In Emilia Romagna per contrastare la pandemia da Sars-Cov-2 è stata progettata e realizzata la piattaforma Big Data DAFNE sulla sorveglianza epidemiologica, alimentata in tempo reale non solo con dati provenienti dalle Aziende Sanitarie (posti letto, esiti dei tamponi, ricoveri) ma anche con altri dati come, ad esempio, quelli relativi alla mobilità.
DAFNE, dal greco antico, significa “alloro”, simbolo dei trionfatori: fin da subito è stato chiaro che dati e algoritmi avrebbero potuto fornire elementi essenziali a supporto delle decisioni operative e strategiche degli organi politici durante la pandemia. Purtroppo, i modelli di raccolta dati sviluppati in precedenza servivano tendenzialmente a gestire dati amministrativi, economici, di qualità, di appropriatezza ed efficienza finalizzati alla rendicontazione del Sistema Sanitario Nazionale ma poco avrebbero potuto fare nella gestione dell’emergenza e di dati real time.
L’utilizzo di tecnologie basate sulla gestione dei Big Data ha permesso di integrare molteplici informazioni eterogenee sulla piattaforma DAFNE così da ottenere un quadro più “realistico” della complessità della situazione regionale. Gli organi istituzionali possono quindi basare le loro decisioni su informazioni realistiche e diversificate, oltre che rappresentate nel modo a loro più congeniale.
Come la piattaforma DAFNE ha sciolto il nodo “privacy”
La piattaforma DAFNE può fornire elementi utili non solo alle strutture sanitarie e sociosanitarie, ma anche alla protezione civile, agli organi nazionali, ai municipi e potenzialmente a tutti i cittadini. Il quadro complessivo deve garantire funzionalità dedicate e specifiche per ciascun interlocutore correttamente profilato, nel pieno rispetto del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, il GDPR regolamento (UE) n. 2016/679.
La privacy rappresenta un ostacolo al perseguimento di esigenze collettive come, ad esempio, quelle di sanità pubblica, perché limita le potenzialità di uno strumento come la piattaforma DAFNE?
Facciamo un esempio: il contact tracing, o tracciamento dei contatti, è uno strumento ormai consolidato in sanità pubblica, specialmente in epidemiologia, con un metodo già comunemente usato nei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali per malattie infettive come la tubercolosi e il morbillo. Il contact tracing “tenta” di tenere traccia di tutti i contatti di un caso confermato, per monitorarli e verificare la possibile infezione: l’obiettivo è fermare il contagio di una malattia facilitando, trovando e isolando i casi già infettati. Ma il contact tracing non è l’unico strumento adottabile: gli si sono affiancati lo screening o i test mirati.
Il contact tracing “tradizionale” può essere rilevato dagli operatori dei servizi di sanità pubblica e le informazioni possono concorrere efficacemente all’alimentazione di DAFNE nel pieno rispetto della normativa privacy in essere: se un soggetto racconta nell’intervista fatta dalla sanità pubblica i propri movimenti più recenti e con quali e quante persone ricorda di essere entrato in contatto, queste informazioni saranno così registrate. Ovviamente, quando i numeri crescono, non si riesce più a “rincorrere” questo tracciamento “manuale” e forse qui la tecnologia potrebbe dare una mano.
In Italia il Garante della Privacy ha supportato e guidato la scelta legislativa in favore di un sistema di contact tracing unico a livello nazionale, fondato su dati di prossimità, attraverso un’apposita applicazione da utilizzare sugli smartphone, la app Immuni, ed ha permesso così una tracciatura dei contagiati da coronavirus. In questo caso si parla di digital contact tracing: il sistema è fondato su dati di prossimità dei dispositivi anziché sulla “più invasiva” geolocalizzazione e non è possibile utilizzare queste informazioni integrandole su DAFNE. I risultati di tale strategia sono visualizzabili nella sezione “i numeri di Immuni”.
In Corea del Sud, il contact tracing parte dalle interviste alle persone testate come infette, ma tali informazioni vengono correlate ad altre informazioni di localizzazione (ad esempio tramite telecamere di sorveglianza, transazioni commerciali) per mappare più accuratamente i movimenti del virus: è evidente che tale metodologia ha diverse criticità circa l’identificazione fisica degli stessi cittadini e degli aspetti di riservatezza della privacy (eccessivi o no nella situazione attuale?). Però, la comunicazione alle autorità competenti dei propri spostamenti, nell’arco temporale di interesse, è già un obbligo da parte del cittadino. In ambito digital contact tracing, la Corea del Sud ha utilizzato un’applicazione con geolocalizzazione ed ha integrato queste informazioni nella loro piattaforma di Big Data. La loro azione è stata efficace? A quanto sembra dalle informazioni sui media sembra di sì. La loro strategia di contenimento dell’infezione da SARS-CoV-2 ha portato ad un rallentamento prima della cosiddetta “seconda ondata”.
Per contrastare la pandemia, tutta la Pubblica Amministrazione (PA) italiana si è attivata al meglio delle proprie possibilità per trovare strumenti che possano aiutare gli organi politici a prendere decisioni nel più breve tempo possibile salvaguardando sia i settori economici che sociali. In Regione Emilia-Romagna le strutture sanitarie si sono attivate per rispondere, gestire e contenere la diffusione del virus utilizzando risorse, strumenti e tecnologie a propria disposizione.
Big data e privacy possono coesistere ma occorre trovare un giusto equilibrio tra utilità di uno strumento e messa a disposizione del dato nel rispetto dei principi di liceità, correttezza, trasparenza, limitazione della finalità, minimizzazione dei dati ed esattezza.