La chiamata al numero unico delle emergenze (112) ove attivo, o al 118 per attivare una richiesta di soccorso sanitario possono offrire informazioni utili, ma purtroppo ben poco utilizzate in Italia, per aiutarci a combattere la pandemia.
È infatti da questa semplice azione che la catena dei soccorsi può svolgersi, ed è dal numero di tali chiamate che si può desumere un primo indicatore di criticità. Un ulteriore indicatore a esso correlato è il numero di interventi delle ambulanze per un dato territorio.
Vediamo in che modo queste informazioni sono state utilizzate per interpretare la situazione emergenziale sul territorio lombardo.
Un metodo innovativo e data driven per monitorare l’andamento dell’epidemia
Partendo dai dati contestualizzati forniti dagli stessi cittadini – la chiamata al numero unico delle emergenze (112) ove attivo, o al 118 per attivare una richiesta di soccorso sanitario – in collaborazione con l’Agenzia Regionale Emergenza Urgenza (AREU) della Regione Lombardia, con un team di ricerca multidisciplinare al Politecnico di Milano (Enrico Caiani, Maria Brovelli, Lorenzo Gianquintieri) abbiamo iniziato a pensare a come estrarre in modo scientifico informazioni che potessero risultare utili ad interpretare meglio la situazione sul territorio lombardo.
Il risultato è stato un metodo innovativo e “data driven”, da poco pubblicato (Gianquintieri, L.; Brovelli, M.A.; Pagliosa, A.; Dassi, G.; Brambilla, P.M.; Bonora, R.; Sechi, G.M.; Caiani, E.G. Mapping Spatiotemporal Diffusion of COVID-19 in Lombardy (Italy) on the Base of Emergency Medical Services Activities. ISPRS Int. J. Geo-Inf. 2020, 9, 639, da cui provengono le figure qui riportate) che sfrutta i “tag” relativi alle coordinate spaziali (approssimate al Comune di provenienza) delle singole chiamate al 112/118 o degli interventi successivi delle ambulanze, in relazione a problemi riportati dal cittadino associabili a patologie respiratorie e come tali etichettati dall’operatore sanitario, per monitorare con dati certi e quotidiani l’evoluzione della pandemia.
Per tenere in conto della differente densità di popolazione sul territorio Lombardo, si è deciso di dividere la Regione in 73 distretti di popolazione omogenea (circa 100.000 abitanti) a partire dai paesi più popolosi, con Milano, Monza, Brescia e Bergamo a rappresentare 4 distretti a sè stanti, calcolare ogni giorno il numero di chiamate e di interventi avvenuti in ogni distretto, e normalizzare il tutto al numero degli abitanti, a partire dagli open data disponibili sul sito dell’ISTAT, aggiornato al 1/1/2019.
In tal modo è possibile ottenere delle curve che mostrano l’evoluzione della pandemia in ognuno dei 77 distretti considerati. A partire da tali curve opportunamente filtrate, è stato poi applicato un metodo iterativo per identificare il punto di inizio del primo picco pandemico, come mostrato nella figura qui a lato relativa al distretto comprendente Codogno, nel cui Ospedale è stato diagnosticato il paziente uno in data 21/9.
Il metodo proposto ha permesso di rilevare a valle di una analisi retrospettiva come il COVID-19 fosse molto probabilmente già diffuso sul territorio lombardo ben prima di tale data.
In particolare, nel distretto che include Codogno, l’inizio della diffusione pandemica è stato identificato al 16 febbraio, mentre nei distretti che includono Nembro ed Alzano Lombardo (in cui la mortalità dai dati ISTAT rispetto allo stesso periodo del 2019 è risultata del +1000% e +937,5%, rispettivamente) l’inizio della pandemia è stato identificato tra il 14 e il 16 febbraio.
I numeri quotidiani dell’epidemia
Durante questi mesi, con l’evoluzione della pandemia da Covid-19, siamo stati giornalmente bombardati dai numeri trasmessi dalle varie istituzioni, riamplificati dai diversi mezzi di informazione, a volte dando più rilevanza a un parametro invece che ad un altro: numero dei tamponi effettuati, numero di tamponi positivi, numero di pazienti sintomatici e asintomatici, numero dei ricoveri, numero dei decessi, indice Rt, numero dei letti di terapia intensiva, numero dei letti in reparto sub-intensivo, etc.
Da un lato, questa abbondanza di dati è sicuramente positiva perché consente ad ogni cittadino di seguire ciò che sta succedendo, a livello regionale e nazionale, con più cognizione di causa, e magari rafforzando così comportamenti virtuosi in linea con quanto suggerito dai vari Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM).
Dall’altro c’è il rischio che tali numeri non vengano correttamente interpretati perché non di immediata comprensione per il loro impatto sulla salute pubblica, oppure che non se ne consideri i limiti intrinseci, per esempio legati al fatto che non tutti i numeri riportati quotidianamente siano effettivamente descrittivi del fenomeno pandemico per quel giorno, ma siano affetti da ritardi insiti nella misura o nella modalità in cui il dato viene acquisito e reso pubblico.
Un caso esemplificativo è costituito dal numero giornaliero di tamponi positivi, in realtà riferito al risultato delle analisi svolte nei giorni precedenti, e funzione dei tamponi effettuati, con ampie differenze a livello regionale sia per le risorse (umane, di tamponi, economiche) sanitarie messe a disposizione che per le diverse politiche attuate.
Anche per rispondere a queste criticità, si possono utilizzare meglio i dati che derivano dalle chiamate ai servizi di emergenza.
Le potenzialità dell’analisi dei dati dei sistemi di Emergenza e Urgenza Territoriale
Sulla base di questi risultati si sta studiando ora come poter fornire una indicazione di allerta specifica per un dato territorio, in base al trend dei giorni immediatamente precedenti, così da poter dare alle autorità competenti uno strumento utile, unitamente agli altri indicatori “convenzionali”, per evidenziare situazioni geograficamente localizzate che possano necessitare di particolare attenzione.
Questo approccio, estendibile ad altre Regioni, mostra le potenzialità legate all’analisi dei dati disponibili su base giornaliera provenienti dal sistema di Emergenza e Urgenza Territoriale, originanti dall’azione del cittadino a valle di un auto-monitoraggio della propria condizione di salute e della necessità di chiedere soccorso, e dalla azione insostituibile di chi (volontari, infermieri, personale medico, autisti soccorritori) quella azione la presta, talvolta anche mettendo a rischio la propria salute.
Al fine di sfruttare al meglio tali dati, anche ai fini di allerta e monitoraggio di possibili pandemie (come purtroppo il COVID-19 ci ha insegnato), sarebbe auspicabile che ogni sistema regionale fosse dotato delle necessarie risorse, strutture, personale e competenze per poter generare tali dati in forma digitale, con protocolli di raccolta in database strutturati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, in grado di interfacciarsi con un centro unico di raccolta in grado di analizzarli o renderli disponibili alla ricerca. Ciò eviterebbe di replicare errori precedenti legati alla elevata parcellizzazione regionale (vedi i 21 fascicoli sanitari elettronici esistenti con 20 regioni) del dato sanitario, mettendo a sistema le informazioni raccolte al fine di creare ulteriori strumenti utili al decisore politico per prendere tempestivamente le decisioni richieste a tutela della salute dei cittadini, salvaguardando così la tenuta del sistema sanitario.