L’allarme lanciato dall’OMS per il potenziale scoppio di un’epidemia di vaiolo delle scimmie – numerosi casi si sono verificati in Italia, Inghilterra, Portogallo e Spagna, Germania e Canada che non sono collegati a viaggi in paesi in cui la malattia è endemica e che, quindi, testimoniano l’esistenza di una catena di trasmissione locale – ci ricorda che, mentre da un lato stiamo ormai superando la pandemia da Covid 19, la pressione dei virus sull’ecosistema umano è sempre forte e pericolosa.
Per combattere queste minacce servono, pertanto, modelli di analisi e di previsione che riescano a prevenire i salti di specie dei virus e che riescano ad individuare in anticipo i potenziali pericoli.
I sistemi di early warning
È necessario quindi dotarsi di sistemi di early warning, ossia sistemi di sorveglianza che raccolgono dati sull’insorgenza di focolai epidemici con l’obiettivo di attivare rapidamente delle risposte adeguate. Questi sistemi non applicano metodi statistici perché l’intervallo di osservazione deve essere breve e non si può aspettare che i dati siano abbastanza numerosi da avere una validità statistica. Occorre avere la capacità di estrarre dai dati delle tendenze, quando ancora queste non hanno assunto una significatività statistica, e soprattutto riuscire a cogliere le concentrazioni spaziali di questi dati al fine di individuare sul territorio quegli addensamenti anomali che possono essere indicativi dell’insorgenza di un focolaio
Al fine di raggiungere questi obiettivi è necessario sviluppare indicatori e individuare soglie specifiche che forniscano dei valori di warning per attivare gli interventi. Le soglie possono essere espresse in valori assoluti o relativi in relazione al tipo di focolaio che si vuole prevenire. Per queste soglie nel caso di malattie non endemiche si utilizzano valori assoluti (ad esempio vaiolo, ebola o rabbia nei paesi occidentali), mentre si utilizzano valori relativi per le malattie endemiche e si vanno a guardare gli scostamenti dalle medie settimanali o mensili.
Il vero problema, soprattutto nelle fasi iniziali che, però, sono quelle più importanti per fermare in tempo le epidemie è distinguere l’insorgere di un focolaio da una semplice fluttuazione statistica nel caso soprattutto delle malattie endemiche, perché ovviamente nel caso di malattie non endemiche dovrebbe bastare l’insorgenza di un singolo caso a determinare un warming ed una risposta.
Il precedente della Sars
Nel 2003 la Sars venne fermata grazie all’intuizione di Carlo Urbani che comprese immediatamente che alcune manifestazioni patologiche potessero essere riferite ad una nuova forma di malattia, potenzialmente pandemica e attivò un meccanismo di risposta rapido che riuscì a bloccare la malattia. Una lungimiranza simile non si verificò nel caso del Covid 19, anzi le autorità cinesi nascosero i casi e ritardarono la risposta ponendo le basi per la pandemia che ancora oggi non siamo riusciti a vincere. La mancata attivazione di una risposta rapida ha causato centinaia di milioni di malati e milioni di morti.
Se fino a pochi anni fa ci si doveva basare solo sull’intuizione di esperti come Carlo Urbani, oggi avremmo a disposizione degli strumenti tecnologici che possono permettere di individuare precocemente e di contenere l’insorgere di una epidemia.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale
In questo senso grazie all’utilizzo di tecniche di intelligenza artificiale oggi siamo in grado di produrre modelli predittivi capaci di evidenziare la probabile evoluzione dell’epidemia individuando in anticipo i contesti territoriali o i settori che sono maggiormente suscettibili di sviluppare cluster e focolai. Questa previsione può essere realizzata facendo processare agli algoritmi non solo i dati epidemiologici e le caratteristiche della diffusione del virus, ma inserendo all’interno del database anche dati sulla mobilità, sui trasporti, sulle condizioni atmosferiche e sull’inquinamento dell’aria, sulle modalità organizzative del lavoro nei diversi settori e infine sulle caratteristiche urbanistiche dei diversi contesti.
L’intelligenza artificiale può anche essere usata per individuare quei virus che hanno maggiori probabilità di fare il salto di specie. Alla Georgetown University, ad esempio, hanno iniziato a preoccuparsi del vaiolo dei topi. Il virus, che è stato scoperto nel 1930, si diffonde tra i topi, uccidendoli con spietata efficienza, ma fino ad ora non era stato considerato una minaccia reale per gli esseri umani. Utilizzando l’intelligenza artificiale gli scienziati hanno setacciato grandi quantità di informazioni sulla biologia e l’ecologia degli animali ospiti dei virus, nonché sui genomi e su altre caratteristiche rilevanti dei virus. Come risultato di queste analisi gli algoritmi hanno inaspettatamente messo il virus del vaiolo dei topi ai primi posti tra gli agenti patogeni che possono causare gravi epidemie. Cercando nella letteratura medica si è, poi, trovato il riscontro di una epidemia dimenticata che si era verificata in Cina nel 1987 e che era stata causata proprio dal virus del vaiolo dei topi.
Conclusioni
Fino ad oggi sono stati individuati circa 250 virus che hanno compiuto il salto di specie. Riconoscere il prossimo spillover prima che inizi a diffondersi sarebbe importante. Ma i virus animali sono troppo numerosi per essere studiati approfonditamente. Infatti, sono stati identificati più di 1.000 virus nei mammiferi, ma molto probabilmente questa è solo una piccola parte del loro numero reale.
Altri ricercatori hanno provato a stilare una classifica delle specie di animali, nello specifico i roditori, che potenzialmente hanno una maggiore probabilità di essere veicolo di virus pericolosi e hanno individuato in cima alla lista il topo cavalletta. Mentre altre linee di ricerca hanno basato l’individuazione di virus potenzialmente pericolosi a partire dall’analisi dei geni. Si è cercato, quindi, di insegnare a un computer a riconoscere le caratteristiche dei geni che possono render il virus pericoloso per l’uomo. Con questo metodo sono state individuate 272 specie di virus ad alto rischio di diffusione, sempre troppe per essere studiate e monitorate.
Queste metodologie sono molto promettenti, ma il loro sviluppo è ancora in fase embrionale. Al contrario come si è potuto vedere i rischi sono numerosi e variegati. Investire in queste ricerche è sicuramente un’ottima strategia di difesa per evitare di doverci di nuovo trovare a combattere un nuovo virus a mani nude!