Malgrado gli investimenti e le risorse applicate, il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) continua ad avere un ruolo marginale nella pratica clinica ospedaliera e territoriale. Confrontando il quarto trimestre 2020 con il precedente possiamo notare che non c’è stato un incremento significativo né nel numero di regioni, né nella percentuale di utilizzo.
Prima di infondere ulteriori risorse nel FSE attuale, sarebbe pertanto opportuno fare una profonda riflessione sui risultati raggiunti, su quelli che possono essere ipotizzati a breve termine con l’attuale struttura e sulle esigenze che il mondo della sanità, nella sua accezione più ampia del termine esprime, per ipotizzare, magari, un ripensamento dell’attuale modello, che permetterebbe di superarne i limiti.
I numeri del fascicolo sanitario elettronico
I dati pubblici che sono disponibili sul portale fascicolosanitario.gov.it indicano un quadro generale poco confortante.
Il FSE è stato attivato dai cittadini di Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Sardegna, provincia autonoma di Trento, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto con percentuali variabili tra il 50 e il 100%. In altre otto regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Molise, provincia autonoma di Bolzano) non è stato attivato o raggiunge percentuali inferiori al 5%, mentre Liguria, Sicilia, Puglia e Umbria sono tra il 10 e il 40%.
Anche l’utilizzo da parte dei medici rispecchia la situazione precedente, così come il numero di aziende sanitarie che alimentano il FSE. Ancora più desolante la percentuale di medici di famiglia e pediatri di libera scelta che svolgono questo compito che sono soltanto quelli di Sicilia, Umbria e Valle D’Aosta.
Quando potrebbe davvero essere utile il FSE
In teoria il FSE sarebbe utile in tutti quei contesti in cui è necessario formulare un’anamnesi del paziente, come ad esempio:
- In un accesso al pronto soccorso, in situazione di urgenza o di emergenza;
- Alla pianificazione o all’accettazione di un ricovero ospedaliero;
- In una visita specialistica ambulatoriale;
- Nelle cure territoriali.
Il contributo del FSE alla ricostruzione del quadro clinico di un paziente si estrinseca nella disponibilità e nell’accesso a una serie di documenti clinici in cui possono esserci informazioni rilevanti. Ad eccezione del Profilo Sintetico Sanitario, dove queste informazioni possono essere presenti e raggruppate con criteri clinici, in base a una semplice ontologia, negli altri casi è il medico che deve aprire i documenti, leggerli e quindi estrarre da questi le informazioni che riguardano la storia clinica del paziente.
Come sono archiviati e indicizzati i documenti
Tutti i documenti sono indicizzati nel FSE attraverso dei metadati che sono presenti nell’ header del file HL7 CDA e che comprendono:
- Alcuni dati sul documento, come versione, codice, descrizione, data-ora, linguaggio
- Alcuni dati sul paziente, l’autore e l’organizzazione dove il documento è stato redatto e dove è custodito
La struttura e la natura dei metadati determinano le capacità di ricerca che un’interfaccia di un FSE può implementare. Come si può notare sono piuttosto limitate. Non c’è alcun metadato che colleghi, ad esempio, un documento a un evento clinico, a una patologia o a una condizione clinica. Le funzioni di ricerca sono quindi circoscritte alla tipologia di documenti, alla loro data o all’organizzazione o l’autore del documento.
Come sono strutturati i documenti
I documenti che compongono il FSE prevedono un “body” che può contenere dati non strutturati, strutturati con testo oppure strutturati e codificati.
In linea generale i documenti sono poco strutturati e codificati. Il referto di laboratorio, le cui analisi dovrebbero essere strutturate e codificate con LOINC, è composto da un PDF incapsulato nel corpo del CDA.
Il corpo di tutti i documenti è composto da sezioni che sono codificate con LOINC. Tuttavia il contenuto delle sezioni è formato nella maggior parte dei casi da blocchi di testo libero. Ad esempio nella lettera di dimissione ospedaliera le allergie e la terapia farmacologica sono descritte da blocchi di testo e non espressi mediante codici AIC o ATC per indicare il farmaco o la sostanza.
Lo scarso livello di codifica presente nei documenti CDA del FSE e la presenza di molti blocchi di testo “human readable” rende l’uso di questo file poco “machine readable” e pregiudica la realizzazione di una reale interoperabilità tra sistemi. In altre parole i documenti CDA sono stati definiti per essere letti e compresi dai medici, piuttosto che acquisiti, trattati e inglobati da sistemi automatici.
La rappresentazione della salute nel FSE
La logica e la struttura del FSE sono pensate per indicizzare file che documentano le prestazioni svolte sui pazienti, ossia diagnosi, terapia e prognosi. Manca una rappresentazione puntuale delle condizioni di salute, del contesto e dei bisogni socio-sanitari, dei piani socio-assistenziali, nonché alcuna relazione tra tutti questi e le prestazioni e gli interventi erogati.
Anche quando dovessero essere presenti documenti come schede – valutazioni multidimensionali o PDTA – la frammentazione delle informazioni su più documenti e la mancanza di una ontologia di riferimento rendono l’uso del FSE molto dispersivo.
Si può potenziare il FSE?
Un percorso di potenziamento del FSE dovrebbe, per non cambiare completamente il paradigma adottato e la retro-compatibilità con i documenti già prodotti, riguardare tre aspetti:
- La struttura dei metadati, attraverso un ampliamento dei dati, ad esempio aggiungendo un’ulteriore dimensione, il contesto / problema cui i documenti si riferiscono
- La tipologia di documenti trattati, attraverso l’aggiunta di nuove categorie di documenti
- La struttura dei documenti, attraverso la trasformazione di quelli attuali in formato HL7 CDA versione 3 (corpo strutturato con valori codificati)
Riprogettazione ex-novo
È la strada che permetterebbe di superare gli attuali limiti che, anche in presenza di un potenziamento, non sarebbero del tutto superati. Si tratterebbe in altre parole di una progettazione di un FSE 2.0 che dovrebbe essere condotta con i seguenti criteri:
- Adozione di un paradigma del tipo Electronic Health Record – EHR, ossia di una cartella o repository di informazioni relative alla salute del paziente.
- Definizione di un modello di riferimento (ontologia) in grado di rappresentare le entità e le informazioni relative alla salute, al contesto, ai bisogni, ai piani e agli interventi sul paziente, con un approccio olistico incentrato sul paziente anziché sul documento.
- Revisione del formato dei documenti clinici attraverso la strutturazione di questi in funzione del modello di riferimento adottato e l’inclusione delle entità definite (ad esempio terapia in prescrizioni, lettera di dimissione ospedaliera, PDTA).
- Progettazione di un’interfaccia utente basata su un cruscotto sinottico in grado di fornire informazioni utili per la pratica clinica.
- Sviluppo di un layer di integrazione basato su HL7 FHIR 4 in grado di esporre risorse ai sistemi e alle app con cui realizzare interoperabilità applicativa.
Si tratterebbe di una profonda evoluzione del FSE in grado di trasformarlo in un’infrastruttura chiave di un’architettura integrata di salute digitale. Tale percorso dovrebbe essere concepito e progettato da un ampio gruppo multidisciplinare in grado di rappresentare le diverse professionalità coinvolte e i differenti portatori di interesse.
Quali scelte compiere
Insistere sull’attuale modello, in modo acritico, senza svolgere questa revisione sarebbe, a mio avviso, un grave errore e un’occasione mancata per avviare un percorso di sviluppo verso la salute digitale.
La mera trasposizione in digitale dei paradigmi della sanità tradizionale, come è stato finora fatto con il FSE attuale, non offre vantaggi significativi e non permette di capitalizzare le potenzialità che le moderne tecnologie digitali offrono.
Occorre dunque un cambio di paradigma che, prima che tecnologico, deve essere concettuale.
Per ulteriori temi sull’interoperabilità potete consultare l’apposita sezione del mio blog.