C’è molta preoccupazione sul futuro del servizio sanitario nazionale. La sua evoluzione, non da oggi ma con maggiore intensità a partire dall’emergenza pandemica, presenta aspetti preoccupanti di crisi strutturale nel rapporto con la domanda di salute di importanti fasce sociali di assistiti.
Ma quello che molti ignorano è che il problema non è solo di natura economica, perché la sanità italiana, al pari di gran parte della pubblica amministrazione, ha una carenza cronica di dati in formato digitale-individuale, ‘strutturati’, standardizzati, interoperabili, quindi utilizzabili per curare, amministrare e fare ricerca.
Ma qualcosa sembra stia cominciando a cambiare.
Preservare il carattere universalistico del SSN: non è solo una questione economica
Il fenomeno ha origini tutt’altro che recenti e si è aggravato nell’impatto con la carenza (e l’esodo) di personale medico e sanitario, in particolare di medici di famiglia, di pronto soccorso e di infermieri. Il difficile periodo di ristabilizzazione del flusso delle prestazioni sanitarie, passato il periodo COVID, ha aggravato, negli anni ‘21-‘22, la situazione.
Non è in crisi la capacità del sistema sanitario nazionale e dei medici di fornire prestazioni eccellenti – gli ospedali e le cliniche universitarie italiane sono tra i migliori d’Europa e del mondo – ma quella di preservare il carattere universalistico del SSN, che pochi paesi occidentali ancora conservano assieme all’Italia.
L’allungamento medio della vita della popolazione, di oltre 20 anni! in meno di mezzo secolo, frutto anche di buona sanità italiana, e il crollo della mortalità infantile, hanno paradossalmente messo in moto una forte richiesta aggiuntiva di prestazione sanitarie. Si spende poi di più anche a causa dell’inflazione.
Ma siamo sicuri che il problema è soltanto o prevalentemente finanziario? E che quindi potrebbe essere risolto con una manciata di miliardi di euro in più assegnati al SSN e quindi alle Regioni? Molti osservatori, attenti all’evoluzione della macchina sanitaria italiana, hanno dei dubbi che questa sia l’unica soluzione possibile. Certamente servono risorse pubbliche aggiuntive in percentuale sul PIL per la sanità, ma questo è soltanto un aspetto dei problemi strutturali del nostro servizio sanitario pubblico.
La necessaria evoluzione tecnologico-organizzativa dei servizi sanitari
C’è dell’altro. A rendere ardui i difficili compiti degli amministratori della nostra sanità è soprattutto la strutturale carenza di informazioni e il difficile rapporto con l’era e le tecnologie di Internet. Prendiamo il primo aspetto: drammatica carenza di dati e informazioni. Per essere ancora universalistica, a condizioni economiche accettabili in ambito europeo, la sanità italiana deve mettere mano a un’evoluzione tecnologico-organizzativa del prodotto salute, del ‘prodotto servizi sanitari’, al pari di ciò che accade nella produzione consumer in era Internet matura.
Si consideri, a questo proposito, che le tecnologie consumer oggi in dotazione a quasi tutte le famiglie italiane sono di qualità superiore a quelle in possesso della PA. Ci sono almeno 80 milioni di smartphone collegati a Internet e attivi nelle famiglie.
L’importanza dei dati strutturati
L’ingrediente che ha caratterizzato l’evoluzione tecnologica di ogni prodotto di mercato, dalla comparsa di Internet in Italia (1995) a oggi, è rappresentato dai dati dematerializzati riferiti alle persone. La disponibilità di tantissimi dati riferiti alle persone in formato digitale che parlano di noi e dei nostri comportamenti. È il ‘nuovo petrolio’ composto di dati delle persone. E i dati delle persone non vanno confusi, come tutt’ora accade in sanità, con quelli delle organizzazioni.
La produzione moderna di cose e servizi è alla caccia disperata di questo ‘nuovo petrolio’: dati delle persone, dei cittadini, del loro corpo, delle loro menti, delle loro abitudini, dei loro comportamenti, di tutto quello che fanno e che pensano in formato digitale-individuale. Enormi data-lake guidati da software e algoritmi di intelligenza artificiale macinano ogni giorno miliardi e miliardi di questi atomi e cellule d’informazione.
Dalla cultura del dato amministrativo alla cultura del dato clinico
Finora la Sanità ha vissuto alimentata da ‘sangue venoso’, non ‘arterioso’: da dati organizzativi, ‘amministrativi’. Dati della ‘signora organizzazione’. Manca di flussi di dati clinici individuali e collettivi, in formato standardizzato e interoperabile, per la cura, la prevenzione, la predizione delle malattie e il governo aziendale, regionale, nazionale del sistema sanitario. Dati clinici, quindi riferiti ai corpi, alle menti e al comportamento degli assistiti.
Fino ad oggi la sanità è stata programmata attraverso dati amministrativi, costruiti per conoscere l’andamento economico e i processi ‘produttivi’. Non per conoscere lo stato di salute degli italiani. Il progetto del Ministero della Salute, già avviato in periodo pre-COVID, inerente al modello predittivo per conoscere e quindi predire le malattie era interamente basato su dati amministrativi (e forse è ancora così). Per i progetti di intelligenza artificiale in sanità occorre un enorme massa di dati riferiti alle persone, alle loro opinioni e ai loro comportamenti. I dati amministrativi servono per conoscere la salute (economica) delle organizzazioni, non delle persone. Dalla cultura del dato amministrativo occorre passare alla cultura del dato clinico.
Senza questi dati la sanità di oggi non è programmabile e il suo andamento non è verificabile. Quindi il suo costo, il rapporto tra spesa e obiettivi di salute, risulterà alla fine insostenibile. Non sarà inoltre possibile programmare con serietà l’impiego e la formazione dei professionisti.
Utilizzare il potenziale dei dati per interagire coi pazienti
Nessun moderno prodotto industriale, perfino manifatturiero, può essere oggi messo in commercio se non ha come requisito quello di collegarsi, nel suo funzionamento, a un flusso di dati dematerializzati. Immaginatevi un’automobile, quella di ieri e quella di oggi. Dove sta la differenza? L’automobile di oggi si muove con un’enorme disponibilità di dati. Si alimenta e produce dati dematerializzati. I dati resi disponibili dal nostro smartphone sono diecimila volte superiori a quelli che ci forniva un telefono cellulare di fine millennio. Lo sanno perfino i malfattori e i mafiosi che riciclano per questo motivo vecchi Nokia. Nessuno oggi riuscirebbe infatti a vendere un’automobile con un rapporto tra la componente materiale e quella digitale pari ai veicoli degli anni ‘60, ‘70, ‘80. Una prestazione sanitaria, come qualsiasi prodotto-servizio, deve poter raccogliere in formato digitale standard tutti i dati generati nell’interazione medico-paziente e utilizzare intensamente il potenziale di comunicazione e di analisi dei flussi di dati strutturati-individuali.
Il problema della sanità di oggi è tutto qui: genera una mole enorme di dati di salute nell’interazione medico-paziente ed è governata in carenza di informazione e di flussi strutturati per interagire, anche a distanza, con gli assistiti. Ha un grande cuore organizzativo incapace di far girare flussi prestazionali ad alta comunicazione (oggi in bit-elettroni, ben presto in quanti). E questo problema ha certamente un grande peso nelle difficoltà del servizio sanitario pubblico, forse superiore ai problemi economici e di compatibilità finanziaria.
Infatti, grande parte della managerialità sanitaria pubblica continua ad avere una cultura amministrativa che non le permette di comprendere la dimensione strategica di questo gap informazionale. Nonostante i dati strutturati di salute e i flussi prestazionali ad alta intensità comunicativa siano ormai progetti finanziati dal PNRR, così come è finanziata la formazione per tutti gli operatori sanitari.
FSE e telemedicina, qualcosa sta cambiando
Qualcosa però sta cambiando. Sotto l’impulso delle scelte governative più recenti (2023), i due progetti portanti della dematerializzazione della sanità italiana, sono in fase avanzata di realizzazione. Mi riferisco al Fascicolo Sanitario Elettronico e alla Telemedicina. Il completamento di questi due pillar del Next Generation Fund italiano è a portata di mano. Essi, che hanno entrambi un’anima antica, sono il cuore della nuova sanità post-Covid, la chiave di volta di un cambio di paradigma nell’assistenza.
FSE, in principio fu l’agenda dematerializzata
Osserviamo la storia di questi due progetti must. L’FSE ha come data di nascita il 2002 e luogo l’Emilia Romagna. Più esattamente prende forma – e questo pochi lo sanno – da un’evoluzione del sistema CUP Metropolitano di Bologna inaugurato il primo gennaio 1990 in attuazione di un progetto sperimentale Comune di Bologna-Ministero della Sanità-Italsiel. Si trattava di un progetto molto lungimirante in epoca pre-Internet. Prevedeva infatti la dematerializzazione di tutte le agende dei medici specialisti di ambulatorio di ospedale sia delle strutture pubbliche e(e) che di quelle accreditate e persino di quelle private, nonché di libera professione (intramoenia). Queste agende erano prenotabili da remoto da sportelli collocati sul territorio in modo capillare (nei centri civici del territorio provinciale, ad esempio) e nelle farmacie.
Internet non era ancora arrivato in Italia ma già 5000 medici della provincia di Bologna avevano nel sistema la propria agenda ‘dematerializzata’. La regione Emilia-Romagna, inizialmente scettica sul progetto patrocinato dal Comune di Bologna, propose successivamente un’estensione del collegamento dei CUP a tutti i medici di famiglia della regione. L’iniziativa trovò molti ostacoli – infatti in Emilia-Romagna non esisteva ancora un vero e proprio CUP regionale – ma permise di creare una rete di collegamento tra tutte le agende e le cartelle cliniche elettroniche dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta (circa 4000 medici).
Questa rete fu battezzata SOLE (acronimo di Sanità OnLinE) e di fatto creò una piattaforma per il primo fascicolo sanitario elettronico. A partire dal 2006 un indicizzatore permette ai cittadini di scaricare dalla rete i referti e ai medici di famiglia di riceverli se autorizzati dagli stessi assistiti.
Dal 2006 al 2009 si cominciò a diffondere l’FSE tra gli assistiti della regione. Come è noto, con provvedimenti legislativi nazionali, a partire dal 2012, e poi nel 2013, 2016, 2017 e 2018 il progetto FSE assume valenza nazionale. La svolta avviene nel 2020 con il COVID, quando un decreto del maggio di quell’anno rende obbligatorio la messa in rete, nelle piattaforme regionali, di tutte le interazioni medico paziente in formato elettronico, indipendentemente dall’autonoma decisione del cittadino di attivare il fascicolo.
Nello stesso periodo (2020) il Ministero della Salute e Cineca (il consorzio interuniversitario italiano) sottoscrivono un accordo per l’attivazione di un data-Lake nazionale dei dati clinici di tutti gli italiani, in formato anonimo e estratti dall’FSE e trattati con programmi di intelligenza artificiale per il governo della sanità e a supporto della ricerca medica. L’iniziativa non avrà successo, per varie resistenze burocratiche, ma getta le basi teoriche e progettuali per quello che poi sarà l’FSE 2.0.
FSE, poi arrivò il PNRR
Il PNRR, nella missione 6, riconoscerà pienamente il valore strategico dell’FSE per la nuova sanità post-COVID. Nel 2022, in attuazione del Piano, si definiscono le linee guida e i provvedimenti di dettaglio del nuovo fascicolo. Ma soprattutto si programma l’importantissimo lavoro di aggiornamento tecnologico della sanità italiana in tutte le 21 regioni italiane e nelle oltre 200 aziende sanitarie del paese. Un gran numero degli applicativi utilizzati per produrre referti, visite ed esami diagnostici saranno aggiornati e certificati con standard predefiniti. Questo permetterà di passare dalla messa in comune e in rete di documenti in formato elettronico a dati strutturati necessari per produrre servizi avanzati ai medici e ai cittadini con applicazioni di intelligenza artificiale e di effettuare processi di data analysis.
I paletti del Garante privacy
L’architettura proposta nel ‘22 risente però della cultura del periodo COVID nel quale le strutture nazionali riscontrano enormi problemi a governare il drammatico impatto con l’epidemia. E quindi sarà di tipo centralistico e prevederà l’utilizzo di unica banca centralizzata di tutti i dati clinici nominativi degli italiani. Il parere negativo del Garante privacy al progetto di Ecosistema Dati Sanitari (EDS), prevista dalla riforma del Fascicolo sanitario elettronico del maggio 22, blocca gran parte della realizzazione del nuovo fascicolo.
Nel 2023 il nuovo governo Meloni per iniziativa del Sottosegretario Butti e del Ministero della Salute predispone un nuovo decreto sul Fascicolo che rivede la struttura centralistica e adegua le componenti tecnologiche e la normativa a tutela della privacy dei cittadini. Mentre scriviamo continua l’opera di revisione normativa per completare il disegno architetturale del nuovo fascicolo. Questa fase di nuova e intensa progettualità avviata dal Dipartimento Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri permetterà di completare il progetto con l’adeguamento tecnologico di tutte le infrastrutture digitali delle aziende sanitarie, il collegamento con i medici di famiglia e poi con i medici specialisti, nei tempi stabiliti dal PNRR. Si completerà così un progetto ‘unico’ in Europa.
La svolta: il nuovo protagonismo delle aziende sanitarie
Le Regioni, in base all’ art. 13 del nuovo decreto del FSE (comma 7, ex decreto,178), approvato dalla Conferenza Stato-Regioni nell’agosto di quest’anno, avranno possibilità di “specializzare” i loro sistemi regionali nell’ambito di un sistema nazionale unitario. Le aziende sanitarie, indirizzate dalle Regioni, sono chiamate a un nuovo protagonismo nella gestione del grande patrimonio dei dati individuali digitalizzati e strutturarti di salute.
L’articolo 13 di questo decreto – espressamente voluto dal DTD – se letto con attenzione, rappresenta una svolta di importanza istituzionale e sociale, nonché tecnologica, nel processo, ormai ventennale di attuazione del Fascicolo. Vale la pena di leggerlo integralmente, almeno nel suo primo comma: “Le Regioni e le Province autonome sono titolari dei trattamenti di verifica formale e semantica e devono contribuire, utilizzando le soluzioni tecniche rese disponibili da AGENAS e nel rispetto del principio di interoperabilità, all’alimentazione del FSE. Previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, possono condurre anche gestioni specializzate dei dati personali motivate da interesse pubblico rilevante e valutato l’impatto ai fini della loro protezione, fermo restando quanto previsto dalle disposizioni di cui ai commi 15-septies e 15-novies dell’art. 12 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.”
La telemedicina
La Telemedicina ha una storia molto più antica del FSE. Il primo esempio di Telemedicina risale al 1906, quando l’olandese Einthoven effettuò prove di consultazione remota elettrocardiografica attraverso il telefono. Poi venne utilizzata già ai tempi di Guglielmo Marconi sulle navi in navigazione. Quando ancora si chiamava ‘radio medicina’. Il programma “Radio Doctor” è del 1924. Il servizio si diffuse nelle grandi aree rurali del Canada e dell’Ontario. Si hanno trasmissioni di tracciati elettrocardiografici e elettroencefalografici tra centri specializzati degli Stati Uniti, dell’Australia, del Canada e dei Paesi Scandinavi a partire dagli anni Cinquanta. Negli anni Sessanta la TMD prende nuovo impulso con i viaggi spaziali e la necessità di monitorare i parametri vitali (battito cardiaco, frequenza respiratoria) degli astronauti.
In Italia le linee guida che regolano le visite, i consulti e i referti di teleassistenza sono del 2020. Nel periodo COVID matura una nuova coscienza dell’importanza strategica dell’assistenza a distanza.
La Piattaforma Nazionale di Telemedicina
Prende così corpo il nuovo progetto di TMD previsto e finanziato dal PNRR e avviato con impegno progettuale e realizzativo da Agenas, l’Agenzia della sanità del Ministero della Salute. L’investimento relativo alla Piattaforma Nazionale di Telemedicina rappresenta una pietra angolare di svolta nella divulgazione in Italia della cultura dell’assistenza sanitaria on Line e virtualizzata. A cui seguono gli investimenti nelle piattaforme regionali, anch’essi programmati da Agenas-Ministero della Salute, in collaborazione con il Dipartimento Trasformazione Ditale della Presidenza del CDM. Con questo progetto la Telemedicina (teleassistenza, teleconsulto, televisita, telecontrollo) diventerà una normale modalità di funzionamento dei servizi della sanità pubblica.
Come avviene ormai nella vita di tutti noi, l’interazione tra le persone e quindi anche tra professionisti e clienti, medici e assistiti, si svolge abitualmente in presenza o in modalità online, ‘da remoto’. Dopo il periodo COVID queste modalità sono culturalmente e tecnologicamente accettate, diffuse in tutte le categorie sociali. Costituiscono un modo di comunicazione degli italiani nel lavoro e nella vita di ogni giorno. Lo smartworking, lo studio a distanza, l’accesso ai servizi di intrattenimento e a quelli culturali in virtuale sono tra le tante manifestazioni d’interesse di questo mutamento di medium.
La sanità non può rimanere estranea a questi cambiamenti sociali e culturali. Anche perché offre enormi potenzialità di dati dematerializzati necessari alla riforma ‘territoriale’ dell’assistenza che ha come baricentro le Case di Comunità e le COT. D’ora in poi ogni visita o esame verrà classificato come “in presenza“ o oppure “in telemedicina”.
Le due modalità non saranno soltanto accettate formalmente ma costituiranno parte strutturale di un nuovo modo di accesso ai servizi sanitari e di una gigantesca opera di riorganizzazione dei servizi.
Le enormi potenzialità della telemedicina
Il potere di comunicazione delle reti digitali di ultima generazione è enorme. Il teleconsulto con specialisti, il monitoraggi dei pazienti a distanza, le applicazioni di realtà virtuale e di mobil-health sostenute da programmi di intelligenza artificiale, sono soltanto alcuni dei tanti campi di applicazione di questo potenziale. Va poi considerata l’enorme estensione, nell’ambito del FSE e della telemedicina, della raccolta di dati da device wearable che ormai caratterizza il web-consumer.
Ma il principale sviluppo della telemedicina, come previsto il progetto di Agenas, è la ‘presa in carico’ di pazienti cronici il cui numero è enormemente cresciuto partendo dal fattore positivo dell’allungamento della vita. In questo campo si potrebbe parlare di un ‘rivoluzione della presa in carico’. La crescita del fabbisogno di servizi sanitari assistenziali a domicilio coincide con la necessità di crescita di servizi di telemedicina. Il sistema delle piattaforme regionali e della piattaforma nazionale, progettati in ambito PNRR, costituisce l’ossatura del nuovo funzionamento della sanità a distanza.
Fascicolo Sanitario Elettronico e Telemedicina sono due pilastri di questa ‘rivoluzione della presa in carico’: uno fornisce dati e controllo sociale; l’altro struttura i flussi ad alta comunicazione. L’ultima fase di questo processo virtuoso è il collegamento strutturale tra gli investimenti e le architetture tecnologiche del fascicolo sanitario elettronico e quelle della telemedicina.
Conclusioni
Con questa imponente realizzazione del progetto FSE e del progetto TMD la sanità italiana entra nella nuova era digitale. Potrà disporre del ‘nuovo petrolio’ e delle nuove ‘autostrade’ digitali. Tutti i dati clinici di tutti gli assistiti, in formato digitale e strutturato, saranno gli ingredienti di questo cambiamento del SSN. I flussi strutturati ad alta comunicazione in rete della telemedicina offriranno campi di applicazione vastissimi e di enorme valore sociale. Si tratta di un autentico cambio di paradigma nel funzionamento del servizio sanitario nazionale, per usare le parole di Thomas Kuhn scritte nel lontano 1962 nel suo famoso saggio La struttura delle rivoluzioni scientifiche: “un cambiamento nelle assunzioni basilari all’interno della teoria scientifica che regge l’impalcatura di un sistema dominante.”