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Covid, non mandiamo in pensione il tracciamento digitale: ecco perché serve ancora

Il tracciamento digitale non solo basato su telefoni cellulari, unito a una comunicazione più efficace per risolvere i dubbi sulla privacy e a una collaborazione più stretta con il Sistema Sanitario Nazionale, potrebbe essere ancora un utile strumento per affrontare la pandemia nella fase attuale. Ecco perché

Pubblicato il 29 Ott 2021

Giulia Cencetti

Unità di ricerca “Mobile and Social Computing Lab” del centro Digital Society, Fondazione Bruno Kessler

Bruno Lepri

Unità di ricerca “Mobile and Social Computing Lab” del centro Digital Society, Fondazione Bruno Kessler

Gabriele Santin

Unità di ricerca “Mobile and Social Computing Lab” del centro Digital Society, Fondazione Bruno Kessler

immuni app

Nel corso della pandemia da Covid-19 si è parlato molto di tracciamento, una normale pratica messa in atto dagli operatori sanitari in caso di pazienti con malattie infettive. In Italia l’app Immuni ha introdotto il tracciamento digitale. Quello che non ci si aspettava però era l’arrivo di un virus così infettivo da obbligarci a estendere il tracciamento a un numero così grande di persone e in così poco tempo.

E, soprattutto, non si è detto abbastanza di come i dati raccolti dalle app di tracciamento sarebbero stati preziosi anche al di là della prevenzione immediata dei contagi. Infatti, ancora poco si sa sulle dinamiche di trasmissione del virus, sia dal punto di vista biologico che sociale.

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Cos’è il tracciamento digitale

Il Covid-19, stando ai dati ufficiali, finora ha colpito 219 milioni di persone nel mondo, senza limiti geografici e di età. Fortunatamente l’effetto dei vaccini sta rallentando la diffusione e a limitare significativamente le ospedalizzazioni e i decessi, tuttavia per tutto il 2020 abbiamo avuto a disposizione solo interventi non farmaceutici per limitare i contagi, per cui il tracciamento ha assunto un ruolo fondamentale.

Il tracciamento manuale, effettuato dal sistema sanitario, consiste nell’intervistare gli individui positivi al virus in merito ai contatti avvenuti nei giorni precedenti e, se considerati a rischio dall’operatore /operatrice sanitario/a di turno, avvertirli prescrivendo loro una quarantena preventiva e/o un tampone di controllo.

La tempestività del tracciamento risulta particolarmente importante data la trasmissibilità del virus, anche prima che sopraggiungano i sintomi (buona parte degli infetti, inoltre, è asintomatica) e quindi prima che gli infetti si riconoscano come tali.

Per velocizzare il processo e non sovraccaricare il sistema sanitario, si è pensato di affidarsi a strumenti elettronici automatici che potessero essere di supporto al tracciamento manuale.
Quale miglior dispositivo dei telefoni cellulari, ampiamente utilizzati nella popolazione e che quotidianamente accompagnano tutti i nostri spostamenti? Sono state quindi sviluppate in diversi Paesi del mondo delle app per il tracciamento digitale.

Come funziona Immuni

Il funzionamento delle app di digital tracking è basato sui segnali Bluetooth scambiati fra smartphone quando si trovano a breve distanza. Registrando tali segnali è possibile mantenere in ogni telefono la storia dei contatti passati, in modo tale che quando un individuo risulta infetto sia possibile inviare una notifica immediatamente e automaticamente a tutti i dispositivi con cui è entrato in contatto negli ultimi giorni.

Questo permette di velocizzare il processo delle quarantene preventive e inoltre anche di tracciare i contatti avvenuti con persone che non conosciamo e che non potremmo quindi segnalare in caso di un tracciamento manuale (contatti casuali).

Ovviamente si devono imporre limiti che misurino la pericolosità dei contatti, registrando ad esempio solo i contatti caratterizzati da un’alta potenza di segnale (quindi avvenuti a corta distanza) o da una lunga durata.

L’app di tracciamento del Regno Unito

Uno studio pubblicato dal gruppo di ricerca di Christophe Fraser dell’Università di Oxford, pubblicato recentemente sulla rivista Nature [1], ha analizzato nel dettaglio l’effetto che la app di tracciamento del Regno Unito ha avuto sui casi di Covid-19 trattati dall’National Health Service (NHS), il servizio sanitario britannico.

Lo studio ha preso in esame i casi di infezione registrati in Inghilterra e Galles tra settembre e dicembre 2020, e ne ha studiato la relazione con i dati di utilizzo della app di tracciamento.
In queste regioni e in questo periodo l’adozione dell’app è stata attorno al 28%, un numero molto lontano da una completa copertura della popolazione.

Nonostante ciò, lo studio stima che il tracciamento digitale sia stato in grado di identificare precocemente circa fra i 250 mila e i 600 mila casi su 1.9 milioni di casi verificatisi nel periodo analizzato, ovvero circa un caso su quattro.

A conferma dell’effetto positivo di un’eventuale maggiore adozione della app di tracciamento, i ricercatori di Oxford stimano inoltre che, per ogni punto percentuale di maggior adozione, il numero di casi identificati precocemente dalla app crescerebbe di una quota tra lo 0.8% e il 2.3%.

La precisione delle notifiche

Un’altra conferma dell’utilità è data dalla precisione delle notifiche del tracciamento digitale: si è visto che circa il 6% degli individui che hanno ricevuto una notifica di contatto a rischio dalla app si è poi rivelato effettivamente infetto.

Questo numero è molto simile a quello del tracciamento manuale (6.9%) e dunque il tracciamento digitale non introduce significative differenze nel numero di persone notificate e sottoposte a quarantena preventiva.

D’altro canto, nello stesso studio si sottolinea che l’efficacia della app è visibile soprattutto al di fuori del contesto domestico: il tracciamento digitale infatti non dipende dalla memoria del paziente, e dunque è molto più efficace nel determinare contatti avvenuti al di fuori della cerchia di quelli stretti. Questo ne fa un utile strumento complementare al tracciamento manuale.

Una fonte preziosa di informazioni

Ancora non si sa con esattezza quali siano la distanza e la durata necessarie affinché i contatti con un individuo infetto siano potenzialmente a rischio.

Inoltre, mancano dati statistici sufficienti per determinare quali siano i luoghi a maggior rischio di contagio, o il livello di trasmissione e di sicurezza dei diversi luoghi di lavoro, dei contesti educativi e dei mezzi di trasporto pubblico.

Per esempio, in uno studio recente [2], è stata valutata l’efficienza di diversi schemi di tracciamento. Nello studio si considera che lo schema di tracciamento digitale più restrittivo allerta e mette in quarantena anche chi ha avuto contatti con individui positivi al Covid-19 a distanze superiori di un metro e per meno di 5 minuti. Quello più permissivo invece allerta e mette in quarantena solo chi ha avuto contatti con individui positivi al Covid-19 per più di mezz’ora e ad una distanza di circa un metro.

Gli autori hanno testato anche diversi schemi di tracciamento intermedi, e per ciascuno hanno stimato l’efficienza e il tasso di falsi positivi (notifiche pervenute a persone che non risultano poi positive al virus Covid-19) e di falsi negativi (persone infette che non ricevono notifiche).

Un altro studio [3] ha provato a migliorare la comprensione delle dinamiche di trasmissione in contesti educativi. Tramite un sensore di prossimità non invasivo, che può essere portato all’interno di semplici marsupi, i ricercatori hanno registrato le interazioni, completamente anonime, di un gruppo di bambini e ragazzi e dei loro animatori durante alcuni campi estivi svolti nella provincia di Trento nell’estate del 2020.

Il progetto SocioPatterns

Mentre la letteratura scientifica delle scienze sociali computazionali è ricca di dati di contatto fra persone all’interno di svariati contesti (si veda ad esempio il progetto SocioPatterns), dopo più di un anno e mezzo dall’inizio della pandemia sono ancora pochissimi i dati raccolti in contesti che prevedano regole di distanziamento.

La ricchezza di questi nuovi dati ha permesso di analizzare le attività più a rischio fra quelle svolte nei campi estivi, per esempio quantificando la durata e distanza media dei contatti avvenuti durante ciascuna attività, e distinguendo contatti casuali e brevi da contatti prolungati.

Inoltre, è stato possibile quantificare la notevole efficacia delle politiche di mantenimento delle bolle sociali: gli utenti e gli educatori erano organizzati in piccoli gruppi disgiunti fra loro in modo tale da mantenere contenuti eventuali episodi di contagio e di successiva quarantena.

Si è verificato che questa politica è stata implementata in modo estremamente efficace, dal momento che solo una percentuale trascurabile di contatti è avvenuta fra membri di gruppi diversi.

Il flop di Immuni

Parlando del caso italiano, l’app di tracciamento digitale è stata Immuni. Tuttavia, quello che sarebbe potuto diventare uno strumento utile per evitare sia contagi che restrizioni preventive, non è stato sfruttato al meglio.

Quali sono state le cause?

Uno dei problemi strutturali dell’app italiana, poi in seguito corretto, è stata la sua mancanza di automaticità.

Infatti, inizialmente, un individuo che risultasse positivo al Covid-19 non poteva far partire automaticamente la notifica ai suoi contatti tramite la app, ma doveva aspettare di essere contattato dal centro Covid e richiedere un codice per poter sbloccare la app. Questo ha reso il tracciamento digitale, anziché uno strumento di supporto al Sistema Sanitario Nazionale (SSN), uno strumento a carico di esso.

Nei periodi di sovraccarico delle strutture sanitarie, in cui il tracciamento manuale era necessariamente rallentato, cioè esattamente nei periodi in cui il tracciamento digitale sarebbe stato più efficace, sopperendo ai malfunzionamenti dell’altro, non è stato utilizzato.

Adozione dell’app

La app Immuni in Italia è stata scarsamente adottata dalla popolazione. I motivi possono essere
molteplici, ma probabilmente hanno soprattutto a che fare con il metodo di comunicazione. Nei primi tempi infatti, si suggeriva di adottarla, ma senza presentarne esaustivamente i possibili effetti positivi e soprattutto senza rispondere ad alcune lecite domande, in particolare quelle riguardanti la privacy. In seguito, vedendo la scarsa partecipazione della popolazione su questo tema, la campagna su Immuni è stata del tutto o quasi abbandonata.

Il tema della privacy è centrale e chiaramente delicato. Le prime app di tracciamento digitale infatti non garantivano del tutto la privacy, con conseguenze spiacevoli, come in Corea del Sud. Tuttavia le app europee, come Immuni, hanno imposto vincoli specifici, come l’anonimizzazione dei contatti (che appaiono con codici identificativi auto generati randomicamente) e la decentralizzazione dei dati salvati [4].

La decentralizzazione fa sì che le informazioni raccolte dai vari dispositivi non siano registrate in un unico organo centralizzato ma salvate sui dispositivi stessi.

Inoltre ogni contatto appare con un codice identificativo univoco. Se due persone A e B entrano in contatto con lo stesso individuo C, quest’ultimo sarà registrato nei due dispositivi con due codici diversi.

In questo modo risulta impossibile ricostruire la rete dei contatti a partire dalle informazioni condivise dai singoli telefoni.

Questo sistema permette al tracciamento digitale di garantire la privacy di tutti gli utenti. Ciò invece non avviene nel tracciamento manuale, dove invece sono gli operatori sanitari a farsi garanti della privacy impegnandosi a non diffondere i dati raccolti.

Conclusioni

Il tracciamento digitale non solo basato su telefoni cellulari, unito a una comunicazione più efficace per risolvere i dubbi sulla privacy e a una collaborazione più stretta con il Sistema Sanitario Nazionale, potrebbe essere ancora un utile strumento per affrontare la pandemia nella fase attuale, che vede una larga parte della popolazione già vaccinata, mentre la maggior parte di bambini e ragazzi in età scolare è ancora esposta al contagio.

Note

  1. C. Wymant et al., “The epidemiological impact of the NHS COVID-10 app”, Nature, 2021.
  2. G. Cencetti et al., “Digital proximity tracing on empirical contact networks for pandemic control”, Nature Communications, 2021. Studio condotto dal nostro gruppo in collaborazione con Fondazione ISI, EPFL, DTU, e CNRS.
  3. E. Leoni et al., “Measuring close proximity interactions in summer camps during the COVID-19 pandemic”, 2021. Studio condotto da alcuni ricercatori della Fondazione Bruno Kessler e delle università di Trento e di Bologna.
  4. C. Troncoso et al., “Decentralized privacy-preserving proximity tracing”, 2020.

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