Secondo il Ministero della Sanità in Italia la medicina difensiva copre una quota ingente della spesa sanitaria nazionale: all’incirca l’8,5%, per un totale di 10 miliardi di Euro. Ma cosa si intende per medicina difensiva? Riguarda soprattutto i medici di base e si configura come la pratica comune di prescrivere servizi diagnostici o terapeutici non strettamente necessari, al fine di evitare “beghe giudiziarie” e incappare in condanne in caso di contenzioso attivato dal paziente. Un comportamento cautelativo che sta diventando sempre più frequente nel nostro Paese, stando ai dati di spesa intercettati dal Ministero.
Alla luce delle analisi condotte, in Parlamento si è innescata una lunga riflessione su quali strumenti legislativi attivare per arginare gli eccessi di medicina difensiva e, in riferimento al rischio di contenzioso penale, su quali forme tutelative del medico, o dell’operatore sanitario, predisporre.
Il confronto politico ha condotto all’approvazione nel marzo scorso della Legge Gelli, che sul fronte della responsabilità professionale in ambito sanitario ha introdotto alcuni elementi di novità. Tra questi, il dispositivo in base al quale il medico non può essere perseguito penalmente se prova di aver agito nel rispetto delle linee guida. Insomma, il medico ospedaliero deve dimostrare e, quindi provare, di aver seguito le direttive e best practices riconosciute dalla comunità internazionale. Le pratiche e le linee guida di cui prima, però, devono essere inserite in un elenco regolamentato con decreto del Ministero della Salute e al contempo pubblicate sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità.
Esperti del settore affermano che nonostante i provvedimenti previsti, la situazione non cambierà di molto. Se da un lato sono stati inseriti dispositivi cautelativi del comportamento e della professionalità dell’operatore sanitario, dall’altro non si fa nessun cenno agli strumenti di supporto all’attività di ricerca documentale condotta dal medico. Perché l’operatore sanitario, in caso di contenzioso, per poter dimostrare di aver definito un percorso clinico sulla base di evidenze riconosciute, dovrà informarsi e consultare un’ampia letteratura di taglio tecnico-scientifico. Una task lunga e non poco semplice.
In molti Paesi europei si è deciso di far ricorso a supporti informatici, quali “Clinical Decision Support System”: software che permettono al medico di attingere a immensi database – che si compongono di best practices internazionali, alert su interazione tra farmaci e altro ancora – facilitandolo nella definizione del percorso clinico da adottare in base al caso specifico. Uno strumento che favorirebbe la riduzione dei tempi di definizione degli interventi, nonché i margini di errore della terapia. Nei Paesi dove sono stati adottate soluzioni di questo tipo, è stato possibile ridurre del 25% circa gli eccessi di medicina difensiva.
Ma il costo elevato del servizio ne ostacola l’adozione, almeno nel nostro paese. La riduzione di prezzo potrebbe aversi solo per tramite di una gara nazionale, indetta di concerto dal Ministero della Salute e dalle Regioni. Secondo l’Osservatorio Netics, escludendo il costo dell’integrazione coi software di cartella clinica elettronica, si riuscirebbe a ottenere per tutti gli ospedali pubblici italiani (circa 500) in abbonamento “Clinical Decision Support System” ad un prezzo di circa 18-20 milioni di Euro annuali. Importando tale strumento in Italia, si potrebbero risparmiare 2,5 miliardi di Euro all’anno.
Oggi più che in passato diventa urgente aprire il confronto sul tema dell’innovazione della filiera salute, driver da cui partire per favorire di concerto: sostenibilità economica del SSN, tutela del cittadino, digitalizzazione dei processi e competitività per le imprese.
S@lute – il Forum dell’Innovazione per la Salute, in programma il 20 e 21 settembre 2017 presso il Trevi Event Center di Roma – intende dare un contributo decisivo a questo confronto, per condividere proposte, idee e percorsi di miglioramento del patrimonio comune che è la nostra salute.