Lo scenario

Fascicolo Sanitario Elettronico, ecco tutti i problemi e come risolverli

Il FSE è un’innovazione di Sanità digitale che tutti invidiano all’Italia. Eppure, tra le regioni non è ugualmente sviluppato, con la conseguenza di prospettive future poco rosee per il progetto. La soluzione è porre il cittadino al centro, attraverso informazione e semplificazione

Pubblicato il 04 Nov 2019

Walter Arrighetti

Esperto in Identità Digitali, consulente AGID, docente di Cybersecurity presso John Cabot University

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Il fascicolo sanitario elettronico è un’eccellenza dove funziona bene; ma la sua diffusione e implementazione non è uguale in tutte le regioni. Dopo anni di lavoro, la situazione rischia di condurre a un’implosione del progetto e a una perdita di fiducia da parte dei cittadini.

Che sia un problema l’ha riconosciuto anche un referente del MEF all’evento ForumPA Sanità del 29 ottobre. Dove sono emersi i dati secondo cui solo il 7% dei cittadini lo utilizza e il 47% non sa nemmeno che cosa sia il fascicolo.

FSE, perché è un’eccellenza

Eppure, di per sé, l’FSE è una gemma di un’Italia digitale che si trova al quintultimo posto nell’Index DESI e forse al penultimo dopo la Grecia nell’indice DPS (Digital Publics Services) che misura lo stato dei servizi on line forniti dallo Stato ai cittadini. In breve: è una delle poche innovazioni che ci invidiano assieme alla creatività dei nostri piccoli imprenditori e alla bravura dei nostri giovani neolaureati. Questo strano oggetto in rete costruito dalle Regioni italiane (e soprattutto dalle loro aziende ICT in House) è una formidabile innovazione per tutto il welfare sanitario del vecchio continente.

Qualcosa di cui finalmente possiamo andare orgogliosi. Infatti soltanto la Svezia, l’Austria, qualche regione della Spagna come la Catalogna e la Provincia di Valencia e pochi altri paesi europei, hanno uno strumento paragonabile, per complessità e apertura al mondo del cittadino-paziente, al nostro FSE. La stessa Gran Bretagna, apripista dell’eHealth europea con il suo progetto Connecting for Health, si è fermata prima del Personal Health Record, l’equivalente del Fascicolo Sanitario italiano. Alcuni sistemi sanitari della Comunità Europea hanno sviluppato prodotti tecnologici di rete analoghi, ma di limitatissimi coinvolgimento e interazione con il cittadino: si tratta, in genere, di Patient Summary in rete per la condivisone dei dati clinici tra operatori sanitari e, soprattutto, tra medici di base e medici specialisti.

L’FSE italiano, quello ormai attivo in diverse regioni del Nord – che secondo AgID ha già coinvolto 12-13 milioni di italiani – e in fase di espansione nel centro e nel sud della Penisola, non è una cartella clinica elettronica, ma un progetto di raccolta, conservazione, condivisione e elaborazione intelligente dei dati individuali di salute della persona. È una storia clinica personale in rete, protetta e disponibile per il cittadino che decide con chi condividerla, avvalendosi dei diritti sanciti dalle leggi a tutela della privacy. Una piccola rivoluzione citizen centered introdotta da un lento ma costante lavorio di una comunità di innovatori sparsi in più punti del territorio nazionale, nelle diverse realtà regionali e per molto tempo disconosciuto dalla politica e dalla burocrazia pubblica. Un po’ come è accaduto per Internet in America negli anni Settanta.

Un’innovazione così potente che l’industria informatica nazionale sta per vendere, con pacchetti di interoperabilità, nel mondo. La tecnologia FSE italiana è stata portata in Francia, in Germania e perfino a Malta e, ci dicono i player del mercato, che presto sfonderà negli Stati Uniti, in Sud America e in Sud Africa. Anche la Cina ci sta copiando con una specie di Fascicolo Socio-Sanitario veicolato dalla telemedicina home care a supporto di un grande programma per gli anziani. L’emergere dei problemi sanitari e sociosanitari della Terza Età è, infatti, una problematica nuova del continente asiatico.

Non ci sono dubbi, quindi sul fatto che l’FSE – nato e cresciuto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila in pensatoi sociologici e in piccoli laboratori sperimentali di Bologna, Lecco e Milano – sia la più importante innovazione della sanità italiana del nuovo secolo. Una rivoluzione vera perché, parafrasando Nicklas Luhmann e Marshall McLuhan, si è posta lo straordinario obiettivo di un radicale cambiamento del sistema comunicativo, del medium, tra gli attori, nel sistema sanitario: i cittadini, i medici e la burocrazia manageriale.

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I problemi

Tutto bene, quindi? No e sì al tempo stesso. No, perché siamo giunti, dopo quindici anni di lavoro di progettazione fatto in quasi tutte le regioni italiane, sull’orlo di quello che presto potrebbe diventare un orizzonte politico e organizzativo degli eventi. Una specie di buco nero che potrebbe inghiottire tutto facendo perdere ogni credibilità al progetto per disillusione dei cittadini. Un tentativo fallito di entrare nell’era che l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha definito, nel maggio scorso, Connected Care, dove il cittadino sta al centro e può intravedere un diverso futuro per il servizio sanitario italiano ma soprattutto per la protezione della sua salute.

Nonostante le leggi e lo sforzo compiuto da AgID (e recentemente dalla nuova direzione del Sistema Informativo del Ministero della Sanità) per censire con ottimismo la diffusione delle piattaforme tecnologiche regionali di interoperabilità, in grado di assicurare una rapida implementazione e diffusione dell’ESE, la situazione italiana si è stratificata in quattro segmenti:

  • Un gruppo di regioni del centro nord (Lombardia, Emilia Romagna, Trentino,  Valle D’Aosta) hanno gettato storicamente le basi, con modalità assai diverse e con l’intelligente lavoro delle rispettive Società ICT in House, per un utilizzo diffuso dell’FSE tra la popolazione e in ambito medico, superando i due principali scogli burocratici: le norme sulla privacy intese come vincolo amministrativo e quelle che regolano l’accesso ai servizi on line che oggi impongono l’utilizzo di SPID (in assenza dell’identità digitale prevista dal CAD già quattordici anni fa ma non ancora realizzata).
  • A ruota di queste esperienze consolidate, un secondo gruppo di regioni ha anch’esso raggiunto un alto grado di maturità tecnologica e organizzativa per l’FSE – e di intelligenza progettuale – con un fascicolo che ha anche caratteristiche di seconda generazione: Veneto (con il bel lavoro del gruppo progettuale di Arsenal ma anche dal Friuli Venezia Giulia con Insiel),  la Toscana, il Piemonte con il team di CSI; ma anche la Puglia – con Innova Puglia –  il Lazio con Lazio Crea e la Liguria con Liguria Digitale; infine la Sardegna. Queste regioni hanno ormai il Fascicolo e si stanno avvicinando a nuove  soglie.
  • Un terzo gruppo di ‘ritardatari’ che lavorano non da oggi a questa innovazione, ma che per una serie di vicissitudini tecnologiche, organizzative e politiche non sono riusciti ancora a portare il progetto oltre la soglia della realizzabilità (Campania, Umbria, Marche, Alto Adige che ultimamente ha fatto progressi significativi).
  • Infine un quarto gruppo di regioni che, allettato anche da programmi cosiddetti di ‘sussidiarietà nazionale’ (può fare tutto SOGI, società del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ‘fascicolando’ in Patient Summary i dati dei flussi dematerializzati individuali che arrivano a Roma)  non ha ancora un vero Fascicolo o non hanno quasi niente. Si tratta di Calabria, Basilicata, Molise, Abbruzzo. La Campania – che dispone di un buon portale del cittadino realizzato da SORESA – e la Sicilia stanno  raggiungendo  alcuni significativi risultati con un Patient Summary di fasci colazione dei flussi dematerializzati centrali.

Le caratteristiche del FSE: cosa serve per diffonderlo

È però necessario fare qualche precisazione: l’FSE, nonostante il nome – fascicolo, che ricorda tanto una cartella investigativa o giudiziaria – non è un prodotto né tanto meno soltanto un software (‘la piattaforma tech’): è un progetto o un Journey come preferiscono chiamarlo all’Osservatorio ICT del PoliMi. Un progetto non si acquista, si fa, con risorse proprie e di altri, coinvolgendo nel cambiamento gli attori e gli stakeholder (della sanità e anche del welfare). Più esattamente un progetto ha due componenti fondamentali che anche qui non mancano: i protagonisti che lo guidano (ideatori, ProjectManager che in questo caso sono stati quasi ovunque le aziende ICT in House del network Assinter) e le risorse funzionali, tecnologiche, burocratico – organizzative, finanziarie. Va poi aggiunto che l’architettura tecnologica, che è stata alla base del decollo e dell’originalità del FSE in Italia, risulta in sintonia con il mondo Internet di ultima generazione. E questo grazie a un lavoro di comunità svolto da un tavolo Regioni e AgID per cinque anni, tra il 2010 e il 2015; e soprattutto alla nuova cultura eHealth espressa dal gruppo dei progettisti di Lombardia Informatica, Cup2000, Arsenal. Un’architettura decentrata, basata sui repository aziendali e sugli indicizzatori dei nodi regionali, estremamente lungimirante.

Questo ‘tavolo’ si è purtroppo indebolito negli ultimi anni con l’assenza dei ministeri, entrati in campo solo recentemente . Occorre ricordare che  quello della sanità che eliminò l’FSE dal cosiddetto ‘piano Balduzzi’ di riorganizzazione del sistema sanitario, delegandolo all’informatica, con una lungimiranza degna di nota. La recente riproposizione di un’architettura centralizzata a partire dalla delega ‘sussidiaria’ assegnata al MEF dalla legge di stabilità 2016 non ha fatto che ritardare una Road Map di collaborazione interregionale che Assinter Italia aveva promosso con la ‘Carta di Salerno’ del 2016-17. Anche la disposizione per l’attivazione – settembre 2019 – di un portale unico nazionale di accesso all’ FSE non risolve il problema: i nodi regionali possono, tra l’altro, comunicare tra di loro in un’architettura distribuita anche senza un nodo centrale e permettere a un cittadino siciliano che fa un esame medico a Milano di mandare il suo referto nel FSE siciliano. L’FSE non può prescindere da reti eHealth regionali: o ci sono o non c’è un vero FSE per offrire dati e servizi.

L’FSE è citizen centered e si basa su reti generative. In altre parole, non si può dire di averlo realizzato senza mettere al centro il cittadino che lo usa. Non è uno slogan. Tendenzialmente tutti i cittadini utenti del servizio sanitario devono, non obbligatoriamente, poter attivare e personalizzare l’FSE ricevendo i dati del proprio percorso clinico e di salute individuale. È generativo perché non deve includere solo reti pubbliche (i bit di interazione dell’utente con gli operatori del servizio sanitario) ma anche quelle non pubbliche che concorrono al sistema di cure e prevenzione; oltre ai dati auto-prodotti dal cittadino stesso. Spesso ci dimentichiamo del ‘Taccuino’ e di Achille Ardigò che lo inventò e lo propose già nei primi anni, attorno al 2001-2002, in quello strano ma fertilissimo laboratorio di nuove idee che fu per vent’anni Cup200O in Emilia-Romagna.

L’FSE è nato per interagire con i medici. Con il medico di famiglia e con quelli di specialità. Non è una CCE, ma non è immaginabile senza questa interazione on line, in tempo reale. C’è da inorridire quando sentiamo affermare che c’è l’FSE ma manca ancora ‘il collegamento ai MMG e ai pediatri di libera scelta’. Il Patient Summary elettronico – per altro codificato a livello europeo – è nato per stare nelFSE, come tutte le impegnative e le prescrizioni farmaceutiche del medico curante. Si spera che presto la tecnologia Machine Learning e di intelligenza artificiale darà un sostanziale aiuto ai medici di famiglia ‘informatizzati’ per fare e aggiornare milioni di Patient Summary.

Per essere effettivamente attivato il Fascicolo deve avere – come peraltro prevede la legge istitutiva del 2012-13 ampiamente disattesa e mai finanziata – un set minimo di raccolta dati a disposizione del cittadino e un agevole sistema di accesso. In altre parole, se non trovo nel mio fascicolo nemmeno i referti di laboratorio e radiologia e le lettere di dimissioni dall’ospedale, assieme alle prescrizioni del mio medico, non ha senso dichiarare che l’FSE ‘è stato attivato’. È solo una dichiarazione burocratica.

My Page del cittadino

L’FSE è tutt’uno con la My Page del cittadino. Non è una finestrella in qualche ‘portale salute’ di Asl o Regione. È la mia pagina privata, fornitami dal servizio pubblico, che contiene tutti gli indirizzi elettronici della mia storia clinica nel tempo e nello spazio, quindi in una dimensione spazio-tempo della mia vita. O questa pagina me la dà il SSN oppure dovrò prenderla (apparentemente in modo gratuito) da qualche provider privato come Google, Apple o Amazon che già la distribuiscono in rete. In questa dimensione di informazioni dematerializzate riaggregabili nel tempo e nello spazio, l’FSE diventerà, e già in parte è, strumento indispensabile per ogni serio progetto di continuità assistenziale e di presa in carico dei pazienti cronici o con prolungate patologie. Come dice spesso Giuseppe Longo della Bocconi: se questa funzione di alta comunicazione delle informazioni per la presa in carico del paziente non è svolta dal (FSE) pubblico, non meravigliamoci che qualcun altro si faccia avanti. Si fa fatica a pensare ai PAI senza un FSE di continuità assistenziale che aggreghi i dati in modo intelligente per patologia, dalla cura alla strategia preventiva e predittiva. È il motivo per cui i progettisti di ARIA Regione Lombardia stanno mettendo in sinergia comunicativa l’FSE con il PAI.

Nella My Page del’FSE, quella a cui accedo con uno dei vari sistemi o con SPID (e domani, in una forma molto più semplificata!) devo poter trovare i servizi on line della sanità. Quei servizi essenziali che non sono altra cosa dal Fascicolo, come la prenotazione automatica via Web di visite ed esami. In Emilia. il Fascicolo è nato non casualmente dal Cup a dimensione regionale. Pensammo, attorno al 1999-2000, di collegare tutti i medici della regione al Cup (via modem, poi via web) e così, quasi inevitabilmente, ci trovammo a fare il primo FSE che molti di noi hanno attivato fin dal 2007. Cup web, sempre più automatizzato e FSE sono parte della stessa innovazione perché con il servizio automatico di prenotazione si aggregano dati personali (i dati del mio corpo che richiedono un esame diagnostico) con quelli organizzativi del sistema (le agende mediche, le disponibilità dell’Asl). Si generano in questo modo dati organizzativi ‘personalizzati’ (gli orari delle visite di un ambulatorio sono dati organizzativi del sistema, l’orario della mia visita specialistica è un dato solo mio, personalizzato). Un FSE ‘vuoto’ di servizi (cambio e revoca del medico di famiglia, esposizione del referto on line con valore normativo, prenotazione on line, collegamento con le farmacie, ecc..) non ha senso. I servizi essenziali del Fascicolo non esauriscono il rapporto con il mercato produttore naturale di tante App per la salute le quali andranno a popolare sempre più l’FSE maturo. Con quali garanzie di sicurezza? Beh, il pubblico, che realizza un Fascicolo interoperabile con il mondo web, è un po’ un App Store che raccoglie servizi on line ‘certificati’ in modo non discrezionale, cioè con criteri open, esposti, direi perfino co-progettati con il mondo degli innovatori, con le start up. Sennò come facciamo a costruire un progetto di Welfare di Comunità, pluralista e non statalista?

Oggi va di moda parlare dei Big Data. Ma c’entrano con l’FSE? La domanda potrebbe apparire quasi banale. L’FSE non produce un bit (solo gli umani hanno la facoltà di produrre informazioni, le macchine le elaborano, le conservano e le trasmettono), ma ne raccoglie miliardi di miliardi. Dematerializziamo tante informazioni ma non ci siamo ancora posti con serietà l’obiettivo di utilizzare questa massa di dati in un formato liquido. Con un FSE a pieno regime è uno scherzo conoscere il ‘colesterolo della città’ o della regione. Quindi oggi si deve riprogettare CCE e Fascicolo con strumenti e piattaforme tecnologiche di ultima generazione (la tecnologia in uso ha 10 o addirittura 15 anni!) per una governance clinica in tempo reale, ma soprattutto per cure ad alta intensità di dati, anche genetici e comportamentali dell’utente; per una medicina personalizzata.

Conclusione

Sui primi punti appena analizzati si deve uniformare il paese superando la paurosa separazione tra regioni che hanno velocità diverse nei processi innovativi. Una separazione destinata a ingrandirsi nel tempo a dismisura. Sugli altri si può far progressi in uno o due anni, riprogettando piattaforme tecnologiche e servizi a supporto integrato con il nuovo FSE. Il fascicolo sanitario elettronico (FSE) non è però solo tecnologia. È, al tempo stesso, tecnologia e seme di una organizzazione della sanità ad alta comunicazione e ad alta interazione. Questo concetto genera equivoci e malintesi. Si continua a parlare di tecnologia della comunicazione -ICT – in senso lato e generico. È noto che può esistere asimmetria e non sempre sinergia tra tecnologia e innovazione. Lo stesso equivoco si manifesta quando le tecnologie digitali della comunicazione sono importate all’interno dell’organizzazione e del sistema sanitario come puro investimento di capitale, disgiunto da una strategia comunicativa di rete e di dematerializzazione e virtualizzazione del sistema assistenziale. La tecnologia digitale e multimediale in sanità (eHealth), come nell’assistenza e nel Welfare (eCare, eWelfare), è fondamentalmente un investimento in energia comunicazionale, in comunicazione tra le persone (assistito, operatore, care giver). Non ha altro scopo. Investire in tecnologia diagnostica significa acquisire più bit sul corpo del paziente; investire sulla Cartella Clinica Elettronica significa condividere tra professionisti della sanità informazioni di salute del paziente alla velocità della luce. Con l’FSE queste informazioni escono dall’ospedale e dall’ambulatorio e alla stessa velocità sono condivise non solo dai tecnologi della salute (i medici) ma dagli stessi cittadini. Questo paradigma, alla base della più importante innovazione della sanità italiana, resta tuttora validissimo.

La sanità italiana è destinata a cambiare modificando il suo DNA comunicativo che era e in gran parte resta a bassa comunicazione e di natura burocratica. Il cambiamento è già in atto e la crisi finanziaria del welfare – assistiamo solo il 10% dei cittadini non autosufficienti e cronicizzati – accelera inevitabilmente il processo. Il fenomeno della sanità pocket e delle lunghe liste di attesa mettono seriamente in pericolo le fondamenta del sistema universalistico creato alla fine degli anni Settanta. Di fatto questo sistema non esiste più e tutela soprattutto i dipendenti sindacalizzati più che i cittadini. Un welfare di comunità pluralista sostenuto da un medium ad alta comunicazione è la formula vincente per il futuro. Continuiamo ad investire nell’FSE come nuovo strumento di un’era di continuità assistenziale e di semplificazione dell’accesso alle cure e alla prevenzione. Per altro tanti italiani lo desiderano. Abbiamo inserito l’uso del Fascicolo sanitario al corso sui Socialstreet della Scuola Achille Ardigò del comune di Bologna. I ragazzi ce l’hanno chiesto.

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