Le ricerche più recenti, ma ormai accreditate trasversalmente all’interno della comunità scientifica, mostrano che esiste una correlazione fra il grado di infiammazione presente nell’organismo e il rischio di sviluppare molte gravi malattie tipiche del nostro tempo. Fra queste, le patologie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica), le malattie cardiovascolari e i tumori.
Si tratta di patologie legate per lo più all’invecchiamento dei tessuti, che hanno raggiunto incidenze ragguardevoli (producendo costi sociali da capogiro) proprio a causa della particolare congiuntura demografica che stiamo vivendo.
Lo sviluppo di sistemi in grado di predire il rischio di andare incontro a queste condizioni amplierebbe le possibilità di prevenzione, con importanti ricadute sulla spesa sanitaria.
Metabolismo e tossine
Anche in assenza di stimoli patogeni e in età relativamente giovani, le reazioni metaboliche producono scarti che vengono eliminati attraverso gli organi emuntori (apparato urinario, fegato) dopo adeguata detossificazione.
La neutralizzazione delle tossine viene messa in atto da sistemi enzimatici complessi, come il citocromo p450 presente nel tessuto epatico, che interviene su molte sostanze introdotte dall’esterno (xenobiotici) come farmaci e alcol, associate a tossicità.
Una volta resi solubili in acqua e inerti dal punto di vista chimico, questi composti vengono eliminati dall’organismo, prevalentemente attraverso le urine.
Infiammazione e invecchiamento
Con il trascorrere del tempo, i meccanismi di detossificazione endogeni perdono di efficienza e pertanto tende a rimanere in circolo una quantità di tossine sempre maggiore.
Se, da un lato, si tratta di un fenomeno di base fisiologico, è altrettanto vero che è influenzato da una serie di fattori. Nello specifico, viene accelerato da stili di vita non virtuosi e da particolari assetti genetici e, come la scienza ha ampiamente dimostrato, rallentato adottando comportamenti protettivi.
La rinuncia al fumo da sigaretta, il mantenimento di abitudini alimentari sane (in particolare la tendenza a pasti frugali) e del peso forma, la pratica regolare dell’esercizio fisico sono solo alcuni degli aspetti messi in relazione con un prolungamento dello stato di benessere tipico della giovane età. O, se vogliamo, con una decelerazione dei fenomeni di invecchiamento tissutale. Non tanto grazie ad un potenziamento dell’attività dei sistemi detossificanti, quanto per la riduzione della produzione di nuove tossine.
L’accumulo di tossine agisce attraverso il meccanismo dell’infiammazione. I composti ossidanti, fra i quali le potenti specie reattive dell’ossigeno (ROS) provocano la formazione di radicali liberi, che scatenano il rilascio di composti citotossici da parte del sistema immunitario. Le nostre difese, in sostanza, mettono in atto l’infiammazione come extrema ratio, nel tentativo di combattere ad armi pari con le tossine.
Calcolare l’età biologica con sistemi di machine learning
Deriva da questa serie di constatazioni l’ipotesi di misurare l’età biologica di un soggetto in funzione del livello di infiammazione presente nei suoi tessuti.
Alcuni studiosi sembrano esserci riusciti, almeno stando a una pubblicazione apparsa su Nature, utilizzando meccanismi di machine learning in grado di stabilire l’età biologica e quindi fornire strumenti predittivi sullo stato di salute futuro del soggetto.
Il sistema descritto si chiama inflammatory ageing clock (iAge) ed è uno dei primi dispositivi pensati per utilizzare l’infiammazione al fine di stabilire il livello di salute generale. Tutti quelli sviluppati in precedenza erano basati sul dosaggio di biomarcatori epigenetici.
Sistemi di questo tipo potrebbero essere impiegati per individuare le persone da trattare o da monitorare nell’ottica di produrre un miglioramento dello stato infiammatorio e quindi della prevenzione del rischio di malattie neurodegenerative o cardiovascolari e di cancro.
Reti neurali e deep learning
I ricercatori impegnati nel progetto hanno costruito il dispositivo sulla base dei dati messi a disposizione dal progetto Stanford 1000 Immunomes, uno studio longitudinale sull’invecchiamento che ha raccolto campioni di sangue dal 2007 al 2016 da 1.001 volontari di età compresa fra 8 e 96 anni.
I campioni di sangue sono stati sottoposti ad accurate analisi di espressione genica, al dosaggio dei livelli di citochine (molecole che vengono rilasciate durante l’infiammazione) seriche e allo studio delle reazioni cellulari in risposta a diversi stimoli.
I dati sono stati raccolti, strutturati e aggregati in maniera da rendere possibile la valutazione del carico infiammatorio di un individuo, l’inflammatory ageing clock. Per fare ciò, è stata usata una rete neurale basata sul deep-learning progettata per catturare la struttura non lineare dei network immunitari.
Il metodo deep-learning based sfrutta equazioni non lineari ed elimina il rumore e la ridondanza nei dati, calcolando l’età biologica del soggetto sulla base dell’analisi della concentrazione nel sangue di 50 proteine con funzioni immunitarie. I valori vengono usati per stimare la cosiddetta calendar age (cAge).
Le analisi hanno dimostrato che iAge correla bene con la multimorbidità age-related, con l’invecchiamento del sistema cardiovascolare e con una condizione generale di immunosenescenza.
L’indicatore più significativo
Fra tutte le sostanze dosate nel sangue dei volontari che si sono sottoposti ai prelievi nel corso dello studio, quella risultata più predittiva è la citochina CXCL9, una proteina particolarmente espressa nelle cellule endoteliali (e dunque molto presente nel sistema cardiovascolare) e i cui livelli aumentano significativamente con l’età.
Poiché la sua presenza risulta strategica per il corretto funzionamento del sistema immunitario, non è pensabile un intervento di blocco totale della sua attività. Tuttavia, in linea generale, questa osservazione è molto importante, perché costituisce un punto attorno al quale ragionare per approfondimenti e interventi mirati.
Inoltre, questa scoperta può avere ricadute importanti sulla comprensione della genesi delle malattie cardiovascolari.
Le possibili applicazioni
La misurazione dell’infiammazione sistemica realizzata attraverso un semplice esame del sangue che agisce da marcatore universale dell’invecchiamento sarebbe uno strumento di grande valore nella pratica predittiva e preventiva.
Potrebbe diventare possibile, ad esempio, tracciare il rischio che un soggetto sviluppo una fragilità con un anticipo di 7 anni. Questo risultato permetterebbe la realizzazione di campagne di prevenzione semplici ed economiche e la riduzione del carico sociale legato a molte cronicità.
Inoltre, iAge potrebbe essere usato per sviluppare trattamenti di medicina personalizzata.