i casi

Continuità di cura col digitale, ecco che fanno le Regioni

Il digitale può giocare un ruolo fondamentale nella transizione verso nuovi modelli di cura che richiedono collaborazione tra gli attori del sistema e integrazione di informazioni e servizi. Manca tuttavia una regia coerente e le Regioni provano a guidare la trasformazione con policy specifiche. Ecco qualche esempio

Pubblicato il 25 Giu 2018

Paolo Locatelli

Responsabile Scientifico Osservatorio Sanità Digitale, Politecnico di Milano

Cristina Masella

Responsabile Scientifico Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, Politecnico di Milano

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L’invecchiamento della popolazione, la crescente presenza di pazienti cronici e il conseguente aumento di esigenze dei pazienti dal punto di vista socio-assistenziale, hanno spinto le Regioni ad attuare diversi cambiamenti organizzativi a livello regionale e aziendale. Attraverso l’introduzione di specifiche policy, gli Enti regionali hanno guidato tali trasformazioni, finalizzate alla definizione di Percorsi Diagnostico Terapeutici e Assistenziali (PDTA)[1], utili a seguire e orientare meglio i pazienti nei passaggi da un setting socio-assistenziale a un altro e a favorirne l’empowerment.

Veneto: la cartella clinica unica

Inoltre, nell’ottica di assicurare la continuità assistenziale e ridurre il peso sull’individuo e sulla sua famiglia, il ridisegno dei processi di “presa in carico” del paziente viene affiancato dall’utilizzo delle tecnologie digitali, che supportano i vari attori socio-sanitari coinvolti e seguono il paziente nei vari passaggi. Ad esempio, la Regione Veneto ha previsto la creazione di una cartella clinica elettronica unica per il paziente Adi in tutte le aziende Ulss e la graduale diffusione di dispositivi mobile per alimentare il FSE e per garantire l’accesso remoto ai sistemi informativi per inserire o consultare i dati sul paziente.

Lombardia: FSE e continuità assistenziale

Il Fascicolo Sanitario Elettronico, che si configura come uno dei pilastri della Sanità digitale regionale, rappresenta anche una soluzione potenzialmente utile per assicurare la continuità assistenziale all’interno e al di fuori dei confini regionali. Molte realtà provinciali e regionali hanno fatto passi avanti dal punto di vista dell’attuazione del FSE, ma pochi sono i casi di Regioni che sono state capaci di raggiungere consistenti livelli di utilizzo per tutti i tre utenti principali di questa soluzione: cittadini, Medici di Medicina Generale/Pediatri di Libera Scelta (MMG/PLS) e aziende sanitarie. Una Regione che avendo storicamente investito nella digitalizzazione del Sistema Sanitario è riuscita a ottenere soddisfacenti livelli di utilizzo del FSE è ad esempio la Lombardia: secondo i dati pubblicati sul sito dell’AgID, i cittadini che hanno attivato il FSE sono il 66% dei residenti della regione e il 46% di questi lo ha anche utilizzato. La Lombardia ha inoltre inserito il FSE nel nuovo sistema digitale per gestire i pazienti cronici, facendo leva sul Sistema Informativo Socio Sanitario (SISS), sul call center regionale e su alcune soluzioni regionali condivise tra le aziende sanitarie pubbliche. Sono inoltre state definite delle linee di indirizzo per le piattaforme di presa in carico che possono essere seguite sia dalle aziende sanitarie pubbliche sia da quelle private. Utilizzando tale ecosistema, la Regione ha avviato i nuovi percorsi di presa in carico dei pazienti cronici e fragili, coinvolgendo MMG/PLS e organizzazioni sanitarie e sociali. L’adesione dei pazienti porta all’individuazione di un “gestore” che seguirà il paziente e lo supporterà nell’attuazione del piano terapeutico, inserito all’interno di un Piano di Assistenza Individuale (PAI) e integrato all’interno del FSE.

Toscana, Emilia Romagna, Trento: FSE potenziato

Oltre al tema delle cronicità, la spinta normativa relativa all’integrazione delle informazioni contenute nel FSE sta portando a superare i confini del nucleo minimo previsto dal DPCM, per liberare il potenziale del FSE come strumento a supporto della presa in carico. Ad esempio, le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna hanno valutato l’introduzione nel FSE di elementi aggiuntivi, quali la dichiarazione anticipata di trattamento relativa al testamento biologico. Mentre la Provincia Autonoma di Trento si è mossa attraverso l’integrazione del FSE con le piattaforme di Telemedicina o con piattaforme per la promozione di stili di vita sani e che, anche attraverso approcci orientati alla gamification, coinvolgono i cittadini.

Regioni, ospedali e territorio

In linea con la sempre maggior attenzione delle Regioni italiane a favore dell’integrazione tra ospedale e territorio, anche le aziende sanitarie hanno sempre più l’esigenza di scambiare tempestivamente le informazioni sui pazienti con gli altri attori del sistema. Secondo i dati dell’Osservatorio, le soluzioni che abilitano l’interscambio di dati e documenti sui pazienti attraverso PDTA informatizzati sono tuttavia ancora poco diffuse: il 29% delle aziende le utilizza con professionisti sanitari dell’azienda ospedaliera, appartenenti a diverse unità operative/dipartimenti, e il 23% con professionisti all’interno di una o più reti di patologia. Le principali aree terapeutiche in cui sono attivi tali PDTA informatizzati sono quella diabetologica (84%), cardiologica (68%), oncologica (63%), e neurologica (47%). Allo stesso modo, solo il 19% dei Medici di Medicina Generale ha attivo un flusso informativo che rientra nell’ambito di un PDTA.

Telemedicina, servizi ancora poco diffusi

Tra le altre soluzioni che consentono di integrare ospedale e territorio ci sono anche i servizi di Telemedicina: si stima che nel 2017 le strutture sanitarie italiane abbiano investito circa 24 milioni di euro in questo ambito (in aumento rispetto ai 20 milioni dello scorso anno), ma, nonostante ormai si parli di Telemedicina da molti anni, solo il 38% dei Direttori delle aziende sanitarie italiane lo reputa come un ambito molto rilevante. Si rileva una sostanziale stabilità rispetto al livello di diffusione dei servizi: quello maggiormente diffuso, con soluzioni a regime in circa un terzo delle aziende del campione, è il Teleconsulto tra strutture ospedaliere/dipartimenti. Ancora poco diffusi, invece, i servizi di Telesalute e Teleassistenza, presenti soprattutto con progetti pilota. Allo stesso modo, la percentuale di medici specialisti e MMG che utilizza soluzioni di Telemedicina risulta limitato: il Teleconsulto è il servizio più utilizzato (rispettivamente dall’11% dei medici specialisti e dal 4% dei MMG), mentre faticano a diffondersi i servizi che coinvolgono il paziente, come quelli di Telesalute (rispettivamente 7% e 2%) e Teleassistenza (5% e 4%), nonostante livelli di interesse all’utilizzo sempre superiori al 50%.

Presa in carico stabile del paziente, l’informatizzazione stenta

Il supporto informatico alle attività di presa in carico del paziente risulta diffuso soprattutto per le attività gestionali e amministrative, quali ad esempio la gestione dei dati anagrafici dei pazienti, supportata in modo diffuso nell’80% delle aziende, e la gestione delle agende e prenotazione delle prestazioni (63%). L’informatizzazione stenta, invece, a diffondersi come strumento per la messa in atto di percorsi individualizzati secondo il principio della presa in carico stabile del paziente: solo un terzo del campione di aziende rispondenti utilizza un supporto digitale nella definizione, visualizzazione e aggiornamento di piani di assistenza individuale. Analizzando il punto di vista dei medici specialisti rispondenti, rispetto all’utilizzo di tali soluzioni, essi dichiarano di fare un utilizzo frequente (almeno una volta a settimana) di strumenti per la gestione dei dati anagrafici (68%) e delle agende (44%), mentre solo una minoranza utilizza ad oggi soluzioni per il monitoraggio degli sviluppi clinici e sociali del paziente (24%) o, ancor meno, per la raccolta di feedback degli assistiti (17%).

Le barriere all’uso del digitale

Solo il 9% dei MMG, inoltre, utilizza strumenti informatici per redigere il Piano di Assistenza Individuale da condividere poi con il paziente, anche se ben il 69% si dichiara interessato a utilizzarlo. Sempre secondo i MMG le barriere all’uso di strumenti digitali sono principalmente legate alle risorse: il 15% ritiene che l’attuale disponibilità di tempo e di risorse umane consenta di effettuare la prenotazione online di una prestazione all’atto della prescrizione; la maggior parte (63%) pensa che questo sia praticabile solo ad alcune condizioni, principalmente legate alla presenza di personale di studio dedicato (64%) e alla valorizzazione economica del compito (61%).

Complessivamente dagli operatori sanitari ai vari livelli emerge una crescente consapevolezza che le soluzioni digitali potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel supportare la transizione verso nuovi modelli di cura che, per loro natura, richiedono collaborazione tra gli attori del sistema e integrazione di informazioni e servizi. La diffusione di tali soluzioni, tuttavia, stenta oggi a realizzarsi perché manca un’orchestrazione coerente dello “switch off” digitale e perché oneri, rischi e benefici attesi dall’introduzione di nuovi strumenti e modalità di lavoro non sono percepiti come ripartiti equamente fra gli attori del sistema.

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  1. Il Piano Nazionale per il Governo delle Liste d’Attesa 2010-2012, caratterizza i PDTA come “una sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello ambulatoriale e/o di ricovero e/o territoriale, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti (oltre al paziente stesso), a livello ospedaliero e/o territoriale, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia più adeguate per una specifica situazione patologica”.

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