medicina

Il mondo degli exergames: cosa sono, effetti positivi e controindicazioni

L’exergaming si presta tanto alla riabilitazione fisica quanto a quella cognitiva. Si rivolge a platee eterogenee di persone ed è oggetto di considerazione di diverse branche della medicina. Approfondiamo i molti aspetti di questo nuovo genere conosciuto anche come active games

Pubblicato il 19 Gen 2023

Marco Lazzeri

Cyberpsicologo e formatore della didattica innovativa, esperto in realtà virtuale

Zara Porzia

Psicologa dello sport e psicoterapeuta

exergames VR

Il termine exergaming è un vocabolo di origine inglese usato per indicare una categoria di videogames che è esplosa dopo la comparsa della Nintendo Wii. Questo nuovo genere, conosciuto anche come active games,  si riferisce a un ambito videoludico in cui l’attività fisica viene utilizzata come dispositivo di input.

Nato allo scopo di rovesciare uno degli stereotipi che affliggono i videogiochi (vale a dire la promozione dell’attività sedentaria e della pigrizia), incentiva uno stile di vita attivo e dinamico.

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Gli effetti positivi dell’exergaming

Attraverso un alternarsi di tentativi ed errori l’utente, grazie alla rilevazione dei propri movimenti del corpo, combinati con l’ausilio di biofeedback visivi, viene portato ad esplorare innumerevoli strategie fino a trovare quella corretta che lo porta a completare il livello. Il training neuromotorio che si compie induce, allo stesso tempo, una modificazione della plasticità del cervello portando in breve al ripristino o creazione di corretti modelli motori.

Mente e corpo vengono messi quindi in fortissima relazione. Fruibili da tutti, gli exergames si offrono a un target ampio. Si va dal bambino in fase di sviluppo fino ad arrivare all’anziano che, se stimolato al movimento in maniera coinvolgente, trae benefici riabilitativi e cognitivi.

Gli studi scientifici

Alcuni ricercatori dell’Union College, in uno studio apparso in Frontiers in Aging Neuroscience, hanno dimostrato che attraverso la pratica degli exergames, sia possibile rallentare il Mild Cognitive Impairment (Mci) ovvero quel lieve decadimento cognitivo precursore dell’Alzheimer.

Nella ricerca svolta furono coinvolti più di 100 anziani con un’età media di 78 anni e divisi in due gruppi. Al primo gruppo veniva richiesto di svolgere un exer-tour mentre al secondo gruppo veniva richiesto di svolgere un exer-score, attività anche cognitivamente impegnativa. La prima attività richiesta consisteva nel pedalare su una cyclette tradizionale dove appariva su uno schermo l’avatar di un ciclista situato lungo una pista ciclabile panoramica. La veloce progressione dell’avatar dipendeva dalla pedalata dell’utente stesso.

La seconda mansione suggerita richiedeva alla persona non solo di ripetere la stessa attività dell’exer-tour, ma di giocare anche a un videogame in cui si dovevano inseguire dei draghi e conseguire delle monete in uno spazio d’azione di ben 360 gradi.

Il fine ultimo del videogioco era quello di segnare più punti possibili. Ogni gruppo doveva praticare l’attività di exergaming con regolarità per la durata di 6 mesi.

I risultati dei test

I risultati ottenuti dai due campioni vennero poi confrontati con le risposte di altri due gruppi di anziani che giocavano a un videogame su un computer e da un altro che invece si affaticava con la cyclette.

Nonostante gli stessi ricercatori ammettano che sia necessario un più esteso studio controllato randomizzato (Rct, dall’inglese Randomized controlled trial) per confermare i risultati, al termine della sperimentazione clinica i due gruppi di partecipanti presentavano una funzione esecutiva migliore, determinante per il processo decisionale e il multitasking.

Ricerche effettuate in ambito cognitivo hanno dimostrato come, giocare agli exergames, migliori anche le performance scolastiche. A livello cognitivo, per esempio, vengono stimolati alcuni aspetti quali l’attenzione, la consapevolezza spaziale o la comprensione delle relazioni causa-effetto.Oltre all’ambito cognitivo la pratica degli exergame ha comportato effetti benefici anche a livello sociale.

Alcuni studi hanno dimostrato infatti come la pratica degli exergames in ambienti di gruppo ha portato a un incremento dei legami amicali e una decrescita del pericolo di isolamento sociale.

Le applicazioni pratiche

Viste le diverse proprietà benefiche confermate dai vari studi, lo stato del Michigan ha introdotto nel 2003 il videogioco Dance Dance revolution all’interno del proprio programma scolastico. Praticare exergaming in realtà virtuale (VR), come nel caso di Beat Saber, ha dimostrato come gli ambienti immersivi possano distrarre gli utenti dallo sforzo fisico dell’esercizio motivandoli parallelamente a continuare a giocare.

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Le controindicazioni

Sebbene ci siano degli evidenti benefici negli exergaming in VR, è comunque utile identificare anche gli effetti negativi che ne limitano il potenziale e la sua continua diffusione. A tal proposito, presso  l’Università dell’Australia Meridionale, è stato recentemente svolto uno studio volto a investigare la cybersickness, una sorta di “cibernausea” in 36 partecipanti che utilizzavano Beat Saber per sessioni di 10 e 50 minuti. Diversi sono stati i criteri analizzati: l’accomodazione, la vergenza, la velocità decisionale, la velocità di movimento e alcuni aspetti della cinetosi digitale valutati in tre precisi momenti: prima dell’esperienza con la VR, immediatamente dopo l’immersione in VR e 40 minuti dopo la sessione in VR. Dai risultati della ricerca è emerso che Beat Saber è stato ben tollerato.

I punteggi ottenuti tramite il Simulator sickness questionnaire (Ssq) sono aumentati immediatamente dopo VR ( F 1,35 = 26,515; P <0,001) ed erano significativamente più alti per le esposizioni lunghe rispetto a quelle brevi ( t35 = 2,807; P = 0,03), ma non ci sono state differenze nella durata dell’esposizione nel periodo tardivo del test, con i punteggi che tornavano ai livelli basali. Solo il 14% dei partecipanti ha riportato ancora alti livelli di malattia nel periodo di test avanzato dopo aver giocato 50 minuti di Beat Saber.

Il potenziale analgesico

Dal suo iniziale utilizzo esclusivo nella ricerca, la realtà virtuale ha dimostrato quindi di poter essere utilizzata anche in altri ambiti: clinico (per la cura di fobie specifiche e non solo), sportivo, riabilitativo, formativo, nonché ospedaliero come nel caso di  SnowWorld.

SnowWorld, sviluppato presso l’Università di Washington in collaborazione con Harborview Burn Center, è stato il primo software VR immersivo progettato specificamente per la riduzione del dolore. Esso sposta la concentrazione del paziente lontano dal dolore in un ambiente gelido e virtuale inondato di blu e bianchi freddi, dove il loro unico compito è lanciare palle di neve a un gruppo di pinguini e di pupazzi di neve che avanza all’infinito. Potrebbe sembrare sciocco, ma i risultati parlano da soli: i pazienti ustionati hanno avvertito dal 35% al 50% di dolore in meno quando sono stati immersi nella VR, circa la stessa riduzione di una dose moderata di antidolorifici oppioidi.

Oltre a ridurre la quantità di dolore, la distrazione in VR sembra modificare il modo in cui il cervello elabora i segnali in arrivo dai recettori del dolore. I pazienti immersi in SnowWorld non solo hanno riportato meno dolore sulla scala soggettiva del dolore, ma hanno anche mostrato circa la metà dell’attività cerebrale correlata al dolore mentre erano immersi in SnowWorld.

Il team di ricerca ha analizzato le scansioni cerebrali di pazienti con e senza VR, dimostrando che i recettori del dolore nel cervello sono molto meno attivi durante la VR.

Bibliografia

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