L’impatto dell’Artificial Intelligence, o Cognitive computing come viene chiamato con maggiore frequenza in questi ultimi anni, su tutti i settori è preannunciato da diversi anni. In particolare la sanità sembra essere il settore con il maggior impatto in termini di benefici.
Negli ultimi decenni però abbiamo assistito a diversi annunci di nuove tecnologie con la promessa di una rivoluzione in diversi settori, ma non sempre le promesse sono state mantenute. La prima domanda che viene spontanea per chi si occupa di innovare i processi delle organizzazioni sanitarie e l’efficacia delle prassi deve quindi essere: “è una cosa da prendere sul serio?”
Molte tecnologie possedevano un enorme potenziale, ma non sono decollate. O meglio: non sono decollate quando sono nate ma lo hanno fatto dopo, magari decenni dopo la loro creazione e spesso sotto diverso nome. Pensiamo alla videochiamata. Nei fatti era una opzione possibile già decenni fa ma non ha riscontrato grande interesse di massa: neanche l’ambito business delle videoconferenze prospettate quasi in realtà virtuale lo hanno di fatto diffuso (sono tuttora ampiamente preferite le audio conferenze). E’, invece, esploso come fenomeno con le nuove generazioni che viaggiano e desiderano comunicare e mantenere relazioni sociali a basso costo (Skype) ed diventata universale solo dopo l’avvento degli smartphone (mobilità) e con la connettività digitale ubiqua (WhatsApp).
Questo esempio ci spiega almeno tre cose: a. che l’innovazione non coincide con una nuova tecnologia e che si realizza quando diverse tecnologie e altre condizioni creano il contesto per creare nuove soluzioni ai problemi; b. l’innovazione segue percorsi imprevisti e si basa su esplorazioni e tentativi; c. frequentemente è la domanda effettiva che crea e plasma il prodotto che ha successo sulla base di una tecnologia disponibile “nonostante” quello che le aziende hanno progettato.
La prima consapevolezza da cui partire quando si ragiona sul Cognitive computing in sanità riguarda il fatto che, anche accettando che (come alcuni sostengono) siamo di fronte all’avvio di una nuove rivoluzione, quello che oggi pensiamo essere le sue applicazioni sono soltanto dei punti di partenza per quelle che saranno le vere implementazioni dei prossimi anni.
È quindi necessario sviluppare una consapevolezza sulle sue componenti e sui fenomeni e altre tecnologie che in sanità creano le condizioni affinché il Cognitive computing possa effettivamente mettersi a disposizione degli innovatori.
Ma in concreto cos’è e quali sono le sue funzioni elementari?
Sperando di non irritare troppo i teorici della materia con le molte semplificazioni necessarie, il Cognitive computing può essere descritto attraverso questi elementi:
- Un sistema di concetti e significati (detti ontologie). Se voglio comprendere il contenuto di una lettera di dimissione ospedaliera devo definire il concetto di diagnosi, di sintomo, di prescrizione, di farmaco, ecc.; questi concetti devono quindi essere descritti in modo che il software sappia identificarli in un testo secondo le regole linguistiche. Gran parte delle ontologie sono già disponibili nei sistemi cognitivi disponibili: molte ontologie specialistiche devono essere completate per poter sviluppare soluzioni specifiche (ad esempio per rapportare dei sintomi o condizioni specifiche a diagnosi o a significati rilevanti dal punto di vista clinico).
- La possibilità di gestire dati non strutturati e multimediali. L’oggetto dell’analisi del Cognitive computing sono rappresentazioni dirette della realtà: quindi gli si può sottoporre direttamente un testo (ad esempio un articolo scientifico) o un flusso audio (le telefonate al 118) o video (sistema video a circuito chiuso di un parcheggio) o un esame strumentale ad immagini (radiografia, TAC, risonanza magnetica, ecografia).
- La capacità di associare i contenuti del materiale sottoposto all’analisi e i concetti delle ontologie. In un articolo scientifico il software riesce quindi a identificare le modalità per effettuare le diagnosi che sono proposte dagli autori, oppure in una immagine riesce a riconoscere un volto di persona, il suo genere e la sua espressione (sorriso o smorfia) o in una mail mandata da un paziente ad un amico una condizione di rilevanza clinica.
- La capacità di comprendere elementi di metacomunicazione. Quindi in un video o in una telefonata è possibile identificare non solo di cosa sta parlando l’interlocutore, ma anche se è calmo o agitato, se è felice o arrabbiato.
- Analisi di grandi quantità di dati o informazioni e identificazione di associazioni o pattern. Quindi è ipoteticamente possibile chiedere ad un sistema cognitivo: “secondo quanto contenuto in tutta la letteratura scientifica disponibile (ad esempio con impact factor superiore ad un valore arbitrario) quali diagnosi sono compatibili in ordine di probabilità con le condizioni di un paziente così come desumibili da tutti i dati strutturati nel suo health record e anche da tutte le descrizioni che il paziente stesso ha fatto a tutti i medici con cui è entrato in contatto (assumendo che tali comunicazioni siano state registrate) e da tutti i dati memorizzati nei suoi device personali con cui gestisce le attività sportive hobbistiche (comprese quelle informazioni personali postate sui social e le situazioni ambientali in cui il soggetto vive e opera -localizzazione GPS- che, ad esempio, può essere indicativa di esposizioni a fattori determinanti malattia o benessere, come la concentrazione di allergeni in soggetto con patologia allergica)?”
- Apprendimento dall’esperienza. I sistemi, con l’uso, migliorano la capacità di comprendere correttamente e di formulare analisi e proposte (learning-by-doing).
Come abbiamo ricordato il potenziale delle tecnologie deve entrare in convergenza con altre caratteristiche e fenomeni dei contesti reali (exposoma, behavoma) per poter generare innovazione e fornire quindi valore aggiunto per il consumatore. Le funzionalità sopra sommariamente descritte assumono grande interesse di fronte ad alcuni trend che caratterizzano il mondo sanitario. Sempre con grande sintesi basta però segnalare:
- La sempre maggior rapidità della produzione scientifica. Si stima che nel 2020 ogni 73 giorni la conoscenza medica raddoppi. È difficile immaginare che i medici del futuro gestiscano i processi decisionali ipotizzando di conoscere tutto ciò che serve per decidere “secondo scienza” senza un supporto cognitivo.
- Lo sviluppo di approcci clinici basati su regole personalizzate (precision medicine) che richiedono l’adattamento dei principi guida sulla base di informazioni specifiche personali. Tali approcci richiedono l’esame di grandi quantità di informazioni personali e la messa in relazione con protocolli e regole cliniche per formulare scelte personalizzate.
- La digitalizzazione dei processi operativi sanitari e non che mettono a disposizione dei sistemi informativi immense quantità di dati e informazioni di potenziale rilevanza sanitaria (strutturate e soprattutto non strutturate), molte delle quali raccolte direttamente dalle persone attraverso la propria vita sociale sempre più digitalizzata e connessa.
Sembra, quindi, esserci la convergenza tra i fabbisogni del mondo medico con il potenziale messo a disposizione dalle tecnologie cognitive. Molte esperienze hanno cominciato ad esplorare alcuni ambiti di applicazione. Comprendiamo, comunque, che queste prime applicazioni sono però solo dei pallidi e forse anche ingenui -termine che non ne vuole certo sminuire il coraggio e l’importanza- tentativi per consolidare gli elementi di base di un nuovo approccio di fare medicina.
Ovviamente molti sono i fronti che questi scenari aprono per ciascuno dei quali è necessario avviare un percorso di analisi e riflessione:
- epistemologici;
- medico legali e di privacy;
- etici;
- culturali;
- organizzativi
Di sicuro però possiamo affermare che il Cognitive computing in sanità è già entrato e appare di grande importanza. È anche altrettanto evidente che l’innovazione in questo campo non possa essere lasciata ai detentori della tecnologia, ma al contrario l’innovazione non possa che essere sviluppata dall’interno del settore sanitario, comprendendo anche i pazienti in quanto consumatori finali, con l’ausilio degli esperti della tecnologia. È quindi urgente avviare in ogni branca del mondo sanitario percorsi di conoscenza e sperimentazione gestiti dai professionisti sanitari stessi per governare efficacemente il processo di diffusione e regolamentazione in coerenza con le specificità del settore.