L’approccio all’innovazione digitale in sanità non è uno solo e il ruolo del top management è fondamentale. L’emergenza Covid-19 ha costretto le organizzazioni sanitarie ad accelerare la trasformazione digitale, per superare le difficoltà di integrare dati fra sistemi sanitari differenti o i problemi di data cleaning.
I top manager di questo comparto hanno diverse visioni nell’affrontare le sfide. Ecco quattro modelli per abbattere le barriere organizzative al cambiamento, realizzare organizzazioni agili in sanità, fare reskilling fra dipendenti abituati ad una cultura da PA.
Il paradosso dell’innovazione in sanità
La pandemia da SARS-CoV-2 ha mostrato l’eccezionale potere dell’innovazione in sanità e nelle scienze dalla vita. Per esempio, la velocità con cui è stato sviluppato il vaccino contro Covid-19 è senza precedenti: le prime dosi sono diventate disponibili in circa dieci mesi, quando in genere servivano almeno quattro anni.
Non si parla solo di ricerca biomedica. Sempre durante la pandemia, in Franciacorta un ospedale, grazie ad una collaborazione con una startup, in una settimana è riuscito a produrre dispositivi di ventilazione assistita per le unità di terapia intensiva, con stampanti 3D e adattando maschere da snorkeling commerciali.
Al tempo stesso, la crisi da Covid-19 ha pure evidenziato i limiti e le carenze dei sistemi sanitari a livello di cultura digitale. Si pensi ad esempio alle difficoltà di integrare dati fra sistemi sanitari differenti, o ai rilevanti problemi di data cleaning.
In un contesto del genere, il ruolo del top management è cruciale. Infatti, troppo spesso la discussione sulla sanità digitale si limita a questioni tecnologiche, di risorse economiche o a disquisizioni politiche, sottostimando l’importanza di avere top manager in sanità con la giusta visione da questo punto di vista.
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Lo studio dell’Università di Pavia
All’Università di Pavia abbiamo provato ad approfondire l’argomento mediante 15 interviste in profondità ad importanti Direttori Generali di aziende che presidiano la sanità locale (per esempio ASST in Lombardia, o USL in Emilia Romagna). Le risposte sono state analizzate mediante la cosiddetta “Gioia Methodology”, la quale ha permesso di evidenziare 361 concetti chiave, riorganizzati per comprendere logiche di fondo e le relazioni fra esse. Uno studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Technovation [1] e continua ad essere sviluppato presso il centro di ricerca ITIR. Qui riportiamo i principali risultati, con particolare attenzione al tema dell’innovazione digitale.
Lo studio in oggetto ha consentito di evidenziare quattro modelli manageriali “tipo” in sanità, identificati con riferimento al modo con cui si affrontano le sfide di innovazione digitale [Figura 1].
Tali modelli sono identificati sulla base di due dimensioni fondamentali: orizzonte strategico (focalizzato o sistemico) e contesto prioritario (interno aziendale, piuttosto che ambiente esterno). Di seguito si riporta una descrizione dei quattro modelli, congiuntamente a riflessioni su come ciò impatti sui processi di trasformazione digitale.
Lungo tali descrizioni si riportano in corsivo alcune citazioni – anonime – provenienti dalle trascrizioni delle interviste con i top manager della sanità, con l’obiettivo di dare concretezza agli argomenti via via riportati.
Modello “Science-based breakthrough”: verso l’eccellenza dell’innovazione
Questo primo modello è proprio di quelle aziende sanitarie che mettono al centro il progresso nella ricerca clinica e nelle tecnologie per la cura del paziente, come strumento anche e soprattutto di costruzione di legittimità e reputazione.
“Stiamo sviluppando un modello predittivo per prevedere la data di dimissione del paziente, per ottimizzare i posti letto dell’ospedale. È molto più di un miglior servizio per l’utente: è un posizionamento strategico per la nostra organizzazione”.
È una strategia impegnativa che richiede risorse rilevanti, quindi combinare l’eccellenza tecnologica con la sostenibilità economica è una priorità assoluta.
“La sostenibilità finanziaria dell’innovazione crea tensioni: tra medico e paziente, tra medici, tra dipartimenti, tra ospedali.”
“Gli avanzamenti nella medicina di precisione sono ciò che spero, anche se ciò solleva una grande questione sulla sostenibilità della spesa sanitaria […]. La soluzione è utilizzare la medicina di precisione come strumento digitale per prevenire le malattie, per perseguire contemporaneamente innovazione e risparmio dei costi”
In questo modello la trasformazione digitale è intesa specie nella sua dimensione tecnologica, ma diventa un driver di cambiamento che abbraccia diverse sfaccettature e abbraccia tutti gli ambiti clinici, come driver per superare situazioni subottimali, dove i vari reparti percorrono traiettorie di sviluppo innovativo che possono dirsi fra loro parallele e indipendenti (cosiddetti “silos organizzativi”). Purtroppo, la cultura digitale di queste organizzazioni spesso non è ancora matura, ma vi è consapevolezza del fatto che proprio la transizione digitale può essere il perno centrale attorno a cui sviluppare diverse forme di innovazione.
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Secondo modello dell’innovazione digitale in sanità: Patient centric orientation
Mentre la stella polare nel modello precedente è l’innovazione tecnologica, qui il punto di riferimento è il paziente, con l’evoluzione delle esigenze di mercato che guidano il processo di cambiamento. Interessante notare che i dirigenti che adottano questa strategia spesso preferiscono il termine ‘utente’ piuttosto che ‘paziente’.
“Mi occupo solo del mercato, inteso come necessità e non come ritorno sull’investimento. […] Per come ragiono io, rispondo a una sola persona: il mio utente”
La priorità è data alle sinergie tra cambiamenti clinici/tecnologici e
organizzativi/amministrativi, cercando combinazioni originali fra innovazione di prodotto e di servizio, verso una migliore esperienza del paziente. Ne consegue che la soddisfazione e la fidelizzazione del paziente sono considerati fondamentali.
“Come misurare l’innovazione e la trasformazione digitale? Con quali KPI? A mio avviso, si può misurarla solo in termini di soddisfazione del paziente lungo tutta l’esperienza. Quindi come intenzione di tornare nello stesso ospedale una volta che [il paziente] se ne è andato”.
Questa strategia di innovazione immagina i futuri ospedali come un servizio accessibile ovunque, in modo più confortevole.
“Il miglior servizio è il più facile, il più vicino all’utente, non il più vicino all’organizzazione. […] Abbiamo ripensato la pre-ospedalizzazione cercando di portare un ‘pezzo di ospedal’e fuori dall’ospedale stesso, anche come concetto. Tutto deve essere vicino all’utente, e non solo dal punto di vista geografico”.
Da notare che i dirigenti della sanità affini a questo modello concepiscono la trasformazione digitale soprattutto come modalità evoluta per interagire con i pazienti (per esempio, teleassistenza o APP per prenotare una visita o ricevere un referto).
Systemic r-evolution: il terzo modello dell’innovazione digitale in sanità
Questo terzo modello è contraddistinto da un approccio molto bottom-up, mirato a stabilire e mantenere le condizioni organizzative che stimolano tutti nell’organizzazione ad essere innovativi e promuovere il cambiamento. Il direttore generale qui è una sorta di agente “integratore” che fa sintesi fra diversi attori del cambiamento in azienda, nonché fra evoluzione incrementale ed innovazione radicale.
“La pandemia ci ha insegnato come conciliare agilità e innovazione con la routine ordinaria. Prima eravamo concentrati solo sugli indici di rotazione dei letti e sulla pianificazione”.
In questo modello la trasformazione digitale è questione sostanzialmente di rinnovamento organizzativo e delle competenze / reskilling, più che meramente tecnologica.
“Quale radiologo teme che l’intelligenza artificiale gli porterà via il lavoro? Quello che non è bravo nel suo lavoro. Viceversa, le tecnologie digitali sono apprezzate dai migliori come strumenti per risparmiare tempo e migliorare le prestazioni”.
La digitalizzazione emerge qui come punto d’incontro tra l’innovazione tecnologica che viene dal basso – spinta da primari e reparti – e i cambiamenti radicali dall’alto che sono più organizzativi, culturali e sistemici.
“Sono un grande sostenitore delle organizzazioni potenziate digitalmente, che abbracciano l’intero concetto di servizio. Pensate all’assistenza domiciliare e agli ospedali distribuiti tramite la trasformazione digitale: non si tratta di tecnologie, ma di ripensare la mobilità e la posizione geografica di chi ha bisogno di aiuto”.
Modello 4 ‘Value for all’ (IV): la visione istituzionale
Questo modello è il più vicino alla visione “popolare” dell’innovazione nella sanità pubblica, che deve fare i conti con il contesto istituzionale, i limiti della normativa, le dinamiche politiche. In questo caso, la priorità è trovare soluzioni (digitali e non solo) a basso rischio, che accontentino tutti i diversi stakeholder: medici, pazienti, cittadini, fornitori eccetera. La grande sfida è riuscire a comprendere le diverse esigenze e fare sintesi.
“La politica non è così male: se sei bravo a interpretare la tua comunità e spiegare le sue necessità, tutti gli stakeholder ti seguiranno. […] Sì, c’è una grande necessità di una visione: se hai una visione e la visione è per tutti, le istituzioni ti seguiranno”.
“Quando si tratta di innovazione, c’è una priorità scientifica e una priorità politica: spesso non vanno insieme. Quindi preferisco optare per innovazioni infrastrutturali e sistemiche che possano farli coesistere. […] La nostra innovazione – compreso quella digitale – è basata su processi abbastanza informali, guardando a combinare sia processi dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto”.
Dal nostro studio emerge come la trasformazione digitale in questo modello venga considerata relativamente meno importante che nei tre precedenti.
Conclusioni
L’emergenza Covid19 ha costretto le organizzazioni sanitarie ad accelerare la trasformazione digitale. La cosa interessante è che ciò ha stimolato, fra i top manager di questo comparto, diverse visioni nell’affrontare queste sfide, per certi versi fra loro divergenti, anziché un’unica via all’innovazione digitale in sanità. Come sopra detto, abbiamo identificato quattro tipologie prevalenti, di cui tre fra loro differenti ma comunque virtuose (n. 1, 2 e 3), che si affiancano ad un modello più conservativo (n.4).
È poi emerso che i dirigenti nel settore sanitario vedono l’innovazione come un ambito il quale permette loro maggiori gradi di libertà rispetto ad altre azioni gestionali, per loro natura più vincolate dalla complessa normativa in cui questi manager si trovano ad operare. In altre parole, l’innovazione e la trasformazione digitali vengono considerati come una sorta di positiva “valvola di sfogo”, dove esprimere creatività o abilità come “manager”, in un contesto dove si sentono un po’ limitati da diversi fattori istituzionali.
Tuttavia, tutto diventa più complicato quando vision e intenzioni devono essere messe in pratica. Infatti, se da un lato i manager della sanità italiana sembrano avere le idee molto più chiare di quanto non si creda in termini di trasformazione digitale, poi l’execution è più problematica. Serve meglio comprendere le nuove barriere organizzative al cambiamento, come creare organizzazioni agili in sanità, come fare reskilling fra dipendenti abituati ad una cultura da “pubblica amministrazione”.
Il problema è solo limitatamente tecnologico: sono proprio queste le priorità da gestire se si vuole accelerare – sul serio – a livello di sanità digitale in Italia.
Bibliografia
- Denicolai, S. and Previtali, P., 2023. Innovation strategy and digital transformation execution in healthcare: The role of the general manager. Technovation, 121, p.102555.↑