Gli scienziati stanno costruendo un catalogo di ogni tipo di cellula del nostro corpo.
Finora lo Human cell atlas (Hca), grazie all’innovazione e all’intelligenza artificiale, sta facendo luce su tutto, dalla formazione degli organi alle cause delle infiammazioni. Ecco di cosa si tratta, quali obiettivi persegue e qual è il ruolo dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione nel promettente campo dell’istologia.
Obiettivi dello Human cell atlas in istologia
Il corpo umano di un adulto è composto da circa 37 milioni di cellule. Fino a non molto tempo fa si credeva che ve ne fossero di 220 tipi diversi, dopo decenni trascorsi a scrutare al microscopio vetrini con sezioni di tessuto colorati chimicamente. Ciò offriva l’idea della divisione del lavoro cellulare necessaria per far funzionare un corpo.
Oggi però esistono strumenti in grado di guardare all’interno delle cellule, aprendole una alla volta per rilasciare i loro complementi di RNA messaggero (mRNA), la molecola che trasporta le informazioni genetiche dal nucleo di una cellula alle sue fabbriche di proteine, i ribosomi.
Le molecole di mRNA rivelano quali sono i geni attivi, facendo così luce sulla natura interna di una cellula. Le cellule che al microscopio si assomigliano spesso si dimostrano molto diverse tra loro. Il numero di tipi di cellule ha così superato la soglia delle 5.000 unità.
Il leader di questa rivoluzione istologica è il consorzio Human Cell Atlas (HCA), istituito nel 2016. Attualmente coinvolge oltre 3.600 collaboratori in 190 laboratori di 102 Paesi.
Altri progetti di atlante cellulare si limitano a mappare particolari organi o tipi di tessuto. L’HCA invece aspira a catalogare tutto l’insieme: identificare e localizzare tutti i tipi di cellule, sane e malate, in ogni tessuto umano nel corso della vita. Il suo compito si estende anche agli “organoidi”, i primi tentativi della scienza di far crescere simulacri viventi di organi.
La speranza, secondo Sarah Teichmann dell’Università di Cambridge e Aviv Regev di Genentech, un’azienda bio-farmaceutica americana, è di comporre una prima bozza dell’atlante cellulare umano affinché sia disponibile l’anno prossimo. L’ultimo rapporto sui progressi compiuti è stato appena pubblicato in una serie di articoli su Nature e su varie riviste specializzate.
Secondo Teichmann e Regev, le mappe HCA si suddividono in due tipi. Una, simile nel concetto alle mappe dei geografi, collega ogni tipo di cellula a un sito quadridimensionale nel corpo umano (il campionamento in diverse fasi della vita aggiunge la dimensione del tempo a quella dello spazio). L’altro tipo è meno familiare e usa i manifold, che normalmente i matematici utilizzano per rappresentare gli iperspazi matematici multidimensionali. Nel caso dell’HCA, le numerose dimensioni in questione non sono lo spazio e il tempo, bensì le caratteristiche molecolari – come i profili di mRNA – proprie dei diversi tipi di cellule. Tracciando i diversi tipi di cellule sulla stessa mappa, i grafici dei collettori aiutano la comprensione delle loro affinità e differenze.
I dettagli
Anche la geografia del mondo reale gioca un ruolo importante. Fin dall’inizio, Teichmann e Regev hanno cercato partecipanti da tutti e sei i continenti abitati, per scoprire le basi cellulari delle differenze geografiche nelle risposte immunitarie e nella suscettibilità al cancro al seno.
Le loro scoperte riguardano la placenta, lo sviluppo embrionale dello scheletro, l’infiammazione intestinale e la formazione del timo, la ghiandola che genera i linfociti T del sistema immunitario, le cellule che per esempio l’AIDS devasta.
Le indagini sugli organoidi
I risultati di questi studi aprono una nuova strada. Confermano i precedenti sospetti sul coinvolgimento di alcuni processi cellulari nella formazione di tumori cancerosi. Identificano i geni espressi nelle cellule ossee e cartilaginee in via di sviluppo che possono portare all’artrite in età avanzata.
Mettendo a confronto l’intestino sano e quello non sano, dimnostrano che una fonte di infiammazione che provoca la malattia sembra attribuibile a cellule intestinali che si sviluppano accidentalmente in un tipo normalmente presente nello stomaco. Hanno inoltre fornito una descrizione dettagliata del timo, basata su una rappresentazione standardizzata dell’organo.
Forse l’aspetto più interessante, però, è quello sugli organoidi che imitano il cervello. Composti da cellule cerebrali umane, a loro volta derivate da cellule staminali create in laboratorio, gli organoidi, che provocano i brividi ai bioeticisti, in realtà raggiungono solo tre o quattro millimetri di diametro, quindi è altamente improbabile che sviluppino una qualche forma di coscienza. Ma alcuni temono che le versioni di maggiori dimensioni possano farlo, anche se, al momento, sono privi dell’apporto di sangue necessario per crescere.
Tuttavia, sono utili per la ricerca. Infatti consentono di studiare il tessuto cerebrale umano vivente senza doverlo rimuovere. Ma sarebbero ancora migliori se si potessero prevedere in modo affidabile i particolari tipi di neuroni presenti in determinate versioni n. Ieuroni, infatti, costituiscono collettivamente una grande frazione dei tipi di cellule conosciuti e ognuno di essi svolge un compito diverso.
HCA imprime una svolta agli studi sugli organoidi: i risultati
L’HCA semplificherà tutto. Un lavoro coordinato da Barbara Treutlein del Politecnico federale di Zurigo ha analizzato i dati sull’mRNA di 36 organoidi di questo tipo, creati con 26 protocolli diversi.
I ricercatori coinvolti hanno potuto identificare i tipi di neuroni generati in ciascun organoide, determinando la loro somiglianza con gli equivalenti naturali. I risultati, messi insieme, creano un unico diagramma manifold per tali organoidi che mostra i punti di forza e di debolezza dei vari protocolli e aiuterà a pianificare le ricerche future.
L’uso dell’AI nello Human cell atlas
Oltre a rendere pubbliche le ultime scoperte dei membri del progetto (anche se i dati grezzi sono online da inizio raccolta), i documenti permettono a Teichmann e a Regev di esporre la loro visione sull’uso dell’intelligenza artificiale (AI). L’obiettivo consiste nel trasformare l’atlante in qualcosa di più vicino a un modello di funzionamento dell’essere umano.
Entrambi sono biologi computazionali di formazione. Questo background li ha portati a concepire l’HCA.
Senza il software alla base del progetto, che trasforma i dati in mappe e permette di interrogarle, infatti il progetto non esisterebbe. Ma i due hanno visioni più ampie. Sono stati i primi ad adottare i modelli di fondazione, una classe di IA (come i modelli linguistici di grandi dimensioni che hanno guadagnato importanza negli ultimi anni) che si nutre di grandi quantità di dati di addestramento per riconoscere schemi non percepibili dagli esseri umani.
Il training dei modelli di HCA
I modelli di base dell’HCA non hanno un addestramento su passaggi di testo, ma su collezioni di celle.
Il loro obiettivo non è una composizione simile a quella umana, ma la creazione di mappe ottimizzate e più utili. Alcuni imparano dai dati sull’mRNA dei tipi di cellule. Altri si basano sui vetrini istologici convenzionali e sulle loro più moderne iterazioni, come l’imaging a fogli luminosi, che scansiona sezioni di campioni tridimensionali.
Questi modelli sono ora sufficientemente buoni da riuscire ad annotare le cellule in nuovi campioni, per cercare cellule simili in campioni diversi e per scoprire i programmi genici alla base di particolari caratteristiche.
In futuro dovrebbero essere in grado di prevedere come si svilupperanno i lignaggi cellulari. Ma potrebbero persino prevedere varietà di cellule ancora ignote. Questi modelli non solo sono più veloci dei ricercatori umani, ma possono anche svolgere compiti che oltrepassano le capacità umane.
Come l’innovazione contribuisce alla costruzione dello Human cell atlas e al digital twin umano
Il risultato è un sistema che può trova (e ha tovato) utilizzo non solo per migliorare l’atlante, ma per metterlo al lavoro.
Le aziende farmaceutiche, per esempio, stanno già sfruttando i dati e i modelli dell’HCA per esaminare “virtualmente” potenziali farmaci prima di testarli sperimentalmente. Inoltre, per prevedere gli effetti collaterali scoprendo tessuti-non-bersaglio in cui è espresso il gene con cui interagisce un candidato farmaco. E, viceversa, per individuare in tali tessuti-non-bersaglio le opportunità di estendere la gamma di bersagli terapeutici di un farmaco.
In futuro tutti questi sforzi potrebbero contribuire a creare un “gemello digitale” umano. Un digital twin che incorporerebbe anche modelli di base sul funzionamento delle proteine (come AlphaFold, un modello di ripiegamento delle proteine sviluppato da Google DeepMind) e sullo sviluppo degli organismi. Quel giorno è apurtroppo ncora lontano, ma, grazie a questi studi e all’accelerazione impressa dall’AI, ora sembra meno distante.