Una delle cose più importanti che ha detto il nuovo governo, e che può avere un forte impatto nella trasformazione digitale dell’Italia, è composta tre parole e si chiama Made in Italy. Perché? È una scelta dirompente se applicata al mercato nazionale ICT e non solo all’agricoltura e al settore manifatturiero.
Gli investimenti con il PNRR
C’è un enorme investimento in atto con il PNRR nella dematerializzazione e virtualizzazione della sanità e della PA italiana e il settore ICT, con una buona crescita su base annua del 7%. È uno dei pochi assieme al turismo che in Italia non si è fermato con il Covid e la crisi energetica. L’industria nazionale ICT in alcuni campi primeggia nel mondo e merita un marchio d’origine e di qualità.
Il Made in Italy è un brand che ha una lunga storia, censito oggi al 7º posto in termini di reputazione tra i consumatori di tutto il mondo e terzo per notorietà dopo Coca Cola e Visa. E, al tempo stesso, un progetto economico che inizia già alla fine dell’800. R
Il Made in Italy delle Quattro A
Rivalutato a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, è stato utilizzato per promuovere quattro tradizionali settori della produzione industriale italiana: la moda, il cibo, l’arredamento e la meccanica. Le famose Quattro A: Abbigliamento, Automobili, Arredamento, Agroalimentare.
Nel 2017 AssinterItalia, l’associazione che raggruppa le aziende informatiche del settore pubblico, lanciò un manifesto per la valorizzazione delle aziende del mercato ICT nazionale. Per un Made in Italy dell’informatica nazionale[1].
Una dinamica industria del digitale
Fu una scelta innovativa e coraggiosa perché non solo riconosceva che c’era in Italia una dinamica industria del digitale, presente anche sui mercati internazionali, ma assegnava alle aziende pubbliche informatiche (le ICT in House) un nuovo ruolo, non più sostitutivo e concorrenziale con il mercato.
Un ruolo di snodo tra PA e industria privata, di regia progettuale. Alle innovazioni e sperimentazioni nel campo digitale, in particolare nell’eHealth e nell’eWelfare, doveva seguire una indispensabile industrializzazione di prodotti e servizi e questa non poteva che essere fatta dal mercato. In particolare dalle dinamiche imprese dell’ICT nazionale.
Fascicolo Sanitario Elettronico, cos’è, a che serve e come attivarlo
Due miliardi per il Fascicolo sanitario riprogettato e Telemedicina
Facciamo un esempio per rendere più chiaro questo concetto. I due investimenti più strategici del PNRR, quotati per un ammontare di oltre due miliardi di Euro, sono senza dubbio l’FSE e la Telemedicina.
Come è noto il Fascicolo Sanitario Elettronico, la più importante innovazione tecnologica della sanità italiana dell’ultimo ventennio, non nasce in un ministero o in un laboratorio di qualche multinazionale ma dalla progettualità congiunta di alcune inHouse del sistema regione e dell’industria eHealth nazionale,
A partire dai primi anni del duemila questi attori sviluppano assieme piattaforme avanzate di interoperabilità, pressoché uniche nel loro genere in quegli anni. Ne scaturisce, fin dal 2008-2012, una serie di realizzazioni regionali di indubbio valore europeo destinate anche a qualificare la debole Agenda Digitale Italiana.
Il sistema sanitario federato e l’industria eHealth nazionale non erano però nelle condizioni di promuovere su scala nazionale una solida rete di interoperabilità in sanità per far progredire l’FSE 1.0 a sistema paese e sbloccare la situazione stagnante delle regioni meridionali e di altri territori.
Nemmeno le Regioni, assieme alle loro inHouse e all’industria ICT nazionale, potevano infatti da sole ‘cucire l’Italia’. Se qualcuno lo avesse fatto l’FSE sarebbe stato esportato in tutti i paesi d’Europa.
Per riprogettare FSE (FSE 2.0) in una logica di interoperabilità nazionale è stato necessario un PNRR e un Team Digitale appositamente costituito presso un ente governativo (il Dipartimento della Transizione Digitale) in grado di avvalersi, sia pur indirettamente, delle esperienze e del know how delle in House.
FSE e telemedicina “cuore” della nuova sanità comunitaria: come farla davvero
Un occasione perduta
Se questa operazione – che pur presenta diversi limiti di cui si è a lungo discusso – fosse stata attuata già dieci anni fa, l’FSE Made in Italy sarebbe stato riconosciuto e stimato in tutta Europa e forse nel mondo, con grandi vantaggi economici e occupazioni (occupazione giovanile qualificata) per il sistema paese.
L’implementazione su vasta scala di una tecnologia interoperabile abilitante per i servizi di salute vedeva già importanti player italiani presenti con successo non solo in Europa ma perfino in Cina, in Brasile e negli USA.
Quanto valgono interoperabilità e standardizzazione in Sanità
Per comprendere appieno il valore della tecnologia di interoperabilità e standardizzazione in campo sanitario non bisogna dimenticare che essa è abilitante dei processi innovativi e del ridisegno – voluto dal PNRR- dei sistemi sanitari locali. Francesco Longo (Università Bocconi) ha ricordato a un recente evento Assinter Academy[2] che “si delinea nella sanità italiana una matrice di innovazione dei processi che richiede competenze, re-design e change management”.
Ma nello stesso tempo non è ipotizzabile un ridisegno della sanità territoriale – con case e ospedali di comunità, PAI e tutte le cose previste dai decreti 71-77 del 2022 – senza disporre di tecnologie di interoperabilità.
Un ‘gatto che si morde la coda’ e che richiede una robusta dose di investimenti tecnologici affinché l’FSE e la telemedicina (televisita, teleconsulto, telemonitoraggio, supporto alla decisioni cliniche CDSS) diventino strumenti riorganizzativi e abilitanti di nuovi processi in sanità.
La radio-medicina di Guglielmo Marconi
Così anche la telemedicina potrebbe entrare nel Digital Made in Italy. Qui perfino la storia del Novecento ci aiuta perché fu Guglielmo Marconi, con l’aiuto del dottor Guido Guida, a realizzare prima a New York (1915) poi in Italia (1930) il primo centro mondiale di radio-medicina per soccorrere passeggeri malati o infortunati sui piroscafi in navigazione o in condizioni estreme di disagio a distanza.
L’azione intrapresa da Agenas per piattaforme di telemedicina può oggi trovare valide risposte dal mercato perché in Italia sono state sviluppate una miriade di esperienze micro-industriali in questo campo. Quelle messe in atto da tantissime startup espressione di un ricco tessuto di PMI che per l’occasione possono trasferire know ai nostri player del mercato che producono interoperabilità e, perché no, anche a quelli internazionali. Anche questo è Made in Italy.
Un’integrazione virtuosa
I due sistemi industriali, quello dell’interoperabilità sanitaria-FSE e della Telemedicina, tendono così a integrarsi sempre più nell’ambito di una strategia innovativa che vede protagoniste le aziende ICT nazionali. La diffusione della TMD ha avuto gli stessi problemi dell’FSE. Senza un sistema nazionale di interoperabilità sanitaria il medico di famiglia che si reca a domicilio del paziente con il device per l’elettrocardiogramma collegato al GPS non riuscire a comunicare con le CCE degli altri medici specialisti.
Quindi si può affermare che con l’attuazione del PNRR l’interoperabilità sanitaria, la telemedicina e il Fascicolo sanitario elettronico possono diventare tre prodotti-servizi industriali vanto dell’imprenditoria italiana. E certamente esportabili nel mondo a seguito dell’enorme domanda di digitale sanitario e servizi a distanza messa in atto dalla pandemia COVID19.
Seguendo l’andamento del PNRR si possono individuare altri campi e altri interventi di collaborazione integrata tra sistema delle in House e industria digitale nazionale, estendibile in modo intelligente ai grandi player del mercato internazionale e al sistema delle consulting presenti in Italia. Queste forme di collaborazione possono ulteriormente rafforzare il Made in Italy digitale.
L’esempio del Cloud per la PA
Gli esempi e i campi applicativi si ritrovano in un primo bilancio della realizzazione del PNRR in ambito digitale a fine 2022. Uno di questi è certamente il Cloud per la PA. Una formula vincente verso cui stanno transitando Comuni, Regioni, aziende sanitarie, aziende pubbliche ed enti centrali.
Anche in questo campo sarebbe sbagliato pensare che l’Italia non abbia tecnologia adeguata e sia un paese quindi di facile preda degli hyperscaler globali. Ma sarebbe anche rischioso difendere e far progredire la tecnologia realizzata in Italia senza valorizzare al meglio le infrastrutture e le competenze già oggetto di investimento della pubblica amministrazione e delle loro società ICT in-house.
La chiave è “fare rete”
Con la tabula rasa non si aiuta il Made in Italy. Lo si può invece aiutare ‘facendo rete’, anche con una nuova strategia di procurement tra centro (CONSIP) e periferia (centri regionali di aggregazione della domanda).
Un modello che ha queste caratteristiche è stato recentemente (ottobre 2022) presentato da AssinterItalia, struttura che opera in rappresentanza delle ICT in House e in stretto contatto con la Conferenza delle Regioni.
L’associazione si è fatta portatrice della domanda territoriale di innovazione in una logica ‘aggregativa’, siglando un accordo di collaborazione tra i suoi soci con il quale le società ICT pubbliche delle regioni e quelle centrali potranno mettere a fattor comune le proprie infrastrutture tecnologiche, usufruendo anche di servizi aggiuntivi (disaster recovery, gestione dei picchi, ecc.).
Questo passaggio è stato compiuto aprendo tavoli di confronto permanenti – in AssinterAcademy – con grandi imprese del mercato nazionale ICT e anche con grandi operatori internazionali, assieme alle maggiori università italiane.
Aprire le filiere locali del Cloud
Le filiere locali di Cloud della PA possono essere aperte a partnership pubblico-privato e a un approccio multicloud, nell’ambito di un modello organizzativo esteso e inclusivo del mercato che comprende anche l’apporto di tecnologie avanzate di AI, di gestione del mondo utente-consumer. Campi in cui, per altro, primeggiano i grandi provider internazionali presenti in Italia.
L’importante progetto del Polo Strategico Nazionale, in chiave ‘Cloud-Made in Italy’, potrebbe contribuire a realizzare una rete che assorbe sia le eccellenze infrastrutturali centrali e che quelle regionali in una forma inclusiva e federata.
Una PA veramente attrezzata nella gestione e tutela dei dati di tutti deve, in sostanza, saper “fare rete” con un forte coordinamento strategico ed operativo, una solida regia, assicurando complementarietà tra investimenti nazionali e regionali, tra un mercato nazionale della tecnologia in rapida evoluzione e la presenza sempre più massiccia di provider internazionali.
Il rischio frammentazione
La frammentazione, ma anche il disconoscimento degli investimenti e delle potenzialità presenti, porterebbe invece a una povertà di risultati e a una dipendenza sempre più incisiva dall’estero.
Un modello di gestione del dato flessibile, che può contare su una solida rete di infrastrutture e momenti di aggregazione regionali-locali nell’ambito di una ben definita architettura nazionale – già delineata ad esempio per FSE e TMD – è conveniente.
Essa garantisce anche, sotto il profilo tecnico, performance migliori e in tempi relativamente brevi nonché una gestione e conservazione dei dati da parte della pubblica amministrazione per tutelare l’interesse collettivo e la sovranità digitale.
Un modo intelligente per far crescere in forma ‘collaborativa’ il Digital Made in Italy. Le idee, i programmi, le risorse economiche, gli esempi virtuosi non mancano. Ora la palla passa al nuovo Governo.
Note
- IL MADE IN ITALY PER LA SANITÀ DIGITALE, UN WELFARE SENZA BUROCRAZIA – Roma 7 maggio 2015: AssinterItalia, Engigneering, Dedalus, Reply, Exprivia, Datamanagment, HIH. ↑
- AssinterAcademy, 28 ottobre 2022, Terzo incontro del Tavolo PNRR, La Telemedicina, Castello di Santa Severa (Roma) ↑