Politecnico di Milano

Il paradosso della Sanità italiana: meno digitale dei pazienti e medici

Mentre la Sanità procede con lentezza verso il digitale, i cittadini e i medici italiani l’abbracciano con maggiore convinzione. Un gap che è sempre più urgente colmare. Ecco i numeri di un paradosso italiano

Pubblicato il 04 Mag 2017

Mariano Corso

Presidente P4I e membro del Board Scientifico Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

duplicato tessera sanitaria

La Sanità digitale rappresenta finalmente una priorità per il Governo, per il Ministero della Salute e per le Regioni. I tempi di realizzazione delle iniziative a livello nazionale e regionale, però, appaiono troppo lunghi. Il rischio è che non siano in linea con l’elevata rapidità e dinamicità con cui evolvono i bisogni di cittadini e pazienti. Quali sono le conseguenze di questi ritardi? Come ridurre il gap che si sta creando tra la Sanità e i cittadini/pazienti digitali?

Procediamo con ordine, iniziando da ciò che di positivo è stato fatto nell’ultimo anno e che dovrebbe consentire di porre le basi per lo sviluppo della Sanità digitale a livello nazionale.

  • Il 7 luglio 2016, dopo due anni dalla presentazione, è stato approvato il Patto per la Sanità Digitale in Conferenza Stato-Regioni. Viene finalmente riconosciuto in modo formale il ruolo strategico dell’innovazione digitale per il miglioramento della qualità e l’aumento dell’efficienza del sistema sanitario.
  • Il 15 settembre 2016 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il Piano Nazionale della Cronicità (PNC), nel quale si mette in luce come il digitale possa “garantire continuità e migliore qualità dell’assistenza, migliore efficacia, efficienza e appropriatezza”.
  • Il 4 ottobre 2016 il Ministero della Salute ha pubblicato l’Atto di indirizzo per l’anno 2017, nel quale sono definite le aree prioritarie di intervento in materia di Sanità con azioni dedicate alla Sanità digitale in ben tre aree su nove[1].
  • Il 7 dicembre 2016 il Ministero della Salute ha emanato il decreto[2] che costituisce il presupposto alla realizzazione dell’infrastruttura tecnologica per l’assegnazione del “Codice Unico Nazionale dell’Assistito (CUNA)”, grazie al quale sarà possibile ricostruire il percorso sanitario del cittadino nei diversi setting assistenziali del Servizio Sanitario Nazionale.

Sono state avviate, inoltre, alcune azioni volte a mettere a disposizione risorse economiche – seppur ancora limitate – per attuare le iniziative di Sanità digitale, tra cui:

  • 21 milioni di euro per il periodo 2016-2023 all’interno del PON Governance “ICT per la Salute”. L’obiettivo è quello di riorganizzare e innovare i processi di gestione della cronicità attraverso la definizione, il trasferimento e il supporto all’adozione, in ambito regionale, di soluzioni digitali.
  • 2,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2017 previsti nella Legge di Bilancio 2017 per la realizzazione dell’infrastruttura nazionale necessaria a garantire l’interoperabilità dei Fascicoli Sanitari Elettronici (FSE) regionali. La realizzazione sarà curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso l’utilizzo dell’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria. Nel caso in cui una Regione non rispetti i termini per la realizzazione del FSE è previsto il commissariamento.

Ci sono segnali positivi anche da parte delle Regioni, molte delle quali si sono mosse sia nella realizzazione dei piani di sviluppo del FSE[3] sia sul fronte di riforma della Sanità regionale[4], andando di fatto sempre più nella direzione di integrare ospedale e territorio al fine di migliorare la gestione delle cronicità e la continuità assistenziale.

Non sembrano, invece, esserci invece sostanziali progressi relativamente alla realizzazione del Patto per la Sanità Digitale di cui pure il Programma Nazionale di Riforma contenuto nel DEF 2017[5] sottolinea nuovamente l’importanza di realizzazione entro l’anno. Si evidenzia ancora una volta come l’impostazione stessa del Patto sia debole, in quanto basata su una premessa erronea: l’idea che l’innovazione digitale del sistema possa essere fatta in assenza di risorse dedicate, semplicemente spendendo meglio quelle esistenti e reinvestendo nel tempo i risparmi. Pur senza negare l’importanza dei vincoli di bilancio e dei possibili benefici che la digitalizzazione potrà portare nel tempo, l’avvio di un piano ambizioso di digitalizzazione della Sanità in un Paese come il nostro, che per troppi anni ha trascurato gli investimenti, richiede l’allocazione di risorse adeguate.

Ma nella realtà dei fatti ciò non è avvenuto: a fronte delle chiare priorità definite nel Patto per la Sanità digitale, la spesa complessiva per la digitalizzazione della Sanità italiana nel 2016 è stata pari a 1,27 miliardi di euro (1,1% della spesa sanitaria pubblica, corrispondente a 21 € per abitante), con un calo del 5% rispetto al dato del 2015, anno in cui la spesa era stata stimata pari a 1,34 miliardi di euro. È un segnale che conferma quanto i ritardi normativi, la mancanza di risorse inizialmente “promesse” nel Patto per la Sanità digitale, unitamente al periodo di forte cambiamento che ha caratterizzato i sistemi sanitari di molte Regioni italiane, abbiano bloccato nuove progettualità.

E i cittadini in tutto questo cosa fanno? Aspettano e stanno a guardare, rassegnati e “pazienti”, come il sistema sanitario si ostina a chiamarli? I dati della Ricerca dell’Osservatorio mostrano un quadro differente: a fronte dei ritardi e delle incoerenze nello sviluppo di una strategia di Sanità digitale, che è di fatto ancora incompiuta, i cittadini italiani sono sempre di più in Rete ed è in Rete che cercano servizi e informazioni per prendersi cura della propria salute e di quella dei propri cari. Dall’indagine condotta in collaborazione con Doxapharma su un campione di 1.000 cittadini, statisticamente rappresentativo della popolazione italiana, emerge che il 51% degli italiani ha utilizzato almeno un servizio online in ambito sanitario, contro il 49% del 2016. Il livello di utilizzo è superiore tra i cittadini laureati o di età compresa tra i 25 e i 54 anni; cioè in quella fascia di età che, se da un lato inizia ad avere bisogno di accedere ai servizi sanitari, dall’altro è abituata all’utilizzo del digitale nella vita quotidiana.

L’avvicinamento del cittadino alle tecnologie digitali per controllare il proprio “stato” di salute si riscontra anche nell’utilizzo delle App per il monitoraggio dello stile di vita: le App più diffuse sono quelle per monitorare gli allenamenti e i passi (utilizzate dal 13% del campione), quelle per mettere alla prova le abilità mentali (11%), quelle per controllare i battiti cardiaci (10%), le calorie (8%) e il sonno (4%).

Allo stesso modo anche i medici sono sempre più aperti e interessati al digitale: lo rivelano le ricerche realizzate dell’Osservatorio su 540 Medici di Medicina Generale (MMG), attraverso la collaborazione con la FIMMG e Doxapharma, e su 229 Medici di Medicina Interna, grazie alla collaborazione con FADOI e Digital SIT. Il 52% degli internisti e il 39% dei MMG utilizzano App per consultare informazioni e linee guida, e rispettivamente il 45% e il 32% per visionare articoli scientifici, report, ecc. Anche WhatsApp è entrato nella vita quotidiana dei medici, anche se si tratta di un canale “non certificato”: il 42% degli internisti e il 53% dei MMG utilizzano l’App per comunicare con i propri pazienti.

Appare quindi evidente come la Sanità e i cittadini stiano viaggiando a diverse velocità. Da un lato, il sistema sanitario con la sua complessità, sta procedendo in una direzione giusta, ma con preoccupante lentezza: è come un “elefante” stanco, schiacciato sotto il peso di vincoli normativi e ostacolato da una giungla di farraginosità burocratiche che gli impediscono di attuare quel rinnovamento da anni auspicato e oggi ampiamente riconosciuto come indispensabile. Dall’altro lato, cittadini e operatori sanitari procedono a salti, come “gazzelle” alla ricerca di soluzioni digitali che diano risposta alle loro esigenze in materia di salute.

Il rischio è che l’elefante, o meglio, gli elefanti dei diversi Sistemi Sanitari – nazionale e regionali – non riescano a fare un cambio di passo e a procedere nella stessa direzione per tracciare un percorso coerente verso una Sanità più digitale e sostenibile.

Appare ormai chiaro come l’innovazione digitale sia essenziale per andare verso una Sanità sostenibile. Nei prossimi mesi sarà importante “sbloccare” e utilizzare al meglio le risorse economiche a disposizione, come quelle del PON governance “ICT per la salute”, la cui reale disponibilità dipenderà anche dalla capacità di programmazione e progettualità. È inoltre fondamentale investire nella cultura digitale dei cittadini e operatori, coinvolgendoli anche nella progettazione dei nuovi servizi.

In sintesi, è urgente agire affinché il SSN e i sistemi sanitari regionali, possano mettersi in marcia speditamente per rispondere alle esigenze di cittadini, pazienti e operatori sanitari che vanno resi sempre più digitali e protagonisti del sistema di cura.

[1] Il riferimento al digitale è presente nelle aree: i) Promozione della qualità e dell’appropriatezza dell’assistenza sanitaria; ii) Sistema informativo e statistico sanitario e iii) Dispositivi medici, stupefacenti e altri prodotti di interesse sanitario.
[2] Regolamento recante procedure per l’interconnessione a livello nazionale dei sistemi informativi su base individuale del Servizio Sanitario Nazionale, anche quando gestiti da diverse amministrazioni dello Stato – http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/02/08/17G00016/sg
[3] Solo Calabria, Campania, Sicilia e Provincia Autonoma di Bolzano non hanno ancora avviato l’implementazione del FSE, anche se si stanno muovendo in questa direzione.
[4] Ad esempio Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Toscana, Marche, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.
[5] Documento di Economia e Finanza, pubblicato il 12 aprile 2017

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