto però di abbandonare la logica tradizionale e di ripensare radicalmente gli obiettivi, le funzioni e le modalità di interazione di questi software.

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