Da giorni l’informazione è inevitabilmente dominata dal Covid-19, e pur se l’argomento viene oramai affrontato sotto ogni immaginabile prospettiva, si sente parlare molto poco di Intelligenza artificiale. Vuol dire che l’IA è fuori dal gioco, non riesce ad offrire nessun aiuto nella lotta al virus?
Non è così. Il fenomeno è naturalmente di pertinenza primaria delle scienze della vita, medicina in primo luogo, ma questa da tempo beneficia del supporto dell’IA in diverse forme, che si rivelano oggi importanti nel fronteggiare l’attuale pandemia. A differenza di quando algoritmi di IA sconfiggono campioni mondiali di giochi, prospettano un mondo quasi totalmente automatizzato, o preoccupano per la manipolazione delle coscienze, stavolta non c’è clamore.
Gli svariati modi con cui l’IA risulta utile e viene impiegata nel campo del Covid-19 sono ben noti agli addetti ai lavori, e per il momento tendono a uscire poco da quell’ambito. In questo articolo si vogliono raccontare giusto tre di queste diverse modalità, significative sia per il loro impatto nel caso in questione, sia in quanto emblematiche riguardo cosa sia oggi l’IA.
Intelligenza artificiale e deep learning come ausilio diagnostico
L’IA è una collezione di svariate metodologie che si sono via via sviluppate nel corso della sua storia, ma ve ne è una che da sola è responsabile della sua imponente affermazione degli ultimi anni, si tratta delle reti neurali artificiali, in una loro forma evoluta nota come deep learning. In due parole, i modelli neurali artificiali sono costituiti da molte unità di calcolo che in qualche modo imitano certe proprietà dei neuroni biologici, e sono in grado di adattarsi a ogni tipo di compito, anche complesso, “apprendendo” dall’esperienza. Esiste una varietà di modi con cui i “neuroni” in questi modelli sono connessi tra di loro e vengono sottoposti ad esperienze in modo da apprendere.
Il tipo di modello che ha decretato il successo del deep learning è noto come Deep Convolutional Neural Network (DCNN), nasce per elaborare immagini, e la sua struttura ricorda alla lontana la gerarchia di processi del sistema visivo umano. È infatti nel riconoscimento di oggetti nelle immagini che l’IA odierna eccelle, arrivando praticamente alle stesse prestazioni di un essere umano. Di riflesso sono progredite tutte le applicazioni in cui è fondamentale analizzare il contenuto di immagini, per esempio i veicoli a guida autonoma.
Anche quando le immagini sono catturate da strumenti di indagine medicale il deep learning, in particolare i modelli DCNN, sono diventati un ausilio diagnostico prezioso, e qui veniamo al primo caso di AI che dà una mano a contrastare il COVID-19.
Una delle indicazioni strumentali principali dei pazienti affetti è fornita dalla tomografia computerizzata ai polmoni. Inizialmente le anomalie su cui si poteva basare una diagnosi dello stato della malattia, e una sua prognosi, erano affidate all’analisi visiva del radiologo. Presto è entrato in campo il deep learning, con i modelli DCNN, per tentare di rendere più precisa e affidabile l’analisi delle tomografie.
A partire da febbraio si sono moltiplicate le ricerche sperimentali per mettere a punto un protocollo di analisi, coinvolgendo i più prestigiosi centri di ricerca cinesi, come la United Imaging Intelligence di Shangai, che ha condotto uno studio su 200 casi, con risultati notevoli. Il National Supercomputer Center di Guangzhou, in collaborazione con diversi centri ospedalieri di radiologia ha messo a punto il software DeepPneumonia, sempre per una diagnosi selettiva e rapida di Covid-19 e del suo livello di gravità da tomografie.
Una ricerca alternativa, che mira a una possibile diagnosi ancor più rapida e non invasiva, è portata avanti dal centro di ricerca cinese statale Key Laboratory of Artiificial Intelligence. Il metodo impiega una telecamera che include la misurazione della distanza, puntata sul torace del paziente, e vengono analizzate nel tempo le deformazioni di zone critiche, rivelatrici di conformazioni spazio-temporali abnormi della respirazione, che possono essere attribuibili al deficit respiratorio indotto dal COVID-19 con una precisione del 95%.
L’intelligenza artificiale per la formulazione di nuovi farmaci
Questo genere di ausilio dall’IA è piuttosto scontato, facendo leva sul suo strumento di punta, le reti DCNN, nel campo in cui più eccelle: l’elaborazione di immagini. Ma da tempo la ricerca in IA ha esplorato con successo l’impiego delle stesse DCNN a dati che in realtà non sono affatto immagini, ma che possedendo qualche struttura a due o tre dimensioni, si prestano a far finta che siano anch’essi immagini.
È il caso delle proteine, le complesse molecole organiche le cui proprietà sono preziose nella formulazione di nuovi farmaci. La procedura denominata in farmacologia protein pocket matching consiste nel ricercare in una proteina le zone in cui è possibile il legame con altre molecole, e verificare la compatibilità di tali siti tra diverse proteine. Si tratta di un procedimento estremamente laborioso, che comporta tempi di calcolo proibitivi quando le proteine da indagare sono molte.
L’azienda inglese BenevolentAI, specializzata nell’applicazione di metodologie di IA alla medicina, ha messo a punto un software denominato DeeplyTough che effettua il pocket matching tra proteine, trattando la loro struttura come se fosse un’immagine. Modelli di tipo DCNN catturano proprietà salienti delle proteine, codificandole in un numero ragionevole di dati, che possono essere quindi confrontati tra di loro rapidamente, alla ricerca di siti di legame compatibili.
Siamo così entrati nel secondo caso qui raccontato, di come l’IA stia dando un contributo nella ricerca sul Covid-19, non più nella diagnosi, ma nella cura vera e propria.
La BenevolentAI, facendo uso del suo software DeeplyTough, ha identificato dei potenziali bersagli nelle proteine prodotte dal virus, e scovato altre proteine che potrebbero legarsi, inibendo l’azione di infezione di cellule da parte del virus. Queste ultime appartengono a formulazioni farmacologiche esistenti, come Baricitinib, Fedratinib e Ruxolitinib. Diversi altri centri di ricerca nel mondo si stanno avvalendo di modelli di IA di questo genere, o ne stanno sperimentando altri, ai fini di velocizzare l’individuazione di farmaci adatti. La Insilico Medicine di Hong Kong è un’altra azienda specializzata nell’impiego di deep learning nella formulazione di farmaci, con un approccio diverso rispetto a BenevolentAI, puntando anziché alla selezione di proteine esistenti che si leghino con il bersaglio desiderato, alla loro generazione virtuale mediante deep learning, e successiva sintesi.
La robotica in aiuto negli ospedali
Il terzo caso di impiego di IA per la pandemia in corso investe un settore tradizionale dell’IA, la robotica, settore che ha comunque beneficiato dell’avvento del deep learning, permettendo ai robot di avere una percezione dell’ambiente circostante notevolmente migliorata, e possibilità di controllo più sofisticate. Le persone inevitabilmente più esposte al contagio sono gli operatori sanitari, in Italia, a oggi, si contano oltre diverse decine morti e svariate migliaia di contagiati tra il personale medico impegnato negli ospedali. Il rischio era probabilmente ancor più elevato a Wuhan, in Cina, quando il virus è arrivato senza nessun preavviso, e medici ed infermieri sono stati in poco tempo investiti di un enorme carico di lavoro e responsabilità.
Un aiuto prezioso è venuto dallo stato di avanzamento della robotica intelligente in Cina. L’azienda CloudMinds nasce nel 2015 con l’obiettivo di realizzare squadre di robot intelligenti, il cui “cervello” risiede su cloud, e appena un anno dopo entra nelle prime 25 più competitive startup cinesi di IA. Nella città di Wuhan un’intera vasta area è stata attrezzata per la gestione dei malati da Covid-19 in maniera totalmente robotizzata. Sei diverse tipologie di robot della CloudMinds provvedono alla distribuzione individuale degli alimenti e dei farmaci, al monitoraggio dei dati vitali dei pazienti, e alla pulizia, con la supervisione di personale umano che rimane al sicuro fuori dall’area. Si tratta di un reparto di cura intermedio, per pazienti abbastanza gravi da non poter essere gestiti a casa, ma nemmeno talmente gravi da necessitare la terapia intensiva, che rimane a gestione umana. È la fascia di malati da Covid-19 che numericamente affolla maggiormente gli ospedali, anche in Italia, e se pur non risente della criticità per carenza di strumentazione medica come in terapia intensiva, è quella che coinvolge il maggior numero di operatori sanitari. Promotore di questo progetto era stato Liu Zhiming, direttore dell’ospedale Wuhan Wuchang, divenuto da subito il principale riferimento di cura dell’epidemia, e gestore dell’area robotizzata. Tragicamente lo stesso Zhiming non era stato risparmiato dal virus, ed è deceduto prima di poter vedere pienamente attuata la sua idea.
L’impiego di robot negli ospedali non è affatto una novità, una delle aziende specializzate nel settore, la Aethon di Pittsburgh, da diversi anni commercializza Tug, una sorta di infermiere automatizzato. Ma le motivazioni di questa ricerca sono state finora puramente economiche, stimolate dagli intenti, comuni in buona parte del mondo, di contenimento della spesa sanitaria. Per questi motivi la robotica ospedaliera si presta alla critica che spesso viene rivolta all’IA, di prospettare un futuro in cui non ci sia più posto per lavoratori umani in diverse occupazioni. In questo caso quelle infermieristiche. Ma l’irrompere del Covid-19 getta una luce del tutto diversa su questo ambito dell’IA, nobilitando l’impegno dei robot proprio come salvaguardia della salute degli operatori sanitari.
Conclusioni
L’intelligenza artificiale, pur senza fornire certo nessuna bacchetta magica, contempla una gamma di metodologie, che ruotano soprattutto intorno al deep learning, in grado di offrire valido ausilio nel contrasto alla diffusione del Covid-19.
Ausilio che, c’è da prevedere, diventi progressivamente più ampio ed organizzato, come successo per altre emergenze. Si pensi ai cambiamenti climatici, che hanno trovano nell’ampia comunità scientifica del deep learning una adeguata sensibilità, che ha condotto a promuovere un’articolata ricerca verso quel fronte.