L’emergenza scatenata dal Covid-19, meglio noto come Coronavirus, ci ha fatto riscoprire termini come televisita, teleconsulto e smart working, anche in sanità. Chissà che, una volta passato questo momento di crisi sanitaria globale tutto questo non serva, nel nostro piccolo, a ripensare sul serio il rapporto medico-paziente sulla base dell’ausilio degli strumenti digitali.
Non bisogna, certo, generalizzare: ci sono i casi in cui, come vedremo, è necessario recarsi per forza fisicamente dal proprio medico, ma nella maggior parte dei casi, come ci ha fatto scoprire – ahinoi – il Coronavirus, è stupido e anacronistico recarsi in ospedale o dal medico curante ogni volta che abbiamo l’influenza.
La necessità di recarsi dal medico per il certificato di malattia
Andare dal medico o in ospedale trasforma l’ambulatorio del medico, la sala di attesa, la struttura del pronto soccorso in un luogo di possibile contagio. Magari sei lì per il rinnovo della ricetta e ti trovi infettato, non tanto dal Coronavirus ma, molto più frequentemente, dall’influenza stagionale o da una delle tante malattie a diffusione respiratoria.
Ma siamo sicuri che dal medico bisogna sempre andarci fisicamente?
Secondo le norme si, il medico non può farvi un “certificato telematico di malattia”, il certificato medico che serve per l’ufficio, se non siete stati visitati, quindi, se volete il certificato, ci dovete andare, anche se avete la febbre. Sembra ridicolo oggi, nell’era del coronavirus ma è così. Nel caso, se la febbre è alta, sarà il medico a recarsi dal paziente, per poi trasmettere personalmente l’infezione agli altri pazienti. Se volete un parere online sul sito di informazioni legali, La Legge per Tutti, il caso è ben spiegato:
“Immaginiamo un dipendente che, sentendosi poco bene e non potendosi per questo recare al lavoro, ma non avendo nello stesso tempo le forze per andare allo studio del proprio medico di base per la visita di controllo, telefoni a quest’ultimo e gli chieda di inviare all’Inps il certificato attestante la malattia. Tanto gli serve, ovviamente, per poter attestare la giusta causa di assenza dal posto di lavoro. Lo può fare? Il medico convenzionato può compilare il certificato con l’attestazione della malattia senza aver prima visitato il proprio paziente? La risposta è negativa. Più volte la Cassazione ha detto che viola il codice deontologico il medico che compila un certificato di malattia senza aver visitato il paziente. La sanzione per il sanitario può arrivare anche alla sospensione per un mese dall’esercizio della professione [1].
Il codice deontologico, infatti, richiede scrupolo e diligenza nella redazione di certificati medici in senso proprio; pertanto, non possono non essere vietati gli attestati che hanno la parvenza di certificati – anche se non certificano nulla – e che, proprio perché provengono da un medico e sono stati redatti su un modulario, previsto per la certificazione di malattia rispetto all’assenza dal lavoro, si prestano ad ingenerare il dubbio che l’assenza sia giustificata da una malattia accertata.
È dunque legittimo che il dottore, non potendo attestare il falso, pretenda che il paziente si rechi presso il proprio studio privato o, a seconda della gravità della malattia, sia egli stesso a fare la visita a domicilio prima del rilascio del certificato di malattia. Il medico avrà poi l’obbligo di inviare telematicamente il predetto certificato all’Inps”.
Fantastico, ma così si diffondono le epidemie e ci voleva il Coronavirus per renderci partecipi della cosa. Secondo la federazione nazionale degli ordini dei medici (FNOMCeO), sarebbero almeno otto i medici contagiati nell’area di Codogno.
E anche il gruppo di rappers romani, gli Inquilini, nel loro album Policlinico, avvertono “ma se sta male lei va’ all’ospedale?” fossi cojone! io sto a casa e prego nostro signore – a giuveno’, ma nun lo sai c’a lo spedale ce se more?”.
Una televisita, e passa la paura
Digressioni canore a parte, certamente l’ambulatorio ospedaliero o quello del proprio medico curante non sono luoghi ideali nel caso di epidemia.
Però, è anche vero che la Corte di Cassazione dice “visitato” e la televisita è una visita, anche per la Cassazione.
E allora ecco che si riparla di Televisita: se devo raccontare di una influenza intestinale o di una gastrite perché debbo andare per forza dal medico curante? E di dolori mestruali? E di cefalee ricorrenti? E per farmi rinnovare le richieste per i farmaci abituali? E per parlare di sintomi da raffreddamento? Non sarebbe meglio che ci fosse uno screening con una televisita (attenzione non una visita per telefono, come oggi raccomandato, degna del buon Alberto Sordi quando interpretava il dott. Terzilli ma una visita vera, con una interazione video e magari con la trasmissione di parametri diagnostici)?
La ricetta medica elettronica, se necessario, si invierà a casa, il paziente la stampa e va in farmacia.
Sapete quanti parametri trasmettete al medico o a chiunque solo parlandoci, grazie ai normali strumenti che oggi la maggior patte di noi ha in casa?
Oggi un pulsossimetro (saturazione di ossigeno e frequenza cardiaca) costa meno di 30 euro, tutti hanno a casa un termometro e molti uno sfigmomanometro; la comunicazione con una videochiamata WhatsApp, o via Skype non viene registrata e, dal punto di vista della privacy, equivale ad una telefonata che è usata normalmente dai medici con i pazienti. Molti pazienti, anche anziani, usano la videochiamata WhatsApp per tenersi in contatto con i nipoti e la sanno gestire, quasi tutti dispongono di smartphone con videocamera. La televisita e il teleconsulto sono ben documentati nelle linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina, recepite da tutte le normative regionali da anni.
Certamente il MMG potrebbe disporre di un sistema più articolato, la videochiamata la potrebbe fare dal PC, si potrebbe realizzare un’APP da dare ai pazienti che si prenotano per una televisita, ma con piccoli investimenti e poco tempo si potrebbe migliorare molto il sistema di interazione con i nostri medici e persino con gli specialisti.
La televisita ovviamente non sostituisce una visita ma la integra, potendo essere un ottimo primo livello o un secondo livello di controllo. È indispensabile che il medico in televisita disponga dei dati clinici di base del paziente, che il paziente si prenoti in anticipo, che prepari i dati di base (motivo della richiesta, eventuali parametri clinici, ad esempio temperatura e pressione arteriosa, e, se non noti, i farmaci assunti e le malattie attive e pregresse). La televisita non è indicata per un’emergenza ma è un ottimo primo livello.
Ovviamente un sistema strutturato è più di un’APP commerciale, ci sono piattaforme molto migliori, ma il concetto è semplice: oggi nell’era del digitale pensare di dover riempire lo studio del medico ogni volta che abbiamo l’influenza stagionale, Coronavirus a parte, è anacronistico e persino stupido.
Smart working e televisita
E dove va a finire lo smart working quando parliamo di Televisita? Il concetto è più esteso. Lo smart working è generalmente afferente alla sfera dei rapporti del dipendente o del consulente con la propria azienda, con il datore di lavoro più che con il cliente.
Il paziente, nel caso sanitario, è il cliente mentre l’azienda sanitaria è il datore di lavoro. I radiologi che lavorano dal proprio domicilio, la telerefertazione in generale, l’integrazione tra gli specialisti, il teleconsulto, la cartella clinica elettronica sono strumenti afferenti allo smart working. Certamente anche la Televisita ed il Teleconsulto ne possono essere considerati una parte ma il vero backbone, la spina dorsale del sistema, sono i dati sanitari, integrati con la telemetria dei parametri fisiologici e di attività paziente, quegli strumenti che consentono di prendersi cura dei pazienti, in particolare di quelli fragili, senza un contatto diretto che oggi avviene solo in caso di malattia o riacutizzazione di una patologia cronica.
Ma questa è un’altra storia.
Speriamo che dal Coronavirus esca almeno la Televisita diffusa sul territorio nazionale!