A 46 anni dalla sua nascita, il Servizio Sanitario Italiano (SSN) è oggi più che mai davanti a un bivio epocale: rinnovarsi, ripensando la propria struttura e riadattandola alle esigenze e alle caratteristiche della società odierna, o cessare di esistere nelle forme e delle modalità che l’hanno reso, negli anni, una delle istituzioni più apprezzate e distintive del nostro paese e ritenuta oggi essenziale dall’88,7% degli italiani.
I pilastri fondamentali di quel SSN, nato nel ’78 e figlio della più grande stagione di riforme sociali della storia italiana, quali i principi di universalità, solidarietà ed equità, sono infatti oggi seriamente in discussione, tanto da risultare utopici, solo un ricordo lontano o, per una fascia esigua ma crescente della popolazione, addirittura solo vecchi preconcetti che oggi devono essere superati da maggiori aperture a servizi di cura privati o assicurativi come già avviene in molti altri paesi UE.
La natura stessa del SSN, che conta su 700.000 professionisti che erogano più di 1,3 miliardi prestazioni sanitarie ogni anno, rende infatti centrale il tema di come l’organizzazione e l’erogazione delle stesse debbano, idealmente, costantemente aggiornarsi e integrarsi con nuovi servizi e tecnologie. Tali processi non sono solo necessari per garantire adeguati livelli di qualità delle cure e una buona capillarità dell’assistenza lungo tutto l’articolato territorio nazionale, ma anche per far fronte ai sempre più esigenti vincoli finanziari ed economici ai quali il sistema sanitario è sottoposto.
Tutti i governi degli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con la “coperta corta”,. Numerosi sono stati i tentativi di riforma (alcuni dei quali vengono citati nei paragrafi successivi) e tanti i decreti che hanno provato a trovare soluzioni su specifici aspetti del problema complessivo. In ultimo, in ordine cronologico, il Decreto sull’uso dell’Intelligenza Artificiale in sanità e, soprattutto, il Decreto presentato dal Ministro Schillaci lo scorso 4 giugno con provvedimenti per contrastare le lunghe liste d’attesa. Quest’ultimo prevede novità interessanti a livello di centralizzazione delle procedure con la nascita della Piattaforma Nazionale per le liste d’attesa e l’obbligo per le regioni di attivare sistemi CUP unici, ma restano ancora da sciogliere i nodi relativi allo stanziamento delle risorse per il Fondo Sanitario e per consentire l’annunciata, e auspicabile, abolizione dei tetti di spesa.
I richi di una Sanità “per censo”
Per fare una diagnosi dello stato di salute del nostro SSN, e per favorire ragionamenti su possibili cure, partiamo dai sintomi visibili e pienamente percepiti, già da anni in realtà, dai pazienti. Tra lunghe attese, migrazioni sanitarie, e un sempre maggiore ricorso al settore privato, il SSN di oggi non appare in grandissima forma e assistiamo ad un crescente rischio di avere, anche in Italia, una sanità per censo su cui grava l’inaccessibilità – fisica e/o economica – di molti percorsi di cura. Queste tendenze, già percepite negli ultimi decenni, sono state ulteriormente accentuate dal Covid-19, con indicatori che sembrano raffigurare un sistema di salute ormai, sotto molti aspetti, distante dai principi fondatori del SSN.
I dati Istat e Censis su questo sono lapidari: nel solo 2023 il 42% di pazienti con redditi più bassi (fino a €15.000) ha dovuto procrastinare o rinunciare a cure sanitarie a causa del costo troppo elevato (dato medio nazionale al 29%) e il 51% degli stessi ha rinunciato ad altre spese pur di riuscire a sostenere quelle sanitarie (media nazionale al 37%). Sono inoltre numerosi i casi di “disagio economico” delle famiglie alle prese con la spesa sanitaria, cresciuta del 21% tra il 2012 e il 2022 – una situazione di disagio che, secondo i dati Istat e Crea Sanità, nel 2021 ha riguardato in media il 6% dei nuclei familiari (dato in crescita dello 0,9% rispetto al 2020 e dell’1,5% rispetto al 2019), con picchi dell’8% tra le regioni del Sud. Sempre secondo dati Censis, tra il 2022 e il 2023 ulteriori aumenti di spesa sanitaria di tasca propria sono stati rilevati dal 62% degli italiani, con il 78% degli intervistati che attribuisce questo aumento al “rincaro del costo dei farmaci e delle prestazioni che paga di tasca propria, nel privato puro o nell’intramoenia” e il 65,2% alla “necessità di ricorrere in misura maggiore al privato o all’intramoenia pagando di tasca propria”.
Tentativi di cura: trent’anni e più di riforme
I campanelli di allarme sulla necessità di rivedere e riorganizzare il nostro sistema di cure non sono nuovi, e più volte negli ultimi decenni il decisore politico si è ritrovato – indipendentemente dal colore politico del proprio partito – davanti all’impresa di coniugare le scarse risorse a disposizione con l’ardua impresa di trovare un equilibrio tra la volontà di salvaguardare la natura di fondo del SSN e la necessità di trovare nuove soluzioni che ne consentissero la sostenibilità finanziaria e nel tempo.
Tra le misure più impattanti si ricorda, ad esempio, il processo di decentramento dell’organizzazione sanitaria avvenuto, a partire dagli anni ’90, con l’aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali (diventate, appunto, ASL o AUSL) e delle strutture ospedaliere, nonché la progressiva introduzione di sistemi di finanziamento non più basati sulla remunerazione dei fattori produttivi ma sulle prestazioni effettivamente erogate dalle strutture. Contemporaneamente, è mutata anche la natura giuridica delle realtà deputate alla fornitura dei servizi: il SSN italiano oggi, infatti, fa forte affidamento non solo sulle strutture pubbliche, ma anche sulle strutture private accreditate alle quali, come per il pubblico, la cittadinanza accede gratuitamente o, in alcuni casi, tramite il pagamento di un ticket. Strutture, queste ultime, che si differenziano così dal cosiddetto “privato puro” o dall’intramoenia, le cui prestazioni sono invece a carico del cittadino utilizzatore. Nel 2001 è poi partito il processo di decentramento amministrativo e operativo della salute, con la riforma del Titolo V della Costituzione che ha introdotto il principio di sussidiarietà e il potere legislativo concorrente tra Stato e Regioni in materia di Sanità Pubblica, e, sempre su questa linea, negli ultimi mesi il Parlamento ha ripreso il lavoro sulla cosiddetta Autonomia Differenziata.
L’odissea dei Livelli Essenziali di Assistenza
Per accompagnare questo processo di decentramento e di sostanziale ripensamento della governance sanitaria alla necessità di continuare garantire coesione territoriale e l’elargizione omogenea dei servizi su tutto il territorio, sono stati ideati e istituiti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ovvero l’insieme di prestazioni che devono, quantomeno teoricamente, essere garantiti per tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale dal SSN. In quest’ottica di “regionalizzazione” è stata stabilita anche la coerenza tra le risorse economiche regionali e la spesa sanitaria nazionale, nonché un fondo di perequazione per riequilibrare i differenziali economici tra le Regioni per attuare il principio di solidarietà nazionale.
Lea, una breve cronistoria
Tra i vari strumenti pensati per garantire accessibilità e standard di servizi in un SSN caratterizzato da un considerevole grado di autonomia locale, il più consistente è notoriamente quello dei LEA, il già citato insieme di indicatori costruiti per misurare e monitorare gli standard minimi sotto i quali le regioni – teoricamente – non possono “performare”. Nati nel 2001 per accompagnare il processo di decentramento alle regioni, non sono stati mai aggiornati fino al 2017, anno in cui sono stati destinati 800 milioni di euro a una loro revisione che però ha visto l’ufficialità solo sette anni dopo, nel 2023, quando sono stati approvati i nuovi nomenclatori. Tali novità sarebbero dovute, in prima battuta, entrare in vigore tra gennaio e aprile 2024 ma invece ancora una volta il percorso ha trovato più di qualche ostacolo: nella seduta straordinaria della Commissione Salute del 29 marzo 2024 le regioni e le province autonome, all’unanimità, hanno ritenuto idoneo assecondare un’ulteriore richiesta di proroga al 1° gennaio 2025, anche al fine di valutare una più ampia revisione delle medesime tariffe assicurando nel contempo una graduale transizione al nuovo tariffario.
Complessità metodologiche e operative alla base dello strumento LEA
Questa breve, e semplificata, cronistoria evidenzia (almeno) due complessità metodologiche e operative alla base dello strumento LEA per come è stato originariamente pensato.
La prima riguarda l’individuazione dei servizi e delle terapie da prioritizzare, considerate appunto “essenziali”, e da dover essere garantite uniformemente – un tema particolarmente critico a seguito delle innumerevoli novità derivanti dagli anni del Covid-19 e delle nuove tendenze demografiche e ambientali che incidono sullo scenario sociosanitario a ritmi sempre maggiori.
La seconda concerne l’effettiva capacità di aggiornamento, monitoraggio e di utilizzo dei dati raccolti: come mostrato anche dalle gestazioni pluriennali necessarie per partorire gli aggiornamenti tanto attesi, il sistema dei LEA è infatti caratterizzato da procedure eccessivamente farraginose e burocratiche tanto nei tentativi di modificare gli indicatori quanto nell’effettivo utilizzo dei dati nella valutazione delle prestazioni. Questi ultimi, in particolare, risulterebbero fondamentali non solo nel monitorare gli andamenti degli indicatori e la loro attuazione, ma anche nell’assegnazione di risorse sulla base di esigenze riscontrate e misurate, e non sulla spesa storica – come invece avviene tutt’ora.
Queste due criticità hanno fortemente limitato l’effettiva applicabilità ed efficacia dei LEA nel garantire standard di accessibilità ed equità, con numerose prestazioni – oggi imprescindibili dati i rinnovati contesti sanitari e demografici – che risultano ancora escluse dagli indicatori e, di conseguenza, non garantite alla cittadinanza. Gli ultimi rinvii al nomenclatore, infatti, fanno sì che diversi servizi – tra cui le prestazioni di procreazione medicalmente assistita, quelle per la diagnosi o il monitoraggio della celiachia e dei disturbi alimentari (DCA), gli screening neonatali per alcune patologie, e i presidi e ausili informatici di varia natura e a tecnologia avanzata per le disabilità motorie – non saranno ancora disponibili per tutti i cittadini italiani.
Allo stesso modo, anche la lista di indicatori “core” attende ancora di essere aggiornata e integrata, presentando numerose lacune non colmate. Tra queste, particolarmente urgente è l’aggiunta di indicatori che misurino l’aderenza terapeutica nel corso delle cure, i tempi di attesa al pronto soccorso e per il ricovero ospedaliero, e alcuni aspetti cruciali in ambito prevenzione quali le somministrazioni vaccinali nella popolazione adulta e fragile e gli screening sull’obesità.
Condivisione di dati e nuovi servizi digitali, per aiutare la cura del SSN
Se un ripensamento degli strumenti organizzativi e delle procedure burocratiche è ormai una necessità evidente e inderogabile, allo stesso modo la radicale trasformazione digitale avvenuta, grazie al Covid-19, anche della nostra pubblica amministrazione, offre ulteriori opportunità di efficientamento che non possono essere trascurate. Tanto gli strumenti di monitoraggio, quanto quelli per l’assegnazione di risorse, potrebbero oggi infatti giovare dell’immensa quantità di dati che si stanno raccogliendo, in modo da sviluppare procedure, ed esiti, molto più efficienti e tarati sulle reali esigenze di salute.
- Con risorse complessive sempre risicate a fronte di sfide sociosanitarie ancora più varie e mutevoli, è infatti imprescindibile cogliere le novità date dagli strumenti digitali sempre più efficaci e diffusi, come anche dalle banche dati sempre più ampie e omnicomprensive. Queste, infatti, offrono l’opportunità di ripensare il modello di funzionamento dei LEA così come di tutta la programmazione sanitaria, favorendo la transizione da un sistema basato su dati storici a uno incentrato su rilevazioni in tempo reale e in costante aggiornamento. In altre parole, modelli che riescano a cogliere le esigenze della popolazione e a poggiare, su esse, la programmazione sanitaria e finanziaria. Tali sistemi consentirebbero inoltre un meccanismo di monitoraggio efficiente, che è la principale garanzia nei riguardi del cittadino del completo soddisfacimento degli standard da parte della Regione in cui risiede, e di conseguenza, dell’equità di erogazione dei servizi su tutto il territorio italiano.
- Un piccolo passo avanti in questa direzione è stata data dall’introduzione del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), il nuovo meccanismo dei LEA concepito come uno strumento flessibile in grado di adattarsi dinamicamente alle priorità di salute della popolazione e alle strategie di politica sanitaria del SSN. Questa adattabilità dovrebbe tener conto anche delle innovazioni e delle priorità emergenti, come quelle previste dal PNRR, ma anche delle numerose nuove potenziali opportunità in termini di monitoraggio e reperibilità di dati derivanti dal processi di HTA (Health Technology Assessment) e dal Fascicolo Sanitario Elettronico, come anche dalle terapie fatte in modalità digitali e a distanza.
- Riguardo a queste ultime, ad esempio, i divari e il distanziamento sociale che abbiamo sperimentato negli ultimi anni hanno reso ancora più pressante l’urgente necessità di adottare soluzioni e misure digitali non volte a sostituire di quelle fisiche, ma per favorire e facilitare l’accesso alle cure e ai trattamenti, attenuando il rischio di perdere il contatto tra i cittadini e i loro medici, e alleggerendo il flusso di presenze che rischiano di appesantire le attese nelle strutture ospedaliere.
Oltre ad agevolare, in alcuni casi, l’accessibilità fisica alle cure, l’adozione graduale di tali nuovi sistemi e tecnologie dovrebbe inoltre consentire di integrare dati, informazioni e percorsi terapeutici dei cittadini. Queste novità, impensabili solo pochi anni fa, potranno potenzialmente trasformare i sistemi di monitoraggio e di aggiornamento degli indicatori, rendendoli così realmente rappresentativi e coerenti con la realtà.
Una cura a lungo termine per il futuro del SSN
In un mondo profondamente mutato, in cui occorre fare i conti con le esigenze di una società che presenta sfide inimmaginabili non solo ai tempi della nascita del nostro sistema di welfare, ma anche solo pochi decenni fa, l’assetto iniziale del SSN affronta una fase di evidente crisi tanto che anche l’inerzia con cui si è deciso di rimandare ogni progetto di riforma complessiva risulta oggi non più sostenibile. A destare preoccupazione non sono più soltanto gli annosi problemi, ormai diventati “tipici”, del nostro servizio sanitario (dalle liste di attesa ai posti letto insufficienti, dal sottofinanziamento al mancato rinnovamento di strutture e attrezzature), ma anche l’assetto stesso che oggi fatica a tenere insieme i principi di universalismo, di equità e di sostenibilità.
A questo si aggiunge l’attuale incertezza sull’effettiva operatività dei tanti investimenti provenienti dal PNRR e su come queste si dovrebbero integrare non solo con i servizi già esistenti, ma anche con l’insieme di operatori e professionisti del SSN.
Il problema occupazionale nel settore sanitario
Il tema occupazionale in ambito salute rimane infatti uno dei nodi irrisolti anche dal PNRR, che non prevede assunzioni per un settore che tuttavia, tra le altre urgenze, vede anche una forza lavoro sempre più esigua e meno attrattiva per le nuove generazioni. Secondo le ultime evidenze, emerge infatti che oltre il 40% dei camici bianchi non sia soddisfatto della propria situazione professionale e che, la prima volta nella storia del SSN, il settore pubblico non è più la prima scelta dei professionisti in quanto molti giovani sono sempre meno disposti ad accettare condizioni di lavoro dure e poco gratificanti, preferendo destinazioni estere o cliniche private. In quest’ottica, il recente Decreto Legge approvato dal Consiglio dei ministri apre indubbiamente a prospettive interessanti, con l’annuncio dell’incremento del 15% in spesa per il personale (articolo 5) e del superamento dal 2025 del limitante tetto di spesa a favore di un meccanismo legato alla programmazione delle aziende sulla base di un fabbisogno standard di personale sanitario. Su questi ultimi aspetti, in particolare, bisognerà attendere maggiori informazioni e, soprattutto, la definizione delle risorse necessarie che andranno stanziate.
La necessità di un dibattito maturo sul futuro del SSN
Questa breve analisi sullo stato di salute del nostro sistema di cure evidentemente non ambisce a fornire tutte le soluzioni né tantomeno pretende di essere completo. Piuttosto, ciò che si intende evidenziare, è l’urgenza di avviare un dibattito maturo, sincero, che superi i preconcetti, sul futuro del nostro SSN. Un dibattito che tenga insieme tutti gli attori del settore, e che riconosca nella salute non solo una voce di spesa del bilancio per la quale occorre un radicale intervento di efficientamento, ma anche un’opportunità di crescita per il benessere della società tutta in un’ottica di inversione dei paradigmi attuali, e con il superamento dell’attuale approccio supply-oriented basato su tetti e vincoli calcolati su valori storici a favore di una maggiore attenzione alla domanda e a come questa è fortemente mutata negli anni per via delle trasformazioni demografiche e sanitarie.
Conclusioni
Un nuovo paradigma, dunque, che preveda servizi di cura che vadano oltre la mera offerta clinica e verso un’integrazione con la presa in carico delle esigenze sociali che sia al contempo accompagnata da una riorganizzazione delle prestazioni e delle terapie, adeguandoli all’attuale trasformazione dei bisogni, delle aspettative e soprattutto alle numerose nuove opportunità date dall’evoluzione tecnologica.