Se c’è una cosa che questa pandemia sta mettendo sotto gli occhi di tutti è quanto siano diventati strategici i dati. Stiamo vedendo come sia necessario dover prendere nel momento giusto le decisioni che si ritiene essere quelle più adatte a consentirci di uscire dall’emergenza. E i dati danno proprio questa possibilità.
L’ha detto anche il ministro alla Salute in audizione: serve una Sanità data-driven.
Ecco: serve perché non ce l’abbiamo. E non ce l’abbiamo nel momento del maggiore bisogno, in cui i dati di qualità si traducono in vite salvate.
La mancanza di uniformità nel processo di raccolta digitale, e quindi l’impossibilità di avvalersi di una vera e propria “infrastruttura” fatta di dati “di qualità” provenienti dalle varie pubbliche amministrazioni, ha però reso più difficoltosa la gestione dell’emergenza.
Una lezione che dovrà necessariamente essere imparata, per gestire tutte le battaglie che ci troveremo ad affrontare in futuro e che saranno sempre più “data driven”.
Prendere decisioni sulla base dei dati: i vantaggi
Prendere decisioni sulla base dei dati vuol dire poter agire in modo tempestivo, vuol dire poter valutare gli effetti delle decisioni prese, vuol dire poter far affidamento su elementi oggettivi per introdurre strategie che possano essere quelle ritenute più efficaci.
Eppure, potrà sembrare paradossale ma i dati, nel coso di questo anno e più di pandemia, sono invece proprio la cosa che è mancata di più.
Piattaforma vaccinazioni, si può fare di più: cosa c’è e cosa manca
Forse si è dato per scontato che i dati sarebbero arrivati semplicemente perché venivano chiesti alle singole regioni, ognuna delle quali ha cercato in qualche modo di organizzarsi e provare a trasmettere quello che veniva richiesto a livello centrale. Ma si sa, interagire con quelli che dal punto di vista sanitario sono 20 staterelli indipendenti abbiamo visto come abbia creato sin dall’inizio non pochi problemi nell’intera gestione dell’emergenza. Abbiamo 20 sistemi sanitari diversi, ognuno organizzato diversamente, con livelli di efficienza differenti ma anche con livelli di digitalizzazione differenti.
La raccolta dati in questo scenario diventa così la fase più delicata e più critica tra tutte quelle del ciclo di vita del dato. Anche perché questa volta non si tratta di raccogliere dati come un mero adempimento amministrativo a cui dover far fronte. L’emergenza richiede la costruzione di processi stabili ed efficienti per la raccolta sistematica di dati accurati e tempestivi. I dati dovrebbero infatti permettere un monitoraggio costante della situazione su tutto il territorio nazionale, rilevare come si stanno propagando i contagi, valutare tempestivamente i livelli di rischio per poter agire subito prendendo gli opportuni provvedimenti. La tempestività è un aspetto cruciale. Abbiamo visto come il virus si muove molto più rapidamente dei DPCM e questo ha fatto sì che tutta la gestione della dell’emergenza abbia dovuto rincorrere continuamente un virus sempre in vantaggio.
Non avere a disposizione dati tempestivi e di qualità si riflette infatti su tutta su tutta la filiera e quindi anche le azioni introdotte perdono di efficacia perché sono basate su dati che molto spesso non sono più quelli reali. Per non parlare di quando i dati vengono trasmessi errati. Ricordiamo tutti il caso della regione Lombardia e dell’imbarazzante scaricabarile nei confronti dell’Istituto Superiore di Sanità.
Quali sono i dati davvero decisivi
Se abbiamo qualche arma in più rispetto al passato per contrastare la propagazione del virus è, oltre al vaccino, proprio la possibilità di utilizzare dati. Diciamolo: ogni regione dovrebbe poter utilizzare processi digitali uniformi su tutto il territorio nazionale per consentire la raccolta dei dati necessari. Non mi sto riferendo ai dati di sintesi, quelli vanno bene per i bollettini, bensì ai dati cosiddetti “elementari” o microdati che verrebbero così immediatamente e in modo automatico canalizzati all’interno di un repository centralizzato.
Digitalizzare, centralizzare, eliminare passaggi intermedi spesso manuali, standardizzare e automatizzare le modalità di acquisizione dati vuol dire aumentare la qualità complessiva dei dati. Mi chiedo se e quanto si sia investito su queste cose dall’inizio della pandemia considerandole veramente strategiche.
Tante volte anche qui su agendadigitale.eu abbiamo parlato del valore dei dati. Ma il valore dei dati parte da qui, dai microdati e dalle modalità con cui vengono creati e acquisiti. Vale un po’ quello che ci dicono sulle ricette di cucina. Per cucinare un buon piatto servono ingredienti di prima scelta. Dobbiamo ricordarci sempre che la qualità delle analisi sui dati, dei risultati delle analisi e quindi delle decisioni che poi vengono prese e delle azioni che vengono intraprese dipendono dalla qualità dei microdati di partenza.
I dati infatti sono diventati strategici e lo saranno sempre di più in un prossimo futuro. Rendere efficiente il funzionamento di tutti i settori della pubblica amministrazione, non solo quello sanitario, vuol dire anche poter avvalersi di una vera e propria “infrastruttura” fatta di dati provenienti dalle varie pubbliche amministrazioni che consenta di fare monitoraggio e controllo di gestione in modo tempestivo e uniforme su tutto il territorio nazionale, dalle Alpi a Lampedusa.
Il mondo che ruota attorno ai dati
Ma il valore dei dati non è soltanto funzionale all’efficientamento del Paese o al supporto alle decisioni di chi amministra un territorio. C’è un intero mondo che ruota attorno ai dati. Un mondo dinamico, competente e variegato fatto di professionisti, ricercatori, docenti, giornalisti e appartenenti a quella che chiamiamo comunemente “società civile” che ha bisogno di dati e che usa i dati per creare valore aggiunto nel campo dell’informazione, della scienza, della trasparenza e della conoscenza in generale.
La campagna #datibenecomune (datibenecomune.it) lanciata ai primi di novembre dello scorso anno è riuscita a mettere insieme oltre 170 tra organizzazioni, associazioni, aziende, testate giornalistiche ed è stata sottoscritta da quasi 50.000 firmatari. Quello che chiediamo è che tutti i dati relativi alla pandemia debbano essere pubblicati in modalità “machine-readable” (e con una licenza open).
Avete presente i dati pubblicati dal Dipartimento della Protezione Civile? Questo è sicuramente un buon modo per pubblicare i dati che può essere preso come esempio.
Troppo spesso ci si ostina invece a pubblicare dati all’interno di bollettini in formato pdf o su dashboard interattive senza dare la possibilità di scaricarli in modo agevole (anche in questo caso ogni regione è andata per proprio conto).
Solo che non servono solo i dati di sintesi, bensì anche (e soprattutto) i dati disaggregati, i microdati, quindi i dati “grezzi” opportunamente anonimizzati qualora dovessero presentare problemi di privacy.
Quindi dati di qualità, tempestivi, resi pubblici in modalità machine-readable.
Conclusioni
Servono flussi continui di dati. Bisogna mettere nelle condizioni tutta la comunità scientifica di studiare le dinamiche del SARSCov2.
I benefici che ne derivano saranno per l’intera collettività e per l’intero sistema economico. Allo stesso modo bisogna mettere nelle condizioni chi fa informazione di farlo nel modo migliore. Una corretta informazione contribuisce infatti a rendere migliore la nostra democrazia, in modo particolare quando come in questa emergenza vengono toccate e ridotte buona parte delle nostre libertà.
Bisogna consentire di valutare le politiche di contrasto alla pandemia messe in campo ma anche dare la possibilità di intravederne di nuove. La battaglia contro il virus è una battaglia data driven. Come ce ne saranno tante altre in tanti settori diversi in futuro. Diventa così sempre più necessario e strategico avere sin da subito politiche chiare sui dati pubblici. E metterle rapidamente in campo.
Se abbiamo qualche arma in più rispetto al passato per contrastare la propagazione del virus è, oltre al vaccino, proprio la possibilità di utilizzare dati