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Come l’IA migliora l’assistenza sanitaria nei paesi in via di sviluppo



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Nei paesi dove la sanità è un lusso, dove il rapporto medici e personale sanitario specializzato e popolazione non raggiunge i minimi accettabili, l’intelligenza artificiale e la tecnologia in genere possono essere non degli  strumenti ma i soli strumenti cui ricorrere

Pubblicato il 22 giu 2023

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



Rapporto Eurispes sulla salute: la sanità digitale punta a rendere il Ssn più efficiente e sicuro

Tra le problematiche dei sistemi sanitari nei paesi in via di sviluppo si annoverano spesso la carenza di personale medico e sanitario specializzato, accompagnato dall’assenza e la carenza di strumenti di diagnosi, che laddove presenti sono a volte affetti anche da un livello assai basso di affidabilità (aspetto quest’ultimo in alcuni casi aggravato dall’assenza di personale qualificato in grado di utilizzarli e manutenerli). A tali carenze si cerca di sopperire anche attraverso il ricorso all’intelligenza artificiale.

Intelligenza artificiale in medicina: quali utilizzi?

Gli utilizzi dell’intelligenza artificiale in medicina sono molto ampi. Essi – solo per enunciarne alcuni – vanno dal settore radiologico, alle diagnosi di malattie respiratorie e oncologiche sino a giungere all’individuazione di cure oncologiche . Non solo, una nuova frontiera si è aperta anche nel settore della chirurgia, con la creazione di ambienti virtuali dove esercitarsi ma anche per simulare una concreta operazione da eseguire e individuare le modalità d’intervento e predisporre gli strumenti operatori (vedi di recente l’operazione eseguita al Policlinico Vanvitelli di Napoli a gennaio 2023 per curare una grave forma di scoliosi invalidante).

Esempi virtuosi nei paesi in via di sviluppo

In Africa, ad esempio, esempi di utilizzo dell’intelligenza artificiale nel settore medico risalgono agli anni ’80, a partire dal Kenya, per implementare l’interazione tra personale medico e pazienti, mentre in Egitto nel 1986 venne sperimentato un progetto pilota per l’identificazione di malattie oculari. Più recentemente in Nigeria, una start-up Ubenwa sta implementando un sistema per diagnosticare ipotesi di asfissia alla nascita, mentre in Zambia è stato si sta conducendo uno studio per la diagnosi della retinopatia diabetica.

Passando al continente americano, programmi avanzati di intelligenza artificiale sono utilizzati in Messico da Clinicas de Azucar, una società che analizza i dati di migliaia di soggetti affetti da diabete per migliorare le relative cure.

Nei Paesi a basso reddito, dove il 65% della popolazione vive oltre 5 km da una struttura sanitaria attrezzata, l’accesso alle tecnologie diagnostiche rappresenta una criticità sistemica. Questo gap tecnologico contribuisce al 45% delle diagnosi errate nelle patologie tumorali e cardiovascolari secondo l’OMS, con ricadute dirette sull’aspettativa di vita che risulta inferiore di 15 anni rispetto ai Paesi ad alto reddito. La soluzione emerge dall’integrazione tra dispositivi portatili, intelligenza artificiale e modelli di telemedicina, capace di ridurre del 70% i tempi diagnostici nelle aree rurali.

Ecografi compatti con integrazione AI: nuovi paradigmi operativi

L’ecografo portatile MyLab™Omega eXP di Esaote rappresenta un caso emblematico, combinando trasduttori XCrystal per risoluzione submillimetrica con algoritmi Augmented Insight™ che automatizzano il 30% delle misurazioni biometriche. Questa sinergia tecnologica consente a operatori sanitari con formazione base di effettuare screening accurati per patologie epatiche o ostetriche, riducendo del 40% i referral non necessari verso centri specializzati. La batteria a 8 ore di autonomia e il peso di 5,5 kg ne facilitano l’uso in contesti mobili, dai campi profughi alle unità sanitarie itineranti.

Parallelamente, soluzioni come IQ della canadese Butterfly stanno rivoluzionando il mercato con dispositivi smartphone-based dal costo 10 volte inferiore agli ecografi tradizionali. L’integrazione con CoreML permette l’analisi in real-time di immagini polmonari, identificando segni di polmonite con accuratezza del 92% rispetto alla radiografia convenzionale. In Uganda, trial clinici hanno dimostrato una riduzione del 60% della mortalità infantile per complicanze respiratorie grazie a questi strumenti.

La penetrazione degli smartphone nell’85% delle famiglie africane urbane crea un substrato ideale per piattaforme di tele-ecografia. Sistemi come ScanNav® Anatomy AI abbinano sonde wireless a reti neurali per la segmentazione d’organo, trasmettendo dati crittografati via 4G a centri di refertazione centralizzati. 

In Mozambico, questo modello ha permesso di triplicare la copertura diagnostica nelle province settentrionali, con tempi medi di refertazione scesi da 14 giorni a 6 ore.

Il progetto RAD-Aid International dimostra l’efficacia di partnership cross-settoriali: governi locali forniscono infrastrutture, ONG garantiscono training sul campo, mentre i produttori adottano modelli “pay-per-scan” con costi di 2-5$ per esame. 

In Malawi, tale approccio ha reso possibile l’installazione di 50 unità diagnostiche portatili finanziate attraverso micro-transazioni comunitarie, sostenendo il 70% dei costi operativi

Quando però si parla di cure mediche, bisogna pesare anche alle medicine e agli scarsi mezzi finanziari che le popolazioni dei paesi in via di sviluppo hanno per acquistarne, così in India è stato creato un apposito tool che fornisce informazioni presso quali laboratori trovare le medicine e a quali prezzi.

In Ruanda, la distribuzione di 390 dispositivi Philips Lumify, finanziati dalla Gates Foundation, ha creato una rete diagnostica nazionale che copre l’85% dei centri sanitari. La funzione tele-ultrasound permette a ostetriche rurali di consultare in tempo reale specialisti a Kigali, riducendo i tempi di intervento nelle emergenze ostetriche del 70%. Il programma “Train-the-trainer” ha formato 20 tutor che a loro volta addestreranno 1.000 operatori entro il 2026, con simulatori AR che riducono i costi di formazione del 60%.

Le criticità

La costituzione di modelli di intelligenza artificiale richiede rilevazioni di un vasto numero di dati in modo costante e validato sia sotto il profilo clinico sia sotto il profilo tecnico e investimenti di carattere economico rilevanti, che spesso i paesi meno sviluppati non possono permettersi.

La frammentazione delle rilevazioni, la mancanza di banche dati condivise costituiscono certo un limite all’utilizzo dei sistemi in luoghi e popolazioni diverse, almeno dove le differenze biologiche o ambientali possono costituire un discrimine.

Si pensi ad esempio alla diagnosi predittiva del tumore alla mammella, dove nell’Africa sub-sahariana la patologia insorge in donne in media più giovani rispetto alle donne che vivono nei paesi più sviluppati, una differenziazione che può assumere assoluto rilievo laddove siano utilizzati tools il cui training sia stato eseguito utilizzando i dati delle donne europee (v. Artificial Intelligence in Healthcare for Development 4.0: Recommendations for Policymakers di Miriam Stankovich del 10 agosto 2022).

Forte è inoltre la necessità che i sistemi che si affidano all’utilizzo dell’intelligenza artificiale creino anche dei quadri giuridico formali per l’acquisizione dei dati e il relativo trattamento.

Chi vorrebbe essere curato dall’intelligenza artificiale?

E’ recente un rapporto (condotto dal Pew Researcher Center e diffuso dalla CNN il 22 febbraio 2023) sul sentimento che gli statunitensi hanno sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella medicina: dal rapporto appare che vi sia un significativo disagio in tale utilizzo (60% degli intervistati), anche se molti considerano anche gli effetti positivi nel supporto che essa può fornire ai medici per evitare errori e superare anche pregiudizi di carattere razziale (notazione questa non casuale visto che esistono studi che purtroppo riscontrano una tale tendenza da parte degli operatori sanitari, v. “Implicit Racial/Ethnic Bias Among Health Care Professionals and Its Influence on Health Care Outcomes: A Systematic Review” del dicembre 2015 (US NLM). Quasi la stessa percentuale è contraria all’utilizzo dell’intelligenza artificiale di supporto alle operazioni chirurgiche.

Come in altri settori (si pensi ai sistemi di sorveglianza e a quelli di riconoscimento facciale), una preoccupazione costante rimane poi anche quella relativa all’utilizzo dei dati personali che ne può conseguire.

Conclusioni

La panoramica degli utilizzi dell’intelligenza artificiale si presta a due considerazioni.

La prima nasce dalla constatazione dell’utilizzo di programmi avanzati in Africa già a partire dagli anni ’80: una riprova che quando si tratta di applicare la tecnologia, anche i paesi che non meno sviluppati ricorrono sempre a quella che appare – secondo lo stato dell’arte del momento – essere la più avanzata; tale constatazione dovrebbe spazzare via tanti preconcetti che soprattutto noi italiani abbiamo con il continente nero, ispirato a un paternalismo e un senso di superiorità fuori dalla realtà.

La seconda si lega alla libertà di scelta che spesso è schiava dei mezzi e delle opportunità.

Come spesso accade nella valutazione delle opzioni, la contrapposizione tra Occidente e Non Occidente è nella possibilità di scelta: dove nel primo le persone possono per lo più scegliere e valutare quanto si possano sentire a proprio agio laddove il medico basi la propria diagnosi anche attraverso il supporto dell’intelligenza artificiale e chi scelta non ha.

Nei paesi dove la sanità è un lusso, dove il rapporto medici e personale sanitario specializzato e popolazione non raggiunge i minimi accettabili, l’intelligenza artificiale e la tecnologia in genere possono essere non degli strumenti ma i soli strumenti cui ricorrere, strumenti spesso anch’essi assenti per mancanza di accesso a internet e della stessa energia elettrica e anche di un semplice telefono che spesso è l’unico strumento per comunicare con un medico a distanza ed avere una prima diagnosi.

A prescindere da tali constatazioni, resta inoltre ineludibile il bisogno di creare solidi sistemi giuridici di tutela della protezione dei dati personali e di coinvolgere a tutti i livelli data scientist e tecnici dei paesi interessati al fine di evitare altre forme di nuovo colonialismo.

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