Le app di tracciamento contatti possono essere utili, ma solo all’interno di una strategia sanitaria complessiva del Governo. Gli studi e le evidenze di questi mesi sembrano ormai portare a questa conclusione, che già fornisce una prima risposta per i tanti fautori o detrattori dell’app Immuni. La verità scientifica, come spesso accade, è più complessa rispetto alle tifoserie pro e contro una certa soluzione.
Si veda ad esempio il Lancet Digital Health, che ha pubblicato di recente uno studio meta-review della University College London – UCL secondo cui tali soluzioni debbano essere concepite come un mezzo per la lotta contro il virus. Non possono battere la pandemia da sole – come già sostenuto da tempo da numerosi tecnologi ed epidemiologi. Le app, per essere efficaci, necessitano di essere supportate dal tracciamento manuale, dal distanziamento sociale e dai test.
Pertanto, l’ottimale modus operandi consisterebbe in una calibrata sintesi tra approccio automatizzato e manuale, a conferma del fatto che la tecnologia serve a completare il lavoro umano, non a sostituirlo. Ma serve anche, da parte delle istituzioni, un lavoro attento di informazione e coinvolgimento attivo della popolazione. Tutto contribuisce a quella che sarà la sfida d’autunno: bloccare sul nascere ogni focolaio, in particolare pensiamo a quelli che ci saranno con la riapertura delle scuole.
Lo Studio della University College London
Lo studio pubblicato dalla rivista Lancet Digital Health è interessante in particolare perché fa una rassegna di ben 4.036 studi che analizzano le app di contact tracing, pubblicati tra gennaio e aprile 2020. Riesce quindi a fare il punto su una questione complessa, non limitandosi a essere un mero ulteriore studio parziale a riguardo.
Solo 15 studi sono stati selezionati, ovvero quelli che presentavano maggior solidità e potevano fornire un’analisi atta a comprendere l’impatto delle app di contact tracing nel controllo della pandemia.
E nello studio complessivo si evince che, sebbene il contact tracing automatizzato possa supportare quello manuale, tuttavia, per avere un impatto significativo, richiederebbe una diffusione su larga scala da parte della popolazione e il rispetto rigoroso dell’avviso di quarantena da parte dei contatti notificati. Inoltre, attualmente, non esistono prove sufficienti per affermare che la notifica da un’app di contact tracing via smarthphone possa considerarsi altrettanto efficace nel contenere le catene di contagi, in quanto non è in grado di offrire consigli per isolare chi è entrato in contatto con un caso di Covid-19, rispetto alla soluzione manuale – in via telefonica o de visu – che può contare sui consigli forniti da un esperto di sanità pubblica.
Inoltre, non dimentichiamoci che le app di contact tracing automatizzate sollevano potenziali problemi di privacy ed etica e si basano su un elevato possesso degli smartphone, quindi potrebbero risultare discriminanti e aumentare il rischio di diffusione di Covid-19 tra i gruppi vulnerabili e non in possesso di smarthphone di ultima generazione. Dopo l’eureka iniziale – che aveva accolto le app di contact tracing come strumento strategico e cruciale nelle soluzioni per contrastare il Covid-19 – si stanno facendo strada i dubbi sulla validità delle stesse app fino a prefigurarne un insuccesso, cosa assai probabile considerando il fatto che alcuni Paesi, tra cui Norvegia e Regno Unito, le hanno addirittura abbandonate.
I risultati dei cinque studi sulla tracciabilità
L’analisi dei cinque studi sulla tracciabilità automatica tramite app su smartphone e altri dispositivi indossabili, ha portato alla rilevazione di dati importanti nella valutazione in termini di efficacia delle stesse app. Uno studio inglese rivela che, tramite il contact tracing automatizzato, solo una media di 4 contatti (rispetto una media di 14) sarebbero stati messi in quarantena contro una media di 28 contatti (rispetto alla media di 39) tracciati manualmente, ipotizzando il 90% di rispetto della misura della quarantena. Inoltre, un altro studio – considerando l’ipotesi del 100% di adozione dell’app di contact tracing e l’80% di accettazione da parte dei possessori di smarthphone – aveva stimato che circa 10-15 milioni di inglesi sarebbero state messe in quarantena, tuttavia, non era in grado di fornire dati sul numero di contatti identificati per caso positivo rilevato. In altri studi si evince che una adesione alle app di contact tracing dell’80%, potrebbe consentire la notifica di circa il 64% dei contatti che sarebbero notificati in un sistema ottimale di tracciamento dei contatti; mentre, con il 50% di download delle app, la cifra corrispondente risulterebbe pari al 25%. Tale criticità è stata evidenziata anche dai ricercatori della Oxford University, secondo cui almeno il 60% della popolazione di un Paese dovrebbe scaricare un’app di contact tracing affinchè questa risultasse efficace.
Secondo ipotesi ottimistiche a fronte di un utilizzo delle app del 75-80% da parte di possessori di smarthphone – in un contesto di elevato possesso di smarthphone e in concomitanza ad un 90-100% di rispetto della quarantena – risulterebbe improbabile che il contact tracing automatizzato fosse in grado di controllare la diffusione del Covid-19 senza ricorrere a misure di contrasto simultanee. Vale la pena ricordare come recentemente siano stati evidenziati limiti nelle capacità di rilevazione delle app Apple-Google, dal momento che fare affidamento sul Bluetooth, piuttosto che sul rilevamento della posizione, può generare un flusso di dati di falsi positivi a causa del raggio di rilevamento. Pertanto, gli studiosi sostengono che le app per poter funzionare devono far parte di una strategia sanitaria più ampia.
Modelli di contact tracing automatici e manuali
Come già evidenziato, l’efficacia del contact tracing automatizzato nel ridurre la trasmissione del Covid-19 dipende dalla percentuale di downloading della popolazione e dalla tempestività di intervento nell’identificare i contatti da porre in quarantena. Sia il contact tracing automatizzato sia quello manuale si basano sull’identificazione accurata e affidabile dei “contatti/incontri”, causa della trasmissione del virus. Ma non solo: l’efficacia del tracciamento dei contatti dipende da:
- contesto della malattia;
- fattori di sistema, come la tempestività dell’identificazione del caso e della notifica del contatto;
- esperienza dei traccianti dei contatti e definizioni del caso e del contatto utilizzate
- fattori sociali e comportamentali dipendenti dal contesto come i tassi di auto-segnalazione e l’aderenza alla quarantena.
Inoltre, il contact tracing automatizzato include la possibilità di ridurre al minimo il “problema di recall” rispetto a quello manuale, consentendo così, nel caso di contatti ad alto rischio, una notifica e una quarantena dei contatti in modo più veloce; potenzialmente, il massivo download della app comporterebbe il coinvolgimento di meno risorse rispetto a un approccio manuale. Ciò non toglie che dobbiamo fare i conti con realtà diverse: in alcuni Paesi caratterizzati da alta presenza di persone anziane, popolazione a basso reddito e con percentuale di proprietari di smarthpone esigua, non si potrebbe contare su una efficacia del contact tracing automatizzato, differentemente garantita da una maggiore attività manuale. La notifica automatizzata avrebbe un impatto psicologico diverso se paragonata alla ricezione di una telefonata da parte di un addetto al contact tracing manuale, in grado di fornire informazioni dettagliate su quale azione intraprendere e perché, verificare la comprensione e rispondere a domande o dubbi.
Che succede e bisogna fare dopo notifica Immuni: isolamento e tampone
Le app non servono a nulla – parola di Bruce Schneier
Studi a parte,sembra che la fiducia sull’efficacia di queste app non sia ancora consolidata. Non solo tra la popolazione – per esempio Immuni al 24 agosto aveva solo 5,2 milioni di download – ma anche da parte di alcuni esperti che vanno contro corrente.
Bruce Schneier – ricercatore del Berkman Center for Internet & Society di Harvard, consulente del Dipartimento della difesa Usa e di aziende del calibro di IBM – sostiene che le app di contact tracing non servano assolutamente a nulla, in quanto l’idea di affidarsi ad una app per tracciare gli affetti da Covid-19 e contenere l’epidemia, in realtà, non funziona. Secondo Schneier, l’efficacia del tracciamento dipende soprattutto da due fattori: la quantità di falsi positivi e falsi negativi. Il falso positivo rappresenta quella percentuale di contatti che per ragioni diverse il sistema non riconosce nella trasmissione di dati, rischio molto elevato nel caso di utilizzo di app di prossimità e geolocalizzazione che si basano su Gps e Bluetooth. Si fa riferimento alla infrastruttura di jointventure di Apple-Google che viene poi sviluppata autonomamente nei vari Paesi che decidono la distanza da monitorare e il tempo di esposizione. In Italia, per esempio, la app Immuni è impostata per monitorare persone a meno di due metri di distanza per un tempo di 15 minuti.
Schneier ritiene che siano troppe le circostanze che in quella porzione di tempo e di spazio possono confondere la app, quali ad esempio: la presenza di un muro molto poroso tra due persone, che fa sì che il segnale lo attraversi, senza accorgersi della loro presenza; oppure, il segnale Bluetooth non rileva i sistemi di protezione indossati dalle persone o la presenza di vento che “spinge” via il virus. Secondo uno studio del Brooking Institution (centro di ricerca senza scopo di lucro con sede a Washington) le app – non essendo in grado di distinguere e isolare oggettivamente i casi – finiscono con il coprire tutti i livelli di rischio del contagio generando migliaia di notifiche. Per quanto riguarda i falsi negativi, invece, il problema risiede nella percentuale di popolazione che non ha internet oppure delle persone che non portano con loro il telefono. Ne deriva una corsa impari contro il contagio che si sviluppa più velocemente rispetto alla nostra capacità di tracciarlo, senza contare il senso di falsa sicurezza nel non ricevere alcun un alert, con conseguenze pericolose al pari di tanti falsi allarmi.
Come si evince dai vari studi effettuati ad oggi, per quanto riguarda le app di contact tracing, non siamo molto distanti dalla tecnologia di sorveglianza del trasporto aereo adottata dal governo americano dopo l’11 settembre, ovvero come sostiene Bruce Schneier ci troviamo di fronte al “teatro della sicurezza”: un’architettura progettata per comunicare un senso di sicurezza nonostante risulti molto debole nelle fondamenta e nella struttura. C’è chi parla di soluzionismo tecnologico delle apparenze: la potenzialità di app, internet e algoritmi in grado di risolvere questioni che devono essere invece affrontate solo con politiche complesse. Pertanto, il contrasto alla diffusione del virus sarebbe da ricercare in un’operazione di testing veloce, accurata, economica e ubiqua mediante il tracciamento manuale.
Conclusione
La situazione di ripresa di diffusione del virus, cui stiamo assistendo in queste settimane, ci porta a riflettere sulla necessità di riconquistare la fiducia dei cittadini dei vari Paesi, unitamente alla presa di consapevolezza del ruolo civico e sociale che ognuno di noi può esercitare.
Gli studi non ci dicono che le app di sicuro aiutano, ma che possono aiutare questo sì (come riassume anche il Mit), a patto di farle rientrare in una strategia complessiva. Dato che siamo di fronte a un fenomeno nuovissimo, di portata epocale, potremmo decidere che anche questa possibilità di combattere il virus sia sufficiente per installare le app. Perlomeno, è questo il ragionamento che hanno fatto molti Governi con le app: non è certo funzionino, ma potrebbero funzionare secondo le attuali evidenze; in mancanza di meglio, è utile avvalersi anche di questo strumento.
Questa posizione non deve comunque farci cadere nel soluzionismo (o fideismo) tecnologico. E farci diventare superficiali nello sviluppo delle altre soluzioni. Sarebbe un po’ come rinunciare al distanziamento perché tanto c’è la mascherina. L’app diventerebbe un boomerang, ma la colpa non sarebbe dell’app ma della società (cittadini, istituzioni) che non è stata capace di usarla per quello che e che può dare. Un’arma in un arsenale che deve essere coordinato, non la bacchetta magica.
La vera sfida sarà probabilmente sviluppare senso civico dei probabili contagiati e del loro comportamento dopo la notifica di contatto. Una calibrata sintesi tra approccio automatico e manuale inoltre è fondamentale: noi cittadini non dobbiamo essere lasciati da soli in quel momento, ma è strategico e fondamentale avere professionisti empatici e competenti al nostro lato, in grado di guidarci nel percorso giusto. Decidere cosa fare diventa non solo una questione di responsabilità individuale, ma anche di salute pubblica.
Non è ancora chiaro quanto sia pronto il sistema sanitario, frammentato com’è tra asl e regioni, a gestire bene il tracking manuale, automatico e il testing; anche se pare che almeno i tempi per il tampone siano scesi a 48-72 ore (dice il ministero della Salute). Probabilmente il vero test lo faremo noi al sistema sanitario in autunno.
Sarebbe utile che il dibattito pubblico facesse un salto di maturità, spostandosi dal tifo pro e contro Immuni a una critica costruttiva che renda l’intero sistema più pronto alle sfide autunnali.
Ricordiamoci infine quanto affermato da Jason Bay, l’uomo che ha sviluppato la app di contact tracing alla base del “modello Singapore” (i.e. il più efficiente al mondo con solo 20 morti su 22.460 contagiati rispetto ad una popolazione di 5,6 milioni di abitanti): “Se mi chiedete se qualsiasi sistema di tracciamento dei contatti che passa da Bluetooth, in qualsiasi luogo del mondo, sia pronto a sostituire il tracciamento manuale, la mia risposta è inequivocabilmente no”.