lotta ai contagi

Contact tracing, meno rumore e più trasparenza: così possiamo ancora “salvare” l’autunno

C’è stato e ci sarà ancora molto rumore intorno al contact tracing e la confusione spesso fa perdere di vista le cose importanti. Sarebbero servite meno chiacchiere e più informazioni. Perché spezzare la catena del contagio si può, e coniugando tecnologia e buon senso l’autunno potrebbe non essere un incubo

Pubblicato il 18 Set 2020

Davide Giribaldi

Governance, risk and Information Security Advisor

app coronavirus

Sono passati sei mesi dal lancio di “TraceTogether” la prima app di contact tracing realizzata dal governo di Singapore per contrastare la diffusione del Covid-19 e poco meno di tre dall’adozione di Immuni l’app scelta dal Governo italiano e pur considerando prematuro un bilancio sulle decine di soluzioni adottate dai vari paesi nel mondo, i giudizi sulla loro efficacia sono contrastanti.

Durante questo periodo abbiamo assistito ad un acceso dibattito tra coloro che considerano l’introduzione di queste soluzioni di monitoraggio dei contagi la fine della nostra privacy e coloro che invece le ritengono il rimedio definitivo alla pandemia.

Indipendentemente da quale sia la corretta risposta a questi dubbi, l’unica certezza che abbiamo è che durante il periodo di lockdown sono state sviluppate moltissime soluzioni, alcune già naufragate per oggettivi limiti di sicurezza (Inghilterra, Liechtenstein e Norvegia) ed altre ancora in uso anche se utilizzate molto poco.

Contact tracing: i motivi dell’insuccesso

Il motivo del loro presunto insuccesso è sostanzialmente uno: la preoccupazione da parte dei cittadini che queste soluzioni siano in tutto e per tutto strumenti di sorveglianza diffusa.

Il timore è stato alimentato sia dalla scarsa fiducia nelle istituzioni (che da sempre denotano poca confidenza con il digitale), sia dalla sensazione che le app potessero essere state realizzate di fretta e senza troppo rispetto dei vincoli normativi.

Eppure, già dall’otto aprile la Commissione UE aveva confermato i 3 pilastri fondamentali su cui avrebbero dovuto appoggiarsi i cosiddetti sistemi decisionali automatizzati per il contrasto del covid:

  • volontarietà dell’adozione da parte dei cittadini
  • raccolta dati decentralizzata
  • massima tutela per la privacy

Ma nemmeno queste indicazioni e gli accorati richiami al perimetro di garanzia stabilito dal GDPR sono bastati a fugare possibili dubbi tanto sull’efficacia che sull’invasività delle app di tracciamento.

Adozione dell’app e contenimento dei contagi: qual è la giusta percentuale?

A supporto degli scettici c’è la ricerca di AlgorithmWatch, una non profit tedesca che si occupa di osservare i processi decisionali algoritmici a rilevanza sociale, che sostiene e rilancia con forza l’idea secondo cui il successo dei sistemi di tracciamento sarebbe stato possibile solo in caso di adozione da parte di almeno il 50% della popolazione.

La non profit tedesca ha preso in considerazione le 16 app più diffuse a livello europeo ed ha evidenziato come tali soluzioni, ad esclusione degli unici due Stati in cui sono state rese obbligatorie dai rispettivi governi (Ungheria e Polonia), non hanno abbiano mai superato percentuali di utilizzo al di sopra del 37% come nel caso dell’Irlanda o del 25% (Germania) con soglie minime del 3% (Francia).

L’Italia, che da alcuni giorni ha superato la soglia dei 5,5 milioni di download si ferma ad un 10% della popolazione. In tutti questi casi si considera ovviamente l’irrealistico caso che ogni download equivalga a un utente attivo; ma non ci sono altri dati disponibili, quindi bisogna accontentarsi di questi. 

Ma siamo certi che percentuali di adozione contenuta non possano contribuire lo stesso al contenimento dei contagi?

In linea di principio dal punto di vista statistico è corretto considerare una soglia di minima affidabilità del 50%, ma questa impostazione non tiene conto della possibile correlazione tra il numero di cittadini che hanno scaricato le varie app ed altri aspetti non prettamente tecnologici come il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

A sostegno di questa ipotesi c’è la ricerca (ancora non peer-reviewed tuttavia, quindi da prendere con le pienze) fatta da Oxford University e Google che dimostrerebbe l’efficacia delle app di tracciamento indipendentemente dalla loro percentuale di diffusione.

Secondo le simulazioni sui i dati raccolti in 3 contee diverse del distretto di Washington l’adozione di app per il tracciamento da parte del 15% della popolazione ridurrebbe della stessa percentuale le probabilità di contagio e dell’11% il numero di decessi.

Se l’adozione fosse pari al 75% della popolazione la riduzione delle infezioni salirebbe all’81% mentre quella delle morti al 78%.

Le app quindi potrebbero salvare vite anche con una bassa diffusione, ma pur non rappresentando la soluzione definitiva, per poter essere considerate utili andrebbero comunque viste come elementi complementari ad altre contromisure sociali e attuate in modo responsabile rispetto ai quadri esistenti dei diritti umani e della protezione dei dati personali.

Contact tracing: meno chiacchiere, più trasparenza

Al di là delle considerazioni personali che mi spingono a sostenere con forza la necessità sociale di adottare soluzioni di tracciamento digitale del covid, credo che la soluzione per trovare il giusto equilibrio tra tecnologia e privacy sia quella di offrire la massima trasparenza possibile sulle applicazioni.

Credo anche che sia necessario sostenere soluzioni nel rispetto delle regole che già esistono e tra queste c’è il GDPR che non parla solo di diritti ma di doveri e ritengo sia utile sfruttare l’opportunità che deriva dall’esperienza dei paesi, tutti nessuno escluso, che hanno già adottato soluzioni di contact tracing.

I cittadini si aspettano soluzioni, ma devono sapere chiaramente che la tecnologia da sola non basta, hanno diritto (e dovere) di conoscere e da questo punto di vista credo siano esemplari i casi di Irlanda e Germania che hanno reso pubblico il codice sorgente della propria app, ma soprattutto i governi hanno la possibilità di scambiarsi esperienze e non solo dati.

Per questo credo che il miglior rimedio possibile a quello che ritengo essere stato il fallimento della politica europea per non essere riuscita a sviluppare un’unica app sia quello di apprendere dagli errori degli altri, così come ha fatto ad esempio la Germania che sull’onda degli errori dell’esperienza norvegese ha immediatamente rivisto la propria filosofia di sviluppo passando dall’impostazione con centralizzazione dei dati a quella decentralizzata più in linea con i dettami del GDPR.

Conclusioni

C’è stato e ci sarà ancora molto rumore intorno al contact tracing e la confusione spesso fa perdere la concentrazione sulle cose importanti. Fino ad oggi abbiamo assistito a una corsa molto politica (e non ha un colore specifico) e molto poco tecnica per raggiungere ad ogni costo l’obiettivo di avere un’app nazionale.

Credo sarebbe stato più utile guardare all’efficacia e non alla spettacolarizzazione; sarebbero servite, e servono ancora, meno chiacchiere e più informazioni, meno ansia da prestazione e meno faziosità.

Servirebbe ricordare l’importanza di spezzare la catena del contagio e l’opportunità di coniugare tecnologia e buon senso, merce rara anche ai tempi del covid.

Servirebbe e servirà un fortissimo senso civico e rispetto verso sé stessi e gli altri, l’autunno è alle porte abbiamo la possibilità di non trasformarlo in un nuovo incubo, dipende in gran parte da noi e dal nostro comportamento anche nei confronti della tecnologia. Abbiamo una seconda occasione, non sprechiamola inutilmente!

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